lunedì 18 febbraio 2019

1\ NEWSinRETE - rassegna a cura di MdP-

\ federalismo differenziato: la volontà delle regioni in questione è di estendere ad altre materie la pretesa autonomia, quali il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e il governo del territorio
RdC anziché misure di lotta alla povertà è presentato come una misura di politica attiva del lavoro e costituisce livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponili




\ Ridha era innocente. Durante l’udienza al tribunale di Agrigento, un migrante si assunse tutte le responsabilità del gesto. La sentenza che ne seguì avrebbe dovuto determinare la scarcerazione immediata di Ridha e degli altri tunisini trattenuti, riconosciuti innocenti. Ma così non fu
\ le sanzioni-USA colpiscono anche i cittadini e le imprese statunitensi o di altri paesi  che intrattengono affari con la repubblica bolivariana, ma le persone fisiche e giuridiche che servono gli interessi degli Stati Uniti 



LA SECESSIONE ALLE PORTE

Il federalismo differenziato è un progetto che viene da lontano, affondando le sue radici nel terzo comma dell’articolo 116; il quale prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, consentendo così ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre. Nei fatti sta accadendo che si sta dando seguito alle iniziative intraprese dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nella parte conclusiva della scorsa legislatura; e cioè agli accordi preliminari sottoscritti il 28 febbraio 2018 dal Governo Gentiloni, all’epoca ancora in carica, con le regioni interessate, i quali hanno previsto nelle materie di potestà concorrente Stato – Regioni la concessione di ulteriori forme di autonomia, così detta differenziata, da regione a regione, nelle seguenti materie: Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, Tutela della salute, Istruzione,Tutela del lavoro, Rapporti internazionali e con l’Unione europea. Non soltanto. La volontà delle regioni in questione è di estendere ad altre materie la pretesa autonomia, quali il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e il governo del territorio. I soldi, dunque, le tasse, le entrate e le uscite. Ed è questo l’altro novero della discussione, perché stando alle bozze che sono circolate negli scorsi giorni, dovrebbe funzionare così: ogni regione potrebbe decidere di trattenere di diritto la quota preponderante del proprio gettito fiscale, cioè la differenza esistente fra il gettito delle tasse versate in quella regione e la spesa pubblica che riceve. In tal modo ad esempio, secondo quanto hanno calcolato gli economisti, se lo Stato spende, in Veneto o in Lombardia, per le materie che diventano esclusiva competenza della Regione – per dirne una, la sanità – una cifra pari a cento, può trattenere una cifra identica dal gettito fiscale del suo territorio. È un’idea manifestatamente incostituzionale, ma così è: l’Italia si sta avviando alla “secessione del residuo fiscale”, verso quella che è stata già definita la secessione dei ricchi, appunto.

[Per chi suona la secessione dGaetano De Monte e Osvaldo Costantini]



RDC, MISURA ATTIVA DEL LAVORO

Il simbolo del progetto politico del M5S su cui è incardinata la vittoria elettorale del 4 marzo 2018, cioè il Reddito di Cittadinanza, vede aprire il proprio cantiere legislativo con la legge di bilancio n. 145/2018. Lo stanziamento necessario, però, dopo un negoziato difficilissimo con la Commissione Europea subisce una consistente decurtazione e vira verso misure di politica attiva del lavoro anziché misure di lotta alla povertà. Ciò che ora il Governo si propone di realizzare non sembra rispondere né alla versione minimalista del reddito di cittadinanza inteso come reddito minimo garantito a tutte le persone che si trovino in una posizione di fragilità sociale ed economica; né alla versione massimalista e universale, che lo presenta in termini di basic income. In attuazione della legge di bilancio il Governo vara il D. L. n.4/2019 nel quale il RdC è presentato come una misura di politica attiva del lavoro e costituisce livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponili. La qualificazione della misura in termini prevalenti di politica attiva del lavoro fa rientrare nella titolarità delle Regioni la programmazione e la gestione del percorso di attivazione sui territori. Le Regioni lamentano il varo unilaterale della misura e denunciano la violazione delle loro prerogative costituzionali: esse ritengono che nel decreto restano irrisolti una serie di aspetti che riguardano il potenziamento, la formazione del personale dei centri per l’impiego coinvolto, l’adeguamento e la modernizzazione delle sedi, l’implementazione dei sistemi informativi, il dialogo tra le banche dati e la cooperazione tra i diversi soggetti chiamati a dare esecuzione alla riforma.





LA STORIA DI RIDHA

oggi è libero. Ma la sua storia, che raccontiamo soltanto ora per evitargli possibili ritorsioni, è emblematica di come la giustizia italiana, nei riguardi dei richiedenti asilo, adopera metri approssimativi e vaghi, deragliando dai binari del diritto per applicare storture, incongruenze e vere e proprie iniquità.
Ridha è un giovanotto con una trentina d’anni sulle spalle. E’ fuggito dalla Tunisia seguendo la rotta mediterranea. All’inizio del 2018 è riuscito a sbarcare a Lampedusa. Qualche giorno dopo il suo arrivo, l’hotspot dell’isola è stato oggetto di un incendio doloso. Non ci furono vittime, ma gli inquirenti considerarono tutti i migranti del centro, all’incirca 150 persone, come possibili responsabili dell’atto doloso. Ridha fu così trasferito nel CPR di Restinco, una frazione di Brindisi. Le indagini dimostrarono ben presto che Ridha era innocente. Durante l’udienza al tribunale di Agrigento, un migrante si assunse tutte le responsabilità del gesto. La sentenza che ne seguì avrebbe dovuto determinare la scarcerazione immediata di Ridha e degli altri tunisini trattenuti, riconosciuti innocenti. Ma così non fu.
Ridha rimase rinchiuso nella struttura di Restinco sino al 25 novembre. Come lui, anche altri tunisini furono trattenuti, mentre altri furono rilasciati. "Di fronte ad una unica sentenza, quella del tribunale di Agrigento, i giudici di pace delle diverse città in cui i richiedenti asilo furono condotti, si comportarono in maniera completamente diversa - spiega Yasmine Accardo, coordinatrice della Campagna LasciateCIEntrare -. Abbiamo scritto all’Unhcr, al garante dei detenuti e alle prefetture spiegando la situazione quanto meno illegittima del trattenimento prolungato, abbiamo anche coinvolto deputati, ma non c’è stato nulla da fare. Al CPR di Torino, seguiti dall’avvocato Gianluca Vitale, alcuni sono stati rilasciati e altri trattenuti, in quello di Brindisi sono stati rilasciati solo a settembre ma, nel frattempo, alcuni erano già stati deportati in Tunisia. A Potenza, i migranti rinchiusi nel CPR di San Gervasio sono stati trattenuti sino a maggio, quando hanno ottenuto la liberazione col riesame seguito dall’avvocata Angela Bitonti. Insomma, ognuno ha fatto un po’ come gli pareva, con buona pace di quel diritto che afferma che la legge dovrebbe essere uguale per tutti”.

[Quando i diritti sono sospesi. La storia emblematica di Ridha Rubrica: Voci dal Sud]



LE SANZIONI ECONOMICHE CONTRO IL VENEZUELA 
Quali sono, quante sono, a cosa servono e chi ha deciso le sanzioni statunitensi nei confronti del Venezuela bolivariano? Le sanzioni sono, come nel caso di Cuba, stabilite unilateralmente dai governi degli Stati Uniti d’America senza nessuna legittimità internazionale (nessun voto in seno al consiglio di sicurezza dell’Onu). A vararle sono state sia i repubblicani (governi Bush Jr. e Trump) sia i democratici (governi Obama) che, prendendo a pretesto il narcotraffico, il terrorismo, la tratta di persone, le azioni antidemocratiche e di violazione dei diritti umani, la corruzione quando in realtà intendono colpire un sistema socio-economico e politico che non solo non si allinea ai diktat della potenza egemone ma addirittura mira a superare il modo di produzione capitalistico tout courtLe sanzioni non sono rivolte esclusivamente contro le imprese e i cittadini venezuelani. Esse colpiscono anche i cittadini e le imprese statunitensi o di altri paesi (che devono sottostarvi se non vogliono veder compromessi i propri interessi economici negli Usa) che intrattengono affari con la repubblica bolivariana. Ma risparmiano, nei settori colpiti, le persone fisiche e giuridiche che servono gli interessi degli Stati Uniti o che, se venissero colpiti, genererebbero un danno all’economia a stelle e strisce troppo elevato. Tra i primi ci sono le persone e le imprese impegnate nella carovana di pseudo aiuti umanitari che doveva entrare in Venezuela venerdì sera, le cui attività sono state escluse dal regime sanzionatorio per volere di Donald Trump; tra i secondi si trovano quelle le imprese e banche (in primis Goldman Sachs) che fanno affari con la compagnia petrolifera statale venezuelana PDVSA e la sua controllata Citgo, una impresa di diritto nordamericano che gestisce tre raffinerie di petrolio, tre oleodotti e numerosi terminali di prodotti petroliferi sul suolo nordamericano.