\ federalismo differenziato: la volontà delle regioni in questione è di estendere ad altre materie la pretesa autonomia, quali il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e il governo del territorio
\ RdC anziché misure di lotta alla povertà è presentato come una misura di politica attiva del lavoro e costituisce livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponili
\ Ridha era innocente. Durante l’udienza al tribunale di Agrigento, un migrante si assunse tutte le responsabilità del gesto. La sentenza che ne seguì avrebbe dovuto determinare la scarcerazione immediata di Ridha e degli altri tunisini trattenuti, riconosciuti innocenti. Ma così non fu
\ le sanzioni-USA colpiscono anche i cittadini e le imprese statunitensi o di altri paesi che intrattengono affari con la repubblica bolivariana, ma le persone fisiche e giuridiche che servono gli interessi degli Stati Uniti
LA SECESSIONE ALLE PORTE
Il federalismo differenziato è un progetto che viene da lontano, affondando
le sue radici nel terzo comma dell’articolo 116; il quale prevede la
possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle
Regioni a statuto ordinario, consentendo così ad alcune Regioni di dotarsi di
poteri diversi dalle altre. Nei fatti sta accadendo che si sta dando seguito
alle iniziative intraprese dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna
nella parte conclusiva della scorsa legislatura; e cioè agli accordi
preliminari sottoscritti il 28 febbraio 2018 dal Governo Gentiloni, all’epoca
ancora in carica, con le regioni interessate, i quali hanno previsto nelle
materie di potestà concorrente Stato – Regioni la concessione di ulteriori
forme di autonomia, così detta differenziata, da regione a regione, nelle
seguenti materie: Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, Tutela
della salute, Istruzione,Tutela del lavoro, Rapporti
internazionali e con l’Unione europea. Non soltanto. La volontà delle
regioni in questione è di estendere ad altre materie la pretesa autonomia,
quali il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e il
governo del territorio. I soldi, dunque, le tasse, le entrate e le uscite. Ed è
questo l’altro novero della discussione, perché stando alle bozze che sono
circolate negli scorsi giorni, dovrebbe funzionare così: ogni regione potrebbe
decidere di trattenere di diritto la quota preponderante del proprio gettito
fiscale, cioè la differenza esistente fra il gettito delle tasse versate in
quella regione e la spesa pubblica che riceve. In tal modo ad esempio, secondo
quanto hanno calcolato gli economisti, se lo Stato spende, in Veneto o in
Lombardia, per le materie che diventano esclusiva competenza della Regione –
per dirne una, la sanità – una cifra pari a cento, può trattenere una cifra
identica dal gettito fiscale del suo territorio. È un’idea manifestatamente
incostituzionale, ma così è: l’Italia si sta avviando alla “secessione del
residuo fiscale”, verso quella che è stata già definita la secessione dei
ricchi, appunto.
[Per chi suona la secessione Gaetano De Monte e Osvaldo
Costantini]
RDC, MISURA
ATTIVA DEL LAVORO
Il
simbolo del progetto politico del M5S su cui è incardinata la vittoria
elettorale del 4 marzo 2018, cioè il Reddito di Cittadinanza, vede aprire il
proprio cantiere legislativo con la legge di bilancio n. 145/2018. Lo
stanziamento necessario, però, dopo un negoziato difficilissimo con la
Commissione Europea subisce una consistente decurtazione e vira verso misure di
politica attiva del lavoro anziché misure di lotta alla povertà. Ciò che ora il
Governo si propone di realizzare non sembra rispondere né alla versione
minimalista del reddito di cittadinanza inteso come reddito minimo garantito a
tutte le persone che si trovino in una posizione di fragilità sociale ed
economica; né alla versione massimalista e universale, che lo presenta in
termini di basic income. In attuazione della legge di bilancio il
Governo vara il D. L. n.4/2019 nel quale il RdC è presentato come una misura di
politica attiva del lavoro e costituisce livello essenziale delle prestazioni
nei limiti delle risorse disponili. La qualificazione della misura in termini
prevalenti di politica attiva del lavoro fa rientrare nella titolarità delle
Regioni la programmazione e la gestione del percorso di attivazione sui
territori. Le Regioni lamentano il varo unilaterale della misura e denunciano
la violazione delle loro prerogative costituzionali: esse ritengono che nel
decreto restano irrisolti una serie di aspetti che riguardano il potenziamento,
la formazione del personale dei centri per l’impiego coinvolto, l’adeguamento e
la modernizzazione delle sedi, l’implementazione dei sistemi informativi, il
dialogo tra le banche dati e la cooperazione tra i diversi soggetti chiamati a
dare esecuzione alla riforma.
[La curvatura
lavoristica del Reddito di Cittadinanza di Lucia Valente]
LA STORIA DI RIDHA
oggi
è libero. Ma la sua storia, che raccontiamo soltanto ora per evitargli
possibili ritorsioni, è emblematica di come la giustizia italiana, nei riguardi
dei richiedenti asilo, adopera metri approssimativi e vaghi, deragliando dai
binari del diritto per applicare storture, incongruenze e vere e proprie
iniquità.
Ridha è un giovanotto con una trentina d’anni sulle spalle. E’ fuggito dalla Tunisia seguendo la rotta mediterranea. All’inizio del 2018 è riuscito a sbarcare a Lampedusa. Qualche giorno dopo il suo arrivo, l’hotspot dell’isola è stato oggetto di un incendio doloso. Non ci furono vittime, ma gli inquirenti considerarono tutti i migranti del centro, all’incirca 150 persone, come possibili responsabili dell’atto doloso. Ridha fu così trasferito nel CPR di Restinco, una frazione di Brindisi. Le indagini dimostrarono ben presto che Ridha era innocente. Durante l’udienza al tribunale di Agrigento, un migrante si assunse tutte le responsabilità del gesto. La sentenza che ne seguì avrebbe dovuto determinare la scarcerazione immediata di Ridha e degli altri tunisini trattenuti, riconosciuti innocenti. Ma così non fu.
Ridha è un giovanotto con una trentina d’anni sulle spalle. E’ fuggito dalla Tunisia seguendo la rotta mediterranea. All’inizio del 2018 è riuscito a sbarcare a Lampedusa. Qualche giorno dopo il suo arrivo, l’hotspot dell’isola è stato oggetto di un incendio doloso. Non ci furono vittime, ma gli inquirenti considerarono tutti i migranti del centro, all’incirca 150 persone, come possibili responsabili dell’atto doloso. Ridha fu così trasferito nel CPR di Restinco, una frazione di Brindisi. Le indagini dimostrarono ben presto che Ridha era innocente. Durante l’udienza al tribunale di Agrigento, un migrante si assunse tutte le responsabilità del gesto. La sentenza che ne seguì avrebbe dovuto determinare la scarcerazione immediata di Ridha e degli altri tunisini trattenuti, riconosciuti innocenti. Ma così non fu.
Ridha
rimase rinchiuso nella struttura di Restinco sino al 25 novembre. Come lui,
anche altri tunisini furono trattenuti, mentre altri furono rilasciati. "Di fronte ad una unica sentenza, quella del
tribunale di Agrigento, i giudici di pace delle diverse città in cui i
richiedenti asilo furono condotti, si comportarono in maniera completamente
diversa - spiega Yasmine Accardo, coordinatrice della Campagna LasciateCIEntrare -. Abbiamo scritto all’Unhcr, al garante dei
detenuti e alle prefetture spiegando la situazione quanto meno illegittima del
trattenimento prolungato, abbiamo anche coinvolto deputati, ma non c’è stato
nulla da fare. Al CPR di Torino,
seguiti dall’avvocato Gianluca Vitale, alcuni sono stati rilasciati e altri
trattenuti, in quello di Brindisi sono stati rilasciati solo a settembre ma,
nel frattempo, alcuni erano già stati deportati in Tunisia. A Potenza, i
migranti rinchiusi nel CPR di San Gervasio sono
stati trattenuti sino a maggio, quando hanno ottenuto la liberazione col
riesame seguito dall’avvocata Angela Bitonti. Insomma, ognuno ha fatto un po’
come gli pareva, con buona pace di quel diritto che afferma che la legge
dovrebbe essere uguale per tutti”.
[Quando i diritti sono sospesi. La storia emblematica di Ridha Rubrica: Voci dal Sud]
LE
SANZIONI ECONOMICHE CONTRO IL VENEZUELA
Quali
sono, quante sono, a cosa servono e chi ha deciso le sanzioni statunitensi nei
confronti del Venezuela bolivariano? Le sanzioni sono, come nel caso di Cuba, stabilite unilateralmente dai
governi degli Stati Uniti d’America senza nessuna legittimità internazionale
(nessun voto in seno al consiglio di sicurezza dell’Onu). A vararle sono state
sia i repubblicani (governi Bush Jr. e Trump) sia i democratici (governi Obama)
che, prendendo a pretesto il narcotraffico, il terrorismo, la tratta di
persone, le azioni antidemocratiche e di violazione dei diritti umani, la
corruzione quando in realtà intendono colpire un sistema socio-economico e
politico che non solo non si allinea ai diktat della potenza egemone ma
addirittura mira a superare il modo di produzione capitalistico tout
court. Le sanzioni non sono rivolte esclusivamente contro le imprese e
i cittadini venezuelani. Esse colpiscono anche i cittadini e le imprese
statunitensi o di altri paesi (che devono sottostarvi se non vogliono veder
compromessi i propri interessi economici negli Usa) che intrattengono affari
con la repubblica bolivariana. Ma risparmiano, nei settori colpiti, le persone
fisiche e giuridiche che servono gli interessi degli Stati Uniti o che, se
venissero colpiti, genererebbero un danno all’economia a stelle e strisce
troppo elevato. Tra i primi ci sono le persone e le imprese impegnate nella
carovana di pseudo aiuti umanitari che doveva entrare in Venezuela venerdì
sera, le cui attività sono state escluse dal regime sanzionatorio per volere di
Donald Trump; tra i secondi si trovano quelle le imprese e banche (in primis Goldman
Sachs) che fanno affari con la compagnia petrolifera statale
venezuelana PDVSA e la sua controllata Citgo, una impresa di diritto
nordamericano che gestisce tre raffinerie di petrolio, tre oleodotti e numerosi
terminali di prodotti petroliferi sul suolo nordamericano.