- Fulvio Vassallo Paleologo -
Sul concetto di paese terzo “sicuro”
non c’è ancora un accordo a livello europeo
1. Di fronte ad un aumento esponenziale degli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, ed al collasso del sistema di accoglienza già minato dai decreti sicurezza di Salvini e dal Decreto “Cutro” (legge n.50/2023), il governo Meloni annuncia un ennesimo decreto sicurezza per l’autunno,” per rendere più veloci i rimpatri”, anche attraverso la creazione di nuovi centri di detenzione amministrativa vicino ai luoghi di frontiera. Mentre i sistemi di prima e seconda accoglienza si dimostrano insufficienti di fronte ad un numero di persone ancora inferiore rispetto agli arrivi del 2015 e del 2016, si vanta il successo di un esiguo aumento dei rimpatri con accompagnamento forzato eseguiti nel 2023, aumentati di poco, per circa 2400 persone in totale, e si continua a cercare accordi bilaterali con i paesi di origine senza i quali i respingimenti e le espulsioni non sarebbero eseguibili. Il governo Meloni starebbe lavorando ad un “importante accordo con la Costa d’Avorio”, dopo avere concluso accordi simili con l’Egitto e la Tunisia. Nel caso della Libia appare invece evidente che non si può parlare di accordi di rimpatrio perchè da quel paese non fuggono cittadini libici, ma migranti provenienti da altri Stati. Per questa ragione si continua a dotare la Guardia costiera libica di motovedette di provenienza italiana, in modo da delegare i respingimenti collettivi vietati dalle Convenzioni internazionali ad autorità di un paese che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati e che non riesce a garantire soccorsi nella vasta zona SAR (ricerca e salvataggio) che dal 2018 è stata riconosciuta dall’IMO, dopo il Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2017. Per non parlare del grado di coesione tra le tante milizie libiche che sostengono il governo e le organizzazioni criminali che in Libia controllano il traffico di esseri umani ed il contrabbando di petrolio.
2. L’articolo 7-bis, comma 2, lett. b),del decreto Cutro, poi convertito nella legge n.50 del 2023, introduce un nuovo articolo 6-bis al D.Lgs. 25/2008 prevedendo che il richiedente, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera (articolo 28-bis, comma 2, lett. b) D.Lgs. 25/2008), o qualora sia proveniente da un Paese di origine sicuro (articolo 28-bis, comma 2, lett. b)-bis D.Lgs. 25/2008), possa essere trattenuto durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato (comma 1 del nuovo art. 6-bis). Si deve ricordare che l’art. 6, comma 1, del D.Lgs. 142/2015, prevede che il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda. Tale principio discende dall’articolo 26 della direttiva 2013/32/UE (attuata con il D.Lgs. 142/2015) che vieta il trattenimento di una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente asilo. Di fatto, la nuova normativa introdotta dal Decreto Cutro, soprattutto con riferimento alle persone provenienti da paesi terzi ritenuti “sicuri”, permette l’aggiramento di questo importante principio.
Sul concetto di paese terzo “sicuro” non c’è ancora un accordo a livello europeo. Le conclusioni del Consiglio dei ministri dell’interno dell’Unione Europea riuniti a Lussembugo lo scorso 8 giugno sono state propagandate come una vittoria della linea tenuta dal governo Meloni proprio su questo punto, ma le previsioni del Decreto Cutro non hanno ottenuto quella “copertura europea” che il governo italiano sperava. L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso”.
La vigente direttiva procedure (dir. 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013) con gli articoli da 36 a 39 disciplina in termini molto dettagliati i contorni della nozione di Paese di origine sicuro e le conseguenze di tale nozione sulle procedure di valutazione delle domande. Nelle fonti europee non vi sono norme specifiche che stabiliscano il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo provenienti da paesi terzi ritenuti “sicuri”. Cbe non si rinvengono neppure nella Direttiva rimpatri 2008/115/CE, ancora in vigore.
Ai sensi del comma 2 del nuovo articolo 6-bis del D.Lgs. 142/2015, il richiedente asilo giunto alla frontiera da un paese terzo “sicuro” può essere trattenuto qualora non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria. Dunque si può osservare come si sia esteso il trattenimento amministrativo alla quasi generalità dei casi di arrivo di richiedenti asilo transitati dai paesi nordafricani. L’importo e le modalità di prestazione della garanzia finanziaria dovrebbero essere fissate da un decreto del Ministero dell’interno, di concerto con i Ministeri della giustizia, dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge 50/2023 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 5 maggio 2023), ma ad oggi non si ha notizia del provvedimento.
In realtà il Decreto n.50/2023 approvato dopo una grande operazione di propaganda sulla pelle delle persone naufragate a febbraio sulla spiaggia di Steccato di Cutro non ha ancora trovato piena applicazione, soprattutto per la parte cruciale che riguardava le procedure accelerate nelle zone di frontiera, per la richiesta di protezione internazionale (o speciale). Non si sono mai realizzate le condizioni che il governo dava come scontate, e non lo erano affatto. Malgrado la frenetica attività diplomatica della Meloni, dalle missioni a Tripoli ed a Tunisi, fino al Memorandum d’intesa UE-Tunisia (ancora privo di approvazione da parte del Consiglio UE) ed alla cessione di altre unità navali al governo provvisorio del premier libico Dbeibah, le partenze verso le coste italiane sono aumentate, e i governi nordafricani hanno categoricamente escluso di riammettere sul loro territorio migranti iregolari che non fossero loro cittadini. Ed anche nel caso dei rimpatri dei tunisini le cifre dei rimpatri sono sostanzialmente rimaste quelle degli anni precedenti, quindi solo una minima parte dei tunisini in fuga dal loro paese, sono stati, o saranno, effettivamente rimpatriati.
3. Le promesse elettorali in materia di blocchi navali e rimpatri facili, sui cui le destre hanno vinto le elezioni dello scorso anno, sono state ampiamente smentite. Anche se hanno avvelenato il corpo sociale, accrescendo discriminazione e guerra tra poveri. La disinformazione sistematica, fino alla censura delle comunicazioni istituzionali, ha fatto il resto. Ormai della strage quotidiana di migranti in mare se ne parla più all’estero che in Italia.
Gli accordi bilaterali e le promesse di aiuti economici, oltre che di sostegno politico, hanno però prodotto un effetto paradossale, perchè hanno rafforzato la repressione in quei paesi, esemplare il caso della Tunisia di Saied, senza scalfire le reti dei trafficanti, ed i numeri lo dimostrano, ma al contempo hanno peggiorato le condizioni di sopravvivenza dei migranti (irregolari) che vi transitavano, innescando accordi diretti tra libici e tunisini, con un inasprimento delle misure di detenzione e di respingimento sommario nei confronti di persone considerate come “illegali”, anche se erano evidentemente portatrici di istanze di protezione. Le immagini di morte per abbandono nel deserto al confine tra Tunisia e Libia, come i cadaveri ed i dispersi in mare, sono una macchia indelebile su tutte le autorità di governo che, dopo avere rinforzato la sedicente guardia costiera “libica”, hanno negoziato per mesi con Saied per bloccare le partenze dalla Tunisia.
Come rileva Mateo Villa dell’ISPI, nelle quattro settimane precedenti il memorandum UE-Tunisia, gli sbarchi dalla Tunisia in Italia erano stati 16.507. Nelle quattro settimane successive agli accordi, dalla Tunisia in Italia sono sbarcati 17.592 migranti. Gli arrivi “autonomi”in Sicilia, ed in parte minore in Calabria, continuano e rallentano solo quando il tempo peggiora, mentre la conta dei naufragi diventa quasi quotidiana.
Chi riesce ad attraversare il Mediterraneo, magari dopo altri tentativi falliti per l’intercettazione da parte delle motovedette donate ai libici ed ai tunisini dall’Italia, arriva in condizioni sempre peggiori e non trova nei sistemi di accoglienza italiani quel supporto psicologico e quell’assistenza legale che era garantita in passato. L’identificazione dei casi più vulnerabili e dei minori non accompagnati, o delle vittime di tratta, diventa sempre più difficile. Le cosiddette procedure di pre-identificazione si applicano in un solo giorno anche ad oltre 700 persone. Magari al solo fine di attribuire la nazionalità, se non la provenienza effettiva,o per stabilire chi è soltanto un “migrante economico”, per determinarne in un tempo tanto breve lo status giuridico e l’accesso ai diritti fondamentali che dovrebbe essere garantito a tutti. Rimangono tutte le criticità segnalate nei centri Hotspot fin dal 2017.
Come si legge nelle relazioni annuali del Garante nazionale per le persone private della libertà personale, che adesso il nuovo governo dovrà nominare dopo la scadenza del mandato conferito sette anni fa a Mauro Palma, gli hotspot continuano a essere “luoghi dalla natura giuridica incerta, rispondenti a differenti funzioni che ne mutano continuamente il carattere e la disciplina. Se da un lato appaiono infatti come luoghi a vocazione umanitaria per le attività di primo soccorso e assistenza e di informazione e di prima accoglienza per chi ha manifestato la volontà di richiedere la protezione internazionale, dall’altro sono luoghi di svolgimento delle procedure di polizia di pre-identificazione/foto-segnalamento e di avvio delle operazioni di rimpatrio forzato. Tali procedure implicano per gli ospiti rispettivamente il divieto di allontanarsi dal Centro
fino alla loro conclusione e la coercizione nell’esecuzione dei provvedimenti di respingimento differito”. Dunque, già in tutti gli attuali hotspot si verifica la limitazione della libertà personale, che deve applicarsi nel rispetto delle leggi vigenti e dell’art. 13 della Costituzione, e la destinazione della struttura di prima accoglienza alla preparazione di procedure di allontanamento con accompagnamento forzato.
Disperazione si aggiunge a disperazione, e le condizioni materiali della prima accoglienza scendono al di sotto del rispetto minimo della dignità umana, come diventa sempre più evidente a Lampedusa ed a Porto Empedocle, come si verifica, quando si riesce ad entrare, negli altri centri di confinamento più nascosti, e nei CPR come quello di Trapani Milo, utilizzati anche per le persone appena sbarcate (soprattutto se cittadini tunisini).
4. Di fronte al fallimento delle politiche migratorie del governo Meloni, da parte dell’ennesimo Commissario all’emergenza si annuncia adesso un piano per la detenzione amministrativa per trenta giorni, al fine di applicare “procedure accelerate in frontiera” in centri chiusi, dei richiedenti asilo che arriveranno nei prossimi mesi, soprattutto se provengono da paesi terzi definiti “sicuri”, in base ad una serie di decreti ministeriali che non tengono conto della situazione attuale in gran parte dell’Africa, soprattutto dopo lo scoppio della guerra civile in Sudan e il rovesciamento in Niger del governo sostenuto dai paesi occidentali. Non si ha ancora notizia invece dei nuovi centri per i rimpatri (CPR) che si era annunciato sarebbero stati attivati in ogni regione italiana. Le resistenze delle amministrazioni locali, anche di destra, hanno evidentemente bloccato questo progetto ed i rimpatri con accompagnamento forzato nei primi sette mesi dell’anno sono stati soltanto 2.561 (+28,05%) rispetto ai 2.000 dello scorso anno. Nulla rispetto ad oltre 100.000 arrivi ed a oltre 70.000 richieste di asilo, conteggiati proprio il 15 agosto, quando il Viminale dà i suoi numeri, esibendo quando conviene le percentuali e lasciando nell’ombra i dati assoluti.
5. La prima struttura detentiva che dovrebbe entrare in funzione a breve termine, per dare applicazione, ancora chiamata “sperimentazione”, alle procedure accelerate in frontiera previste dal Decreto “Cutro”, dovrebbe essere a Pozzallo, dove già esiste un centro Hotspot, che opera spesso in modalità di “centro chiuso”, nel quale già da tempo è limitata la libertà personale degli “ospiti”. Si tratterebe di una nuova struttura da 84 posti dove verranno rinchiusi per un mese coloro che provengono da paesi terzi definiti “sicuri”, prima del diniego sulla richiesta di protezione che si dà come scontato e del successivo rimpatrio con accompagnamento forzato, sempre che i paesi di origine accettino la riammissione dei loro cittadini giunti irregolarmente in Italia. Secondo fonti di stampa, per il nuovo “Centro rimpatri” di Pozzallo,“I lavori sono appena iniziati ma si conta di portarli a termine nel giro di qualche settimana, in modo da poter ospitare poco meno di 90 migranti irregolari che hanno poche possibilità di vedersi validato lo status da richiedente asilo.” Secondo altre agenzie di informazione, che citano fonti del Viminale, il Centro per i rimpatri di Pozzallo potrebbe diventare operativo addirittura “dopo il 20 agosto”. Rimane da vedere dove e in quali condizioni di agibilità, oltre che su quali basi legali, che non siano il Decreto Cutro, adesso legge n.50 del 2023, che continua a sollevare grossi problemi di legittimità costituzionale e di concreta applicabilità. I piani per i cd. “rimpatri celeri” verso i paesi di origine, dopo il respingimento delle domande di asilo “in frontiera” non tengono conto della mancanza di accordi di riammissione con la maggior parte di paesi di origine, e della necessità di rispettare le regole e le garanzie previste dalle Direttive europee e dalle Convenzioni internazionali, come la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Potrebbe trattarsi dell’ennesino annuncio a scopo di propaganda, come si è verificato nel caso del centro di transito (non di trattenimento) che si sarebbe dovuto aprire a Porto Empedocle (Agrigento) dal 15 agosto con tensostrutture, e poi da ottobre-novembre con moduli abitativi. Quando la gente è stata lasciata sulla banchina del molo sotto il sole cocente, senza neppure fornire regolarmente cibo e acqua, all’interno di una vera e propria gabbia. In realtà il 15 agosto sulla banchina del porto esisteva un recinto metallico e qualche gazebo, mentre dalla Prefettura di Agrigento sono stati soltanto aggiudicati i lavori per la costruzione del nuovo Hotspot che non sarà pronto prima di tre mesi, dunque fino a novembre… si continuerà con soluzioni di emergenza come il ricorso al solito Palasport, privo dei più elementari requisiti di abitabilità per contenere 600 persone ed oltre. I trasferimenti da Lampedusa, sospesi dal prefetto nella serata del 15 agosto, per le tensioni che si registravano nell’area portuale di Porto Empedocle, sono già ripresi nella giornata del 16 agosto, e proseguiranno nei prossimi giorni, per decongestionare il centro Hotspot di Contrada Imbriacola, dove secondo la Croce Rossa anche 2000 persone presenti sarebbero gestibili… “sotto controllo”. Ma secondo quanto denunciato dal sindacato di polizia COISP, l’emergenza si sarebbe solo estesa da Lampedusa a Porto Empedocle, in quanto a quella data ““Benché quella di Porto Empedocle non sia una struttura di accoglienza per migranti ma soltanto di transito, al momento sta ospitando in pianta stabile circa mille migranti in condizioni igienico-sanitarie pessime. E a vigilare su questa situazione ci sono meno di 20 appartenenti alle Forze dell’Ordine.”
6. Vedremo adesso se questi ritardi e queste scene di quotidiana disumanità, che non si possono nascondere dietro una partita di calcio organizzata per smaltire le tensioni,, si ripeterarnno anche nel diverso contesto di Pozzallo (Ragusa). In provincia di Ragusa sono già due le strutture di primissima accoglienza: l’hotspot di Pozzallo e il centro Don Pietro di contrada Cifali, tra i territori di Ragusa e Comiso. Adesso potrebbe essere utilizzata anche una terza struttura di prima accoglienza/trattenimento amministrativo, ubicata nell’area industriale tra i comuni confinanti di Pozzallo e Modica. Il centro dovrebbe avere una funzione mista, accoglienza/detenzione, come il CPR di Pian del Lago a Caltanissetta, con 300 posti riservati ai migranti in accoglienza. Gli 84 posti previsti come capienza massima del settore di moduli abitativi destinati al trattenimento, sembrano davvero pochi, con riferimento allo spazio disponibile e con arrivi quotidiani di circa mille persone al giorno, soltanto a Lampedusa, e centinaia di trasferimenti a Catania, a Pozzallo, ed in altre strutture. Considerando che queste persone dovrebbero essere trattenute nel corso di procedure accelerate, per un mese, i nuovi centri di accogienza/detenzione, che il Viminale vorrebbe aprire, sono davvero nulla, rispetto allo scopo conclamato di incrementare i rimpatri forzati dopo il respingimento delle richieste di asilo e non potranno certo dissuadere gli arrrivi da paesi terzi ritenuti (spesso a torto) “sicuri”. Anche se la sofferenza fisica e psicologica per coloro che finiranno ostaggio di queste nuove procedure accelerate in frontiera sarà enorme. E’ infatti scontato che, come avvenuto per tutti i centri di accoglienza/detenzione per stranieri in Italia, il nuovo centro per i rimpatri celeri di Pozzallo venga impiegato ben al di sopra della capienza annunciata dalle autorità.
Cercheremo comunque di batterci come sempre per l’effettivo riconoscimento dei diritti di difesa e di tutti i diritti fondamentali che in base all’art. 2 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98 spettano a tutte le persone straniere “comunque presenti in Italia”. Perchè le persone che si trovano nei centri di transito, come nelle aree aeroportutali di transito, sono in territorio italiano, e possono fare valere tutti i diritti fondamentali riconociuti dalla Costituzione italiiana e dalla normativa europea (come la Direttiva rimpatri n.2008/115/CE)
7. I piani sui rimpatri del governo Meloni non sono applicabili su vasta scala, presentano caratteri fortemente discriminatori, ed avranno costi umani ed economici insostenibili. Se si spera negli accordi bilaterali e nel sostegno di Frontex, si dovrà comunque fare i conti con i ricorsi ai Tribunali in Italia ed in Europa, e con un ulteriore aggravamento delle crisi di legittimazione dei governi africani che accettano lo scambio della propria gente con una manciata di denaro.
Con riguardo ai nuovi centri di detenzione per richiedenti asilo provenienti da paesi terzi “sicuri” non sembra eludibile una rigorosa verifica della legittimità del trattenimento in sede di convalida del giudice ordinario, e non del giudice di pace, trattandosi di richiedenti asilo, e deve essere prevista una completa base legale – che ancora è monca- conforme alla normativa europea. In particolare devono essere stabiliti il rispetto di ulteriori garanzie quali l’obbligo di informativa sulle ragioni della misura restrittiva ed i livelli delle disponibilità economiche che possono fare evitare il trattenimento amministrativo. Su quest’ultimo punto, come previsto dal decreto Cutro ormai legge 50 del 2023, si attende ancora un ennesimo decreto del governo. In ogni caso il trattenimento amministrativo non può essere finalizzato esclusivamente al’esame della domanda di protezione, perchè proprio nelle circostanze di limitazione della libertà personale risulta più difficile avere contatti con organizzazioni che difendono i diritti umani e raccogliere prove per dimostrare la fondatezza della propria richiesta. L’obiettivo evidente del trattenimento generalizzato di tutti i richiedenti asilo che provengono da paesi terzi ritenuti “sicuri” è il respingimento del maggior numero di domande con la riduzione della possibilità di esercitare i diritti di difesa e fare valere un ricorso effettivo.
Vanno comunque garantiti tempi di esecuzione delle misure di allontanamento forzato che non cancellino la portata sostanziale del diritto al ricorso. Occorre ricordare che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, proprio con riferimento a cittadini tunisini, nel dicembre 2016, nel caso Khlaifia e altri c. Italia, e poi ancora quest’anno, nel caso J.A. c.Italia, ha condannato il nostro Paese per violazione, tra gli altri motivi, dell’articolo 5 della Convenzione per aver trattenuto per un periodo prolungato persone appena arrivate in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorso. Con riferimento alle nuove strutture detentive che il governo Meloni si accinge ad aprire, resta da verificare il rispetto dei principi affermati dalla Corte di Strasburgo e dei diritti fondamentali, a partire dal diritto di asilo costituzionale, sanciti dalla Costituzione italiana. Sarà anche l’occasione per verificare la legittimità costituzionale di molte disposizioni del decreto “Cutro” che, fin dalla entrata in vigore del provvedimento, hanno evidenziato sotto questo profilo gravi criticità, prima ancora che riuscissero ad avere concreta applicazione.