giovedì 22 giugno 2023

Dal TAR Lazio un colpo di spugna sugli obblighi di soccorso in mare ?

-Fulvio Vassallo Paleologo-

 ha deciso su due ricorsi proposti contro l’assegnazione di porti di sbarco “vessatori”

   Il rispetto degli obblighi di ricerca e soccorso stabiliti dalle Convenzioni internazionali non dipende certo dal numero delle persone che vanno comunque soccorse, e sbarcate in un porto sicuro, indipendentemente dalla capacità recettive del sistema di accoglienza nazionale

 

Il Tribunale amministrativo del Lazio ha deciso su due ricorsi proposti contro l’assegnazione di porti di sbarco “vessatori”, a notevole distanza dall’area nella quale venivano operati i soccorsi da parte di una organizzazione non governativa, legittimando le scelte del ministro dell’interno ed affastellando una serie di motivazioni che vanno oltre la portata dei casi esaminati e gettano ombre inquietanti sul futuro dei soccorsi in mare nel Mediterraneo centrale. Il sottosegretario al ministero dell’interno Nicola Molteni ha subito parlato di una “sentenza storica”, dimenticando che la sentenza non è ancora definitiva e che fa riferimento a due casi specifici, ma non è automaticamente applicabile a tutti i soccorsi operati in acque internazionali dalle navi umanitarie delle ONG. 

A gennaio di quest’anno le autorità italiane avevano assegnato i porti di Ancona e La Spezia alla ‘Geo Barents’, la nave di Medici senza frontiere impegnata nel soccorso dei migranti nella cd. “zona SAR libica”, che aveva effettuato due operazioni di salvataggio in acque internazionali. Secondo il Tribunale amministrativo, sarebbe “evidente ed innegabile” che spetti al Viminale assegnare il porto di sbarco in quanto “le operazioni di soccorso vanno inquadrate nel più ampio e complesso contesto del fenomeno migratorio via mare” che oltre al soccorso prevede anche l’accoglienza, l’ordine pubblico e la gestione generale del fenomeno migratorio”. Per questo Tribunale, “manca una definizione chiara ed internazionalmente condivisa di ‘porto sicuro’ indissolubilmente legata al concetto di porto più vicino”. Il rispetto degli obblighi di ricerca e soccorso stabiliti dalle Convenzioni internazionali non dipende però da scelte dell’esecutivo o dal numero delle persone che vanno comunque soccorse, e sbarcate in un porto sicuro, indipendentemente dalla capacità recettive del sistema di accoglienza nazionale. 

Il TAR Lazio, con una inversione del sistema gerarchico delle fonti stabilito dalla Costituzione (art.117), e riiconosciuto dalla giurisprudenza civile e penale, omette di considerare il passaggio centrale della sentenza n.6626/2020 della Corte di Cassazione, che pure richiama in modo evidentemente strumentale, al fine di motivare la propria decisione. Per i giudici della Corte di Cassazione le norme internazionali sui soccorsi in mare prevalgono sul diritto interno e «Non può quindi essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse». 

Le affermazioni incidentali del TAR Lazio sulla competenza (libica) nei soccorsi in acque internazionali rientranti nella cd. “zona SAR libica” e sulla pretesa competenza primaria dello Stato di bandiera ad indicare il porto di sbarco sicuro, appaiono assai inquietanti .La stessa sentenza della Corte di Cassazione n.6626 del 2020, e tutta la giurisprudenza che ha archiviato la maggior parte dei proccedimenti penali avviati contro le ONG, hanno escluso la competenza dello Stato di bandiera della nave ad indicare un porto di sbarco sicuro, ed ancora di più che vi sia un obbligo di rivolgersi alle autorità libiche in caso di soccorsi operati nella cosiddetta “zona SAR libica”, 

Sulla finalità di una corretta conclusione delle operazioni di soccorso e di una equilibrata diffusione dei naufraghi in diverse regioni italiane, finalità attuata in passato per decine di migliaia di persone con trasferimenti via terra, prevale indubbiamente lo scopo politico di tenere lontane le navi delle ONG da quelle zone del Mediterraneo centrale nelle quali più frequentemente operano interventi di ricerca e salvataggio. 

La sentenza del Tar del Lazio che legittima l’assegnazione di porti non solo “gravosi” ma “vessatori”, quelli più lontano possibile dalla zona dei soccorsi, e soltanto per le navi del soccorso civile, asserendo che in questo modo si puo’ garantire una migliore distribuzione dei naufraghi sul territorio nazionale e’ peraltro smentita dal principio di realta’. Infatti, favorendo la presenza e le attività di salvataggio delle Ong, e assegnando sollecitamente porti di sbarco che non ritardano ulteriori attività di soccorso, gli sbarchi possono essere programmati, come avveniva fino al 2017 (fino al codice di condotta Minniti). Fino ad allora, addirittura, le navi delle ONG trasbordavano su altre navi umanitarie, se non su navi della Guardia costiera o della Marina militare, i naufraghi appena soccorsi e riprendevano subito le attività di ricerca e salvataggio, sotto coordinamento della centrale operativa della Guardia costiera italiana. Esattamente l’opposto di quanto avviene oggi, non perchè siano mutate le Convenzioni internazionali, ma per i diversi indirizzi politici dei governi e dei ministri dell’interno. 

Allontanando le Ong, assegnando porti di sbarco sempre più lontani, ed impedendo i cosiddetti “soccorsi multipli”, come si stabilisce con il Decreto legge n.1 del 2023, oltre la consueta criminalizzazione dei soccorsi umanitari, si violano le Convenzioni internazionali, si sguarnisce di mezzi di soccorso il Mediterraneo centrale e si aumentano in modo esponenziale gli arrivi “in autonomia”, almeno di quelle persone più fortunate che il mare non inghiotte dopo giorni di abbandono in acque internazionali, per la mancanza di mezzi di soccorso che possano intervenire con la necessaria tempestività. Una tempestività dei soccorsi che viene meno se si riducono i mezzi navali che possono operare attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali e che, in nome dei poteri esclusivi del ministero dell’interno, e delle “esigenze organizzative” del sistema di accoglienza in Italia, viene negata anche da sentenze come quest’ultima pronuncia del TAR Lazio.