1. Dopo la strage di Cutro, e le pesanti accuse rivolte da più parti a chi non ha coordinato tempestivamente le attività di soccorso prima e dopo il tragico schianto del caicco proveniente dalla Turchia, ma anche dopo una serie di “incidenti” nel Canale di Sicilia, ed a nord delle coste libiche, sta ripartendo un attacco politico-mediatico contro i soccorsi operati da navi civili. Navi anche di piccole dimensioni, finanziate dalla società civile, già colpite dal Decreto legge n.1 del 2023 che, intitolato falsamente sulla “gestione dei flussi migratori”, che nulla c’entrano con i soccorsi in mare, mirava esclusivamente a criminalizzare le attività di ricerca e salvataggio ancora operate dalle poche ONG presenti nel Mediterraneo centrale, imponendo porti di sbarco lontanissimi, con una evidente finalità dissuasiva, con pesanti pene pecuniarie e nuove possibilità di sequestro e confisca delle navi umanitarie. Si può dire adesso compiuta una svolta radicale, rispetto a quanto avveniva fino al 2017, nel rapporto tra soccorso civile e sistema istituzionale di ricerca e salvataggio in mare, centrato sui comandi della Guardia costiera (Centro di coordinamento dei soccorsi – IMRCC) e della Marina militare (CINCNAV). Che oggi diventano i principali accusatori degli operatori umanitari impegnati a soccorrere vite umane in acque internazionali, in aree nelle quali spesso le autorità statali, soprattutto quelle maltesi, hanno dimostrato di non arrivare ad effettuare la doverosa attività di ricerca e salvataggio (SAR). Perchè sono tante le vittime di zone SAR, zone di ricerca e salvataggio (search and rescue) istituite dagli Stati e riconosciute dall’IMO (Organizzazione internazionale del mare) per salvare persone in pericolo (distress) e non per contrastare quella che si continua a definire soltanto come “immigrazione clandestina”. Eppure dal 2015 al 2017 le navi del soccorso civile avevano svolto un ruolo essenziale per la salvaguardia della vita umana nelle acque del Mediterraneo centrale.
Nel 2017 le imbarcazioni delle Ong erano stabilmente inserite nel dispositivo di soccorso della Guardia costiera italiana, come si evince dai Rapporti annuali delle Capitanerie di porto. E si operavano anche 30 interventi in una giornata con una piena collaborazione tra unità civili e militari.
Ad esempio il 25 giugno 2017 venivano operati 31 interventi di soccorso con 3377 naufraghi salvati, ma già prima, il 6 maggio dello stesso anno erano stati operati 32 interventi di soccorso con 3579 naufraghi salvati .Gli stessi numeri di oggi. Essenziale in quel periodo il supporto operativo delle navi delle ONG, che nel 2017 salvavano 46601 naufraghi, a fronte di 28814 soccorsi dalla Guardia costiera, e circa 18000 persone soccorse da Frontex ed Eunavfor Med. Oggi Frontex ha ritirato quasi tutti gli assetti navali, e le unità della missione Eunavfor Med, che adesso viene denominata operazione IRINI, si limitano a tracciare le imbarcazioni che partono dalla Libia ed a collaborare con la sedicente Guardia costiera libica.
2, Dal 2017 ad oggi, però, le regole operative imposte dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei per i soccorsi in acque internazionali non sono cambiate, ed è materia che il legislatore italiano o singoli ministri, con i loro decreti, non possono modificare. Lo stabilisce l’art. 117 della Costituzione italiana. E lo conferma la Corte di Cassazione.
Una vera e propria inversione – per volontà politica – delle regole sui soccorsi in mare ebbe inizio da quando Minniti a giugno del 2017, dopo il Memorandum d’intesa con il governo di Tripoli, imponeva un Codice di condotta per le ONG, che produceva l’immediato avvio dei sequestri delle navi umanitarie, con la Iuventa bloccata a Lampedusa il 3 agosto del 2017, e poi con la istituzione di una zona Sar libica fittizia, come spazio di dissuasione dei soccorsi, con motovedette regalate alla sedicente Guardia costiera libica, che neppure aveva una Centrale di coordinamento nazionale, ma delegava le attività di intercettazione in mare a milizie colluse con i trafficanti, come il “comandante”Bija a Zawia e la banda dei Koshlaf a Sabratha. E proprio in quegli anni, fino al 2020, con la missione Nauras (di Mare Sicuro) di base a Tripoli, la Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana coordinava di fatto le intercettazioni operate dalle motovedette libiche.
Vennero quindi i Rapporti di accusa (cd. Analisi dei rischi) di Frontex, poi smentiti, che accusavano le ONG di “collusione” con i trafficanti, le attività di spionaggio dei servizi imbarcati a bordo delle navi umanitarie, ed i procedimenti penali ed amministrativi contro le ONG, quasi tutti archiviati, ma diffusi come fango dai media al punto da influenzare negativamente l’opinione pubblica. Quindi arrivò Salvini a completare l’opera avviata da Minniti, con i divieti di ingresso nelle acque territoriali ed il Decreto sicurezza bis n.53 del 2019 che trasferiva poteri di controllo sui soccorsi in mare al Viminale.
Sono dati e fatti che non si possono smentire e le stesse Convenzioni internazionali ed i Regolamenti europei continuano ad essere riconosciuti anche dal Piano SAR nazionale del 2020. Solo che oggi, per motivazioni puramente politiche, pechè costituirebbero un fattore di attrazione (pull factor), tesi ormai smentita dai fatti, ma soprattutto perchè hanno fatto troppe denunce, le navi delle Organizzazioni umanitarie devono essere escluse dal sistema dei soccorsi nelle acque internazionali del Mediterraneo. Arrivano così le accuse di intralcio al sistema dei soccorsi coordinato dalla Centrale operativa della Guardia costiera, che riceverebbe troppe richieste di intervento… Anche le chiamate della Ocen Viking per denunciare gli attacchi armati da parte delle motovedette libiche intralcerebbero i soccorsi, perchè avrebbero dovuto essere diretti allo Stato di bandiera della nave. Una tesi irricevibile, che si ripropone malgrado la Corte di Giustizia dell’Unione Europea avesse delimitato le competenze degli Stati di bandiera delle navi civili di soccorso, nella stessa sentenza con la quale bocciava la politica italiana dei fermi amministrativi.
3. Sembra anche in corso una “guerra” per le attribuzioni di coordinamento tra Ministero dell’interno e Ministero della difesa, al punto che Crosetto vorrebbe mettere le mani sulle centrali operative che coordinano i soccorsi. Manovra non riuscita con l’articolo 10 del Decreto legge n.20 del 2023, poi espunto, che trasferiva poteri dal Corpo delle Capitanerie di porto ai comandi della Marina militare, ma che oggi si ripropone. La confusione regna sovrana anche in politica estera, gestita da ministri che guardano soprattutto al consenso elettorale, incuranti delle conseguenze degli accordi per la “guerra” all’immigrazione irregolare. Adesso si tenta anche di raffiorzare la cooperazione operativa con la Tunisia dell’autocrate Sayed, mentre decine di corpi abbandonati in alto mare denunciano le modalità di intervento delle motovedette tunisine, che si vorrebbero supportare con ulteriori aiuti. In questo quadro le navi del soccorso civile danno fastidio, come gli aerei privati che le assistono nelle attività di ricerca e salvataggio, che troppo spesso documentano in modo inconfutabile i respingimenti collettivi illegali e violenti delegati ai libici, o i casi di abbandono nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale che ancora continuano a verificarsi, malgrado l’impegno profuso dagli equipaggi della Guardia costiera italiana.
Diversi corpi dello Stato operano così per fare fuori le Ong che hanno fatto troppe denunce per mancato coordinamento dei soccorsi e sono scomode testimoni della collusione con Frontex ed i guardiacoste che partono dalla Tripolitania. Si arriva al punto di ecludere che i naufraghi soccorsi in alto mare fossero in una situazione di pericolo (distress). Dove non arrivano i processi ed i colpi di proiettile esplosi dalle motovedette tripoline ci pensa la burocrazia italiana al servizio della politica della “tolleranza zero” contro i soccorsi umanitari.
Il ministro delle infrastrutture e la Guardia costiera che è sotto i suoi comandi operano per screditare le Ong che si sono permesse di denunciare l’ex ministro dell’interno, e che non sono state mai condannate nei numerosi procedimenti penali aperti dalla magistratura nei loro confronti. E magari anche per rafforzare la traballante difesa di Salvini nel processo di Palermo, dove sta riuscendo il capovolgimento dei ruoli processuali con l’avvocato della difesa che si sostituisce alla Procura per portare sul banco degli accusati la Ong, che aveva denunciato il ministro nel 2019.
Le previsioni normative adottate con il Decreto legge n.1 del 2023, tuttavia, smentiscono le basi della difesa di Salvini nel processo Open Arms a Palermo, che si gioca per intero su una interpretazione distorcente dell’art.19 della Convenzione UNCLOS e quindi sulla legittimità del divieto di ingresso imposto dall’ex ministro dell’interno nell’agosto del 2019, anche dopo il decreto del TAR Lazio che ne sospendeva l’efficacia. Nel nuovo decreto, adesso convertito in legge, si riconosce infatti, come peraltro impongono le Convenzioni internazionali di diritto del mare ed il Regolamento Frontex n.656 del 2014, che il transito attraverso le acque territoriali per sbarcare i naufraghi in un porto sicuro ha carattere di passaggio “non inoffensivo”. Poi, nello stesso decreto legge, con un autentica piroetta logica, si dettano le condizioni per vietare l’ingresso della nave del soccorso civile che abbia operato in modo “non occasionale” ed abbia effettuato “soccorsi plurimi”. In ogni caso si estende l’area di responsabilità delle autorità italiane in acque internazionali e si riconoscono precisi obblighi di garantire un porto sicuro di sbarco in Italia. Anche se si impone che la nave socorritrice abbia effettuato un unico intervento di ricerca e salvataggio. Una previsione che va contro gli obblighi di soccorso imposti dalla Convenzione UNCLOS, dalla Convenzione di Amburgo, dai Regolamenti europei, e persino dal Codice della Navigazione italiano che sanziona l’omissione di soccorso. In base all’art.1113 Cod. Nav. “Il comandante di nave, di galleggiante o di aeromobile nazionali o stranieri, che omette di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne ha l’obbligo a norma del presente codice, è punito con la reclusione fino a due anni“, salvo pene più gravi nei casi in cui dal fatto derivino morte o lesioni personali per i naufraghi. Una norma che si applica anche in acque internazionali, ovunque si estenda la giurisdizione italiana, come è stato accertato dai giudici del Tribunale di Roma nel “caso Libra”, relativo alla” strage dei bambini” dell’11 ottobre 2013.
4. Le accuse che si rilanciano oggi contro le Organizzazioni del soccorso civile sono prive di fondamento. Non si può parlare di “intralcio” delle attività SAR, di ricerca e salvataggio, se si trasmettono molte richieste di aiuto in giornate in cui si verificano decine di eventi. I comandanti delle navi, e chiunque sia a conoscenza di persone in pericolo in mare, sono obbligati a chiamare la Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC) per sollecitare il coordinamento dei soccorsi. In passato le Ong sono state messe sotto accusa, con denunce poi archiviate, perchè non avvertivano tempestivamente le Centrali operative, adesso che lo fanno, come lo hanno sempre fatto, secondo quanto previsto dalla Convenzione SAR di Amburgo, dal Manuale internazionale IAMSAR, e dal Piano SAR nazionale del 2020, sono di nuovo messe sotto accusa perchè “intralcerebbero i soccorsi”. Una sfida al principio di realtà. Un’accusa infamante che si ritorcerà contro chi la sta diffondendo.
Gli argomenti addotti per attaccare le ONG, perchè opererebbero troppi interventi di ricerca e salvataggio (SAR), o metterebbero in salvo a bordo troppi naufraghi, non sono neppure tanto nuovi, e già la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ne ha dimostrato l’infondatezza, ponendo un limite alla prassi dei fermi amministrativi inaugurata dalla ex ministro dell’interno Lamorgese e proseguita fino agli ultimi giorni del governo Draghi, con il fermo amministrativo della Sea Watch 3 a Reggio Calabria il 23 settembre del 2022. Una politica soft di contrasto dei soccorsi civili, in violazione del diritto internazionale ed eurounitario, con l’uso improprio delle “navi quarantena” ed il Viminale che imponeva lunghi tempi di attesa prima dello sbarco, sulla base della distinzione tra “eventi migratori” ed “eventi di soccorso” (SAR), una prassi che già negli anni scorsi avrebbe dovuto essere oggetto di denuncia davanti alle corti internazionali, se non intervenivano i tribunali italiani.
Per i giudici europei, e secondo la logica del diritto, non disgiunta da un minimo di umanità, non possono essere considerati “passeggeri” i naufraghi che vengono soccorsi in mare, dunque non si posono stabilire limiti alle persone che si imbarcano a bordo, e solo il comandante puà decidere quando interrompere una attività di salvataggio. Gli Stati di bandiera non posono essere chiamati a coordinare attività SAR, coordinamento che spetta agli Stati costieri più vicini, qualcuno del Corpo delle Capitanerie di porto o al Viminale, dovrebbe rileggere la sentenza della Corte di Giustizia dell’agosto dello scorso anno, Le navi delle ONG non possono essere costrette, comunque, a dotarsi di ulteriori certificazioni dello Stato che è obbligato a garantire il porto di sbarco (POS), certificazioni che in passato le autorità italiane hanno invece richiesto a loro discrezione come pretesto per giustificare i fermi amministrativi. Adesso con il Decreto legge n.1 del 2023 si sono inventati nuovi pretesti per giustificare i fermi amministrativi, come il divieto di soccorsi “multipli”, ma presto se ne occuperanno i tribunali, e se necessario si ritornerà davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Se la Procura di Agrigento vorrà indagare sulle chiamate di soccorso troppo frequenti provenienti dalle ONG, non potrà trascurare il ruolo delle autorità libiche e maltesi, la tempestività delle centrali di coordinamento e il ruolo delle catene di comando militare e politico che le dirigono.
L’attacco contro i soccorsi civili si intensifica in un clima di crescente contrapposizione tra quanti rimangono indifferenti o complici di fronte ai corpi delle vittime che affiorano nel Mediterraneo e quanti invece si sentono corresponsabili di queste stragi per non essere riusciti a fermare mandanti ed esecutori, e come cittadini solidali si schierano dalla parte del rispetto dei diritti umani, dei principi di solidarietà e del diritto internazionale ed europeo. Una battaglia per la democrazia ed il rispetto dello stato di diritto, altro che “guerra globale ai trafficanti”, con gli effetti che stiamo vedendo tutti i giorni. Non ci faremo cero intimidire dalle accuse del ministro dell’interno Piantedosi che si scaglia contro la società civile che è “troppo accogliente” verso gli sbarchi. Siamo orgogliosi di fare parte “di un’opinione pubblica che annovera una consistente fetta di accettazione di questo fenomeno.”
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