venerdì 3 febbraio 2023

Il Consiglio d’Europa chiede al governo italiano il ritiro del decreto legge “anti ONG” e la fine della guerra ai soccorsi umanitari

- Fulvio Vassallo Paleologo -

 ma la Meloni “tira dritto”


“In una lettera indirizzata al ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, e diffusa dal Consiglio d’Europa, la commissaria Mijatović invita il governo a prendere in considerazione il ritiro o la revisione del Decreto legge n. 1/2023 


1. Dopo il parere di un panel di giuristi del Consiglio d’Europa, da non confondere con il Consiglio europeo che e’ un organo dell’Unione Europea, il 26 gennaio scorso, arriva il pronunciamento politico della Commissario ai diritti umani Mijatović. Una posizione dunque consolidata del Consiglio d’Europa, che potra’ avere conseguenze sulle future decisioni della Corte europea dei diritti dell’Uomo e della Corte di Cassazione italiana, che gia’ nel 2020 nella sentenza n.6626 sul caso di Carola Rackete, fatta arrestare a Lampedusa nel 2019, dopo il Decreto sicurezza bis n.53/2019 di Salvini, affermava la liceità del comportamento della comandante Rackete, la doverosità dei soccorsi umanitari,il primato del diritto internazionale sulla decretazione d’urgenza, richiamando, oltre al sistema gerarchico delle fonti imposto dall’ art.117 della Costituzione, anche una precedente Risoluzione del Consiglio d’Europa in materia di soccorso in mare.

In quell’occasione i giudici della Cassazione riprendevano una posizione già espressa dal Consiglio d’Europa con riferimento alla interpretazione delle Convenzioni internazionali di diritto del mare, ed alla legittimità dei soccorsi operati nel 2019 dalla comandante Rackete e dalla ONG Sea Watch, ribadendo che “Ad ulteriore conferma di tale interpretazione e utile richiamare Ia risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa (L’intercettazione e il salvataggio in mare dei domandanti asilo, dei rifugiati e dei migranti in situazione irregolare), secondo cui «Ia nozione di “luogo sicuro” non puo essere limitata alia sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei lora diritti fondamentali» (punto 5.2.) che, pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale”.

Oltre alla richiesta di ritiro del Decreto legge n.1 del 2023 che impropriamente viene intitolato come provvedimento sulla “gestione dei flussi migratori”, il Commissario chiede la fine della prassi discriminatoria introdotta dal ministero dell’interno che assegna soltanto alle navi delle Ong porti di sbarco sempre più lontani per rendere più oneroso e meno efficace l’intervento delle navi umanitarie nelle acque internazionali a sud di Lampedusa. Non certo per una equa distribuzione dei naufraghi, come e’ escluso anche dal trasferimento imposto a quei minori che sbarcati pochi giorni fa in un porto ligure sono stati trasportati in Puglia. Dove la nave che li ha soccorsi avrebbe potuto fare rotta direttamente, accorciando i tempi dello sbarco a terra.

“In una lettera indirizzata al ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, e diffusa dal Consiglio d’Europa, la commissaria Mijatović invita il governo a prendere in considerazione il ritiro o la revisione del Decreto legge n. 1/2023 (attualmente in corso di conversione in Parlamento). Le disposizioni del Decreto potrebbero ostacolare le operazioni di ricerca e soccorso delle ONG e, quindi, essere in contrasto con gli obblighi dell’Italia ai sensi dei diritti umani e del diritto internazionale. Il Commissario rileva inoltre che, in pratica, alle navi delle ONG sono stati assegnati luoghi sicuri lontani per sbarcare le persone soccorse in mare, come i porti del Centro e Nord Italia.

“Il decreto e la pratica di assegnare porti lontani per lo sbarco delle persone soccorse in mare rischiano di privare le persone in difficoltà dell’assistenza salvavita delle Ong sulla rotta migratoria più mortale del Mediterraneo”, scrive la Commissario Dunja Mijatović.

Inoltre, la Commissario ribadisce il suo invito alle autorità italiane a sospendere la cooperazione con il governo libico sulle intercettazioni in mare, come indicato nella sua Raccomandazione sul Mediterraneo centrale.

Infine, la Commissario chiede ulteriori informazioni sui presunti rimpatri di persone dall’Italia alla Grecia su navi private, dove sarebbero state private della libertà in condizioni preoccupanti. Basandosi sulla sua Raccomandazione per porre fine ai respingimenti in Europa, la Commissario ricorda che lo svolgimento di valutazioni individuali delle esigenze di protezione di ogni persona che arriva alla frontiera rimane una salvaguardia fondamentale contro il respingimento.”

2. Con una lettera indirizzata ieri, primo febbraio, alla Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, il Rappresentante permanente del governo italiano a Strasburgo, Michele Giacomelli, su evidente mandato dell’intero governo, risponde punto per punto al Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, in particolare sule critiche rivolte al Decreto legge n.1 del 2023, affermandone la coerenza con gli strumenti internazionali di diritto del mare, ed evidenziando l’effetto della presenza delle ONG come “modulazione del modello criminale che precede l’impiego di imbarcazioni inadeguate alla navigazione in alto mare, che, se per un verso garantiscono maggiori guadagni alle organizzazioni criminali, per altro verso, innalzano sensibilmente l’esposizione a rischio dei migranti” . Insomma, si ripropone la nota teoria che le ONG, seppure oggettivamente, favorirebbero le organizzazioni criminali, aumentando al contempo i fattori di rischio per i migranti, indotti a tentare la traversata per la presenza di questi assetti navali. Fattori di rischio che in realtà sono accresciuti da quando i governi degli Stati costieri, ed in particolare il governo italiano, hanno deciso il ritiro delle navi di soccorso statali dalle acque internazionali della zona SAR “libica”, al solo scopo di dissuadere le partenze. Aumentano i fattori di rischio anche per la mancanza di coordinamento con altri stati costieri, come Malta, che conclude accordi di respingimento con il governo di Tripoli, e per la pervicace opinione che la Libia sia oggi uno Stato unitario e sovrano, capace di garantire ai naufraghi porti di sbarco sicuri ed il pieno rispetto dei diritti umani. Tutte posizioni smentite dalle sentenze adottate dalla consolidata giurisprudenza italiana ed internazionale.

Il rappresentante permnente italiano al Consiglio d’Europa arriva a sostenere anche la legittimità dell’assegnazione di porti di sbarco in regioni lontane dalle aree di soccorso, una legittimità anche in questo caso smentita dai fatti, come dimostrano i recenti trasferimenti di minori sbarcati dalla Geo Barents di MSF dalla Liguria alla Puglia. Che ragione si può trovare per giustificare l’arrivo in Liguria e poi il trasferimento in Puglia di persone che si sarebbe dovuto sbarcare comunque nel porto sicuro pià vicino, in conformità con le Convenzioni internazionali richiamate anche dalla Corte di cassazione nella sentenza n.6626 del 2020 (caso Rackete)? Come osserva Francesca De Vittor, docente di Diritto internazionale all’Università Cattolica di Milano, “l’assegnazione di porti di sbarco ingiustificatamente lontani contraddice l’idea di cooperazione in buona fede tra gli Stati stabilita dalle Convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare. Ed è un problema”. Secondo Eugenio Cusumano, professore dell’Università di Leiden (Paesi Bassi), l’obbligo di sbarco nel tempo più breve ragionevolmente più breve vale anche per le imbarcazioni che non hanno una rotta prefissata, ““Perché a condurre le operazioni di ricerca e soccorso sono stati anche i pescherecci che hanno a loro volta una rotta ‘variabile’. In questo senso le navi delle ong si sono comportate come i pescherecci”. Non si possono adottare dunque norme o prassi discriminatorie solo con riferimento alle imbarcazioni ed ai comandanti delle Organizzazioni non governatve. Occorre quindi l’interpretazione olistica del diritto internazionale, con attenzione non soltanto al testo, ma anche al contesto”. A meno di non avere come unico obiettivo quello di rendere sempre più difficili ed onerosi i soccorsi opertati dalle navi della società civile, mentre le autorità statali collaborano con la sedicente Guardia costiera libica e non inviano loro mezzi per coordinare le attività di ricerca e salvataggio, ed intervenire tempestivamente dopo le chiamate di soccorso o l’avvistamento di imbarcazioni in situazioni di distress.

3. Nella nota di risposta, inviata dal rappresentante italiano presso il Consiglio d’Europa, si sostiene anche la irrilevanza dei respingimenti collettivi diretti dai porti dell’Adriatico verso la Grecia, pure contestati dalla Commissario europeo, e ritenuti invece leciti dal governo Meloni. Lo stesso rappresentante italiano a Strasburgo fornisce una lettura parziale degli accordi tra Italia e Grecia sui respingimenti immediati effettuati con il reimbarco a bordo della nave traghetto con la quale le persone, spesso minori non accompagnati, sono giunte nei porti italiani, affermando che il loro trattenimento rientrerebbe nelle competenze esclusive del comandante della nave, senza fare invece riferimento al Codice delle frontiere Schengen (art.14) che impone precise procedure e correlate garanzie, in tutti i casi di respingimento in frontiera, e senza tenere in alcun conto quanto deciso nella sentenza di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Sharifi contro Italia e Grecia.

Un recente rapporto investigativo di una agenzia internazionale di giornalisti indipendenti riportato anche da ECRE, Agenzia europea per i rifugiati, smentisce punto per punto tutte le osservazioni difensive prospettate dal rappresentante di governo italiano e collima perfettamente con quanto denunciato dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa sulla illegittimità dei respingimenti collettivi “con affido al comandante”che dal 2005 l’Italia esegue verso la Grecia.

4. Non sorprende infine come il rappresentante italiano al Consiglio d’Europa non dedichi neppure una frase di circostanza per rispondere alla richiesta del Commissario europeo ai diritti umani di sospendere la cooperazione italiana con le attività di intercettazione in acque internazionali operate dalla sedicente Guardia costiera libica. Una risposta che sarebbe stata assai difficile dopo le denunce dell’OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni) che confermano come la maggior parte delle persone intercettate in acque internazionali e riportate in Libia scompaiano nel nulla, e non siano detenute nei centri di detenzione formali (dove già scontano situazioni di abusi e di estorsioni documentate nei processi in Italia), ma finiscano nei centri di detenzione informali gestiti dalle milizie o vengano ceduti a padroni libici come forza lavoro da asservire, da ridurre quindi in una condizione paragonabile alla schiavitù. Con l’avallo politico ed il sostegno operativo e finanziario italiano ed europeo. Si tratta di decine di migliaia di persone che, grazie al supporto italiano e dell’agenzia europea Frontex alla sedicente Guardia costiera “libica”, ogni anno, vengono intercettate in acque internazionali e riportate in Libia. Anche su questo crimine contro l’umanità, un crimine di sistema, le denunce non mancheranno e non saranno certo le controdeduzioni presentate dal governo italiano ai fondati rilievi critici del Consiglio d’Europa, o provvedimenti come il Decreto legge n.1 del 2023, che potranno arrestare ulteriori procedimenti interni ed internazionali a carico dei rappresentanti di governo e delle autorità nazionali che si rendono direttamente responsabili di gravissime violazioni del diritto internazionale e dei diritti fondamentali delle persone migranti. Ci sono sentenze di Tribunale che le confermano. Ma di tutto questo il governo italiano sembra non preoccuparsi, forte dei numeri che può vantare in Parlamento, e della debolezza di una opposizione divisa, ed anzi annuncia un aumento del supporto alla sedicente Guardia costiera “libica” ed un rafforzamento della strategia, che sembra diventare europea, di esternalizzazione dei respingimenti e della detenzione. Una strategia che sta comportando l’aumento delle vittime in alto mare e dei soggetti vulnerabili abusati a terra. Ma oltre che sul piano giudiziario, anche sul piano politico, i successi che la Meloni vanta continuamente, rivolgendosi al suo elettorato, saranno presto smentiti dai fatti, e dalle decisioni dei vertici europei.

fonte.A-DIF