- WWF- Le foreste sono il nostro antivirus ma le stiamo distruggendo
numerose ricerche indicano come in una foresta naturale, ricca di biodiversità, i virus responsabili di numerose malattie che riguardano l’uomo vivono in equilibrio con l’ambiente e con le diverse specie presenti, mentre in territori deforestati o dove la foresta è stata degradata o frammentata questi stessi organismi hanno più occasioni di diffondersi generando epidemie
Le foreste coprono il 31% delle terre emerse del pianeta e, grazie a processi come la fotosintesi clorofilliana, contribuiscono alla lotta al cambiamento climatico assorbendo CO2 e garantiscono la vita sul pianeta, producendo oltre il 40% dell’ossigeno atmosferico. Sono habitat per l’80% della biodiversità terrestre, in cui abitano milioni di specie in gran parte ignote alla scienza, compresi virus, batteri, funghi e molti altri organismi, anche parassiti, che vivono in equilibrio con l’ambiente e le specie con le quali si sono evoluti.
Le foreste forniscono un’infinità di servizi alla vita sul pianeta, fra cui non ultimo la protezione della nostra salute. Agiscono, infatti, come un vero e proprio antivirus e nel suo ultimo report "Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi-Tutelare la salute umana conservando la biodiversità" il WWF Italia spiega come proprio la distruzione e il degrado delle foreste per mano dell’uomo stia favorendo la diffusione di vere e proprie pandemie, come quella da Coronavirus che stiamo vivendo.
I cambiamenti di uso del suolo e la distruzione di habitat naturali come le foreste sono infatti responsabili dell’insorgenza di almeno la metà delle zoonosi emergenti, ovvero nuove patologie trasmesse dagli animali all’uomo. Come scrive David Quammen nel suo Spillover: “Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie”. La distruzione delle foreste espone infatti l’uomo a forme di contatto con nuovi microbi tramite le specie selvatiche che li ospitano. Il cambiamento di uso del territorio come le strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici (bushmeat), oppure lo sviluppo di villaggi in territori prima selvaggi, hanno portato la popolazione umana a un contatto più stretto con nuovi virus, che essendo facilmente soggetti a mutazioni si adattano bene e velocemente a nuove condizioni e a nuovi ospiti, uomo incluso. Ad esempio, nelle foreste incontaminate dell’Africa occidentale vivono alcuni pipistrelli portatori del virus Ebola, poi trasmesso agli umani. Allo stesso modo, l’ingresso in foreste un tempo intatte da parte di comunità umane, sempre in Africa, ha aumentato i contatti diretti o indiretti con serbatoi di malattie come la febbre gialla (che viene trasmessa, attraverso le zanzare, a partire da scimmie infette) e la leishmaniosi. Anche l’HIV (Human Immunodeficiency Virus) si è adattato all’uomo a partire dalla variante presente nelle scimmie delle foreste dell’Africa Centrale. Raggiunto l’ospite umano, si è poi potuto diffondere attraverso la trasmissione diretta uomo-uomo, determinando così l’attuale diffusione globale dell’AIDS, che ha contato più di 35 milioni di morti ad oggi.
In generale numerose ricerche indicano come in una foresta naturale, ricca di biodiversità, i virus responsabili di numerose malattie che riguardano l’uomo vivono in equilibrio con l’ambiente e con le diverse specie presenti, mentre in territori deforestati o dove la foresta è stata degradata o frammentata questi stessi organismi hanno più occasioni di diffondersi generando epidemie.
Oggi, quasi la metà della superficie forestale che abbracciava e proteggeva il nostro pianeta, non esiste più: si stima, infatti, che rispetto ai 6.000 miliardi di alberi che abbracciavano la terra all’inizio della rivoluzione agricola, oggi ne restino circa la metà, 3.000 miliardi. Solo la deforestazione produce dal 12% al 20% delle emissioni di gas serra e questo la rende una delle cause principali del riscaldamento globale. La combinazione di deforestazione - spesso legata a pratiche illegali -, agricoltura intensiva, zootecnia e cambiamenti climatici, sfocia nell’aumento esponenziale degli incendi. Dopo un 2019 di fuoco per Amazzonia, Bacino del Congo, Artico e Indonesia, l’inizio del 2020 ha visto l’Australia fronteggiare gli incendi boschivi più catastrofici di sempre: si stima che oltre un miliardo di animali siano molti nelle fiamme e più di 12 milioni di ettari sono andati in fumo. Non è più confortante la situazione dell’Amazzonia, dove abbiamo ormai perso più del 17% della superficie forestale e stiamo drammaticamente raggiungendo un punto di non ritorno (tipping point), che diversi autorevoli scienziati indicano intorno al 25% del complessivo ecosistema amazzonico distrutto: oltre questo punto le foreste non saranno più in grado di svolgere le loro funzioni ecologiche e potrebbero arrivare al collasso, lasciando dietro di sé erosione, siccità e aride savane. Secondo un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature, illustrato da Wannes Hubau, ricercatore al Museo Reale dell’Africa centrale di Bruxelles, entro il 2040, infatti, quello che attualmente rappresenta il polmone verde del nostro pianeta potrebbe produrre più CO2 di quanta sia in grado di immagazzinare. Deforestazione e incendi sono fra le cause principali di questa situazione, che si sommano ai terribili effetti della crisi climatica sugli ecosistemi forestali. Tutelarli efficacemente e ridurre i nostri consumi di prodotti legati alla deforestazione rappresenta la migliore assicurazione sulla nostra salute e il migliore antidoto contro future pandemie. Nonostante il 91% dei cittadini europei sia consapevole dell’importanza delle foreste per la propria vita, i consumi europei contribuiscono in maniera rilevante a distruggere le foreste del pianeta e altri ecosistemi trasformati in campi e pascoli. La politica europea e nazionale deve guidare le aziende verso una trasformazione che permetta ai cittadini di consumare consapevolmente. A questo scopo il WWF in Europa sta chiedendo alla Commissione Europea di fare al Parlamento e ai paesi membri una nuova forte proposta di legge entro il 2021.
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