- comunicato -
Nessun dialogo con i più deboli e
numerosi specialisti-precari
della filiera
[Accì] Pubblichiamo
un ampio stralcio dell’analisi dei
lavoratori precari del movimento “Mi Riconosci? Sono un Professionista dei beni
culturali”, una realtà associativa in continua
crescita con ramificazioni in tutte le regioni, sorta dal basso in piena
autonomia alla fine del 2015, avviando un campagna “sull’accesso alle
professioni dei beni culturali e sulla valorizzazione dei titoli di studio del
settore” . Mi Riconosci? è uno dei pochi soggetti – purtroppo – che si contrappone alle scelte politiche adottate da tutti i governi succedutisi, i quali – senza soluzione di continuità – hanno, a nostro avviso, subordinato la Tutela del patrimonio culturale alla gestione aziendalista, privatizzando con una progressiva esternalizzazione i servizi (da quelli aggiuntivi alla didattica), nell’illusoria valorizzazione dei beni che dovrebbero autofinanziarsi senza gravare sulla fiscalità generale. Questa politica – secondo noi – scellerata ha svuotato la struttura dei BB.CC. privandosi di un proprio apparato tecnico-scientifico (archeologi, restauratori, storici dell’arte, etno-antropologi, specialisti della diagnostica, etc.), e quei pochi istituti scientifici pubblici rimasti ancora in piede sono in continua sofferenza, date le poche risorse loro destinate. Sullo sfondo si vedono tanti giovani professionisti esperti nel settore condannati alla precarietà a vita. Lo stralcio che proponiamo riprende in sintesi la vicenda BB.CC. che mette in evidenza il perseverare del ministro nell’ignorare il grande bacino di competenze di cui dispone il nostro paese
All’indomani
dello scoppio della crisi Dario Franceschini ha
incontrato il responsabile del dipartimento Agricoltura e Turismo (sic) della
Lega, Gian Marco Centinaio (2 marzo), poi il Ministero ha
annullato la domenica gratuita al Museo, ha incontrato le imprese
del Turismo, del Cinema, dello Spettacolo (28 febbraio), poi
Federculture e le
imprese del settore del Patrimonio Culturale (4 marzo).
Ma non ha mai aperto un dialogo con i più deboli e numerosi della
filiera: i lavoratori esternalizzati e precari. Non ha incontrato
neppure gli enti locali, esposti in prima linea al collasso turistico,
culturale e sociale che ne potrebbe conseguire, e che pure si
sono fatti promotori di misure molto coraggiose per far fronte
all’emergenza. Nel frattempo agisce, nel silenzio, sempre nella stessa
direzione: l’11 marzo la
Direzione Generale Bilancio ha esplicitamente invitato gli uffici periferici
del Ministero a sospendere i contratti che si possono sospendere.
Non stupisce, dato il contesto, che nel decreto del 16 marzo, arrivato dopo tre
settimane di crisi di intensità mai vista, siano previste una serie
di misure,
come il rimborso per biglietti o tour, tutte volte a difendere le aziende dello
spettacolo e del turismo, con fondi che serviranno per
appianare le perdite, non per dare lavoro.
Sono
misure figlie della cieca fede in un sistema assurto ormai a dogma, a scapito
della più banale attinenza alla realtà. Sia chiaro, è sacrosanto
tutelare anche gli investimenti, ma non dimenticando altri
aspetti vitali. E invece ciò che sta accadendo è proprio questo: la
tutela degli investimenti per tutelare un sistema, ad ogni costo, in questo
caso a costo di lasciare decine di migliaia di persone senza soldi per
mangiare.
Si ha
davvero l’impressione che i lavoratori della Cultura siano visti solo come
fornitori di servizi senza alcun diritto. Mentre gli si chiede di “usare
al massimo i loro social e siti” (8 marzo), si sprecano le parole
su cosa deve fare il mondo della cultura, non si
spende una sola parola su ciò che stanno patendo i lavoratori di quel mondo:
gli archeologi ancora
costretti a lavorare nei cantieri nonostante non vi sia nulla
di essenziale e urgente in essi; le guide
e gli educatori museali ridotti a reddito zero da settimane;
l’intero comparto turistico (vale il 13%
del PIL) crollato come un castello di carta; le cooperative che in
tutta Italia interrompono
collaborazioni e contratti.
È in
momenti difficili come questi che si nota quanto sarebbe importante avere un
Ministro capace, preparato e dedito a ciò che amministra, e non un avvocato con
esperienza esclusivamente politica. Ma in un momento come questo
sarebbe un grave errore soffermarsi su ciò che dovrebbe essere: dobbiamo
concentrarci su ciò che deve essere. E ciò che deve essere è una revisione
totale di un sistema che se non viene smantellato creerà solo e soltanto costi,
economici e sociali: non ha minimamente senso mantenere delle aziende
private con fondi statali, se queste non garantiscono il mantenimento dei
livelli occupazionali.
Reddito
immediato per tutti i lavoratori del settore, almeno per qualche mese, per far
fronte alle spese ed evitare il collasso economico-sociale; un sistema di
incentivi e obblighi per le imprese perché aumentino le stabilizzazioni anche
durante la crisi; aiuto statali solo a chi tutela il lavoro e rispetta
determinati standard; aumento delle assunzioni pubbliche, non solo statali; e,
approfittando di queste settimane di totale blocco, revisione profonda del
sistema che ha regolato e dominato il settore culturale (e non solo) in questi
trent’anni, limitando esternalizzazioni e subappalti ai casi in cui ci sia un
vantaggio per la collettività e una tutela del lavoro, attraverso un sistema di
precisi vincoli e contrappesi. Sono ovvietà, prima erano utili e
urgenti, adesso sono misure emergenziali che vanno prese all’istante, se si
vuole evitare il peggio. È possibile che né il Ministro né il Ministero abbiano
intenzione di affrontare l’emergenza e la realtà: ma questa invaderà le stanze
governative come un fiume in piena se non si farà qualcosa in tempo. Se
il Ministero dei Beni Culturali se ne laverà le mani, starà al Governo
prenderne atto, con gli altri ministeri competenti, dall’Economia al Lavoro. E
starà a noi fargliene prendere atto prima che sia troppo tardi.
Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni
culturali