venerdì 11 ottobre 2019

LA DIFESA DELLA SIRIA DEL NORD È NOSTRA COMUNE RESPONSABILITÀ !

 Solidarietà al popolo Kurdo  





-Ufficio Stampa Md-




 No   all'invasione   turca 




domani 12 ottobre alle ore 17,30 concentramento a piazza Verdi 
davanti al Teatro Massimo

 Come in altre decine di città del mondo 

 anche Palermo si mobilita a sostegno delle popolazioni  

   della Confederazione del nord-est della  Siria      

 e con le forze rivoluzionarie curde   



[accì]  La manifestazione di incondizionata solidarietà in favore alle comunità mesopotamica, che hanno dato vita all’esperienza politica di grande portata rivoluzionaria con la costituzione della Confederazione del Nord-Est, è stata promossa dalla sinistra radicale, la quale sembra aver ritrovato in questi ultimi tempi le ragioni per lo sviluppo di una azione politica comune sia sul terreno locale che sul versante globale.
Nell’invitare la cittadinanza democratica a far sentire la propria voce, mentre ancora rimbomba l’assordante silenzio dell’Unione Europea, la sinistra radicale palermitana  -in un congiunto comunicato- ha voluto sottolineare l’essenza del presidio di piazza: “Facciamo appello a tutte le realtà democratiche e antifasciste perché si mobilitino insieme a noi dando voce alla solidarietà con l'Amministrazione Autonoma della Siria del nord”. In sostanza, si vuole richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, mettendo in evidenza il sacrificio umano e la generosità messa in campo della popolazione della Siria del nord che “non ha solo combattuto la guerra contro ISIS per tutte e tutti noi”, ma ha anche dato avvio – come si faceva cenno prima - ad  “un sistema di autogoverno fondato sulla democrazia dal basso che ha dato forza e speranza a tutto il Mondo”.
Insomma nei confronti delle democrazie occidentali queste popolazioni vantano un enorme credito, oggi ripagate con l’ipocrita e complice sollecitazione delle cancellerie imperiali che invitano l’alleato Erdogan a “non essere troppo duro” e di salvaguardare donne e bambini. Di converso, il sultano turco, dopo aver messo a tacere le voci di opposizione interne, minaccia di inondare la liberalista Europa con i tre milioni e mezzo di profughi “ospitati” nei campi-lager finanziati con euro sonante, per il sol fatto di essersi l'UE permessa tiepidamente di dissentire da quella che è una vera e propria operazione di pulizia etnica contro la comunità kurda. All’alleanza nordatlantica, invece, Erdogan ha sostanzialmente fatto valere il peso militare della Turchia -il secondo esercito Nato dopo quello USA- che dopo il ritiro delle truppe americane da quell'area rappresenta il principale mastino da guardia a difesa del sistema capitalista in medio-oriente.
Ma si è proprio certi che la partita anti-Isis sia del tutto conclusa?  Secondo quanto ha dichiarato ieri a Roma, nel corso della conferenza stampa, la comandante curda Ypj Dalbr Jomma Issa, dove ha lanciato un appello alla comunità internazionale per un intervento risoluto in Rojava: «L’attacco di Erdogan sta colpendo in maniera indiscriminata militari e civili e potrebbe aprire le porte a un secondo Califfato». Infatti, con l’inizio dell’operazione “Sorgente di Pace” che -a dispetto del  nome- non risparmia nemmeno la popolazione civile, la comandante kurda ha allertato la Comunità internazionale, facendo rilevare che: «La situazione diventa ancora più esplosiva se pensiamo che sono presenti sul territorio circa 12.000 prigionieri di Daesh, che non sappiamo quanto possiamo tenere sotto controllo se l’offensiva dovesse continuare. Alcuni di loro sono foreign fighter, sulla cui sorte chiediamo da tempo che si esprimano gli organismi internazionali. Se dovessero tornare in libertà, potrebbero facilmente muoversi fra i vari confini arrivando magari in Europa. Non è un problema solo nostro: rappresentano una minaccia per tutto il mondo». Così si conclude il drammatico appello di Ypj Dalbr Jomma Issa, la quale ha altresì precisato i termini dei contatti con il regime siriano, chiarendo in modo inequivocabile le differenti prospettive: «loro vogliono ritornare alla situazione di undici anni fa, mentre per noi è fondamentale invece che si vada verso uno stato siriano democratico e federale. Altrimenti, vorrebbe dire affossare il progetto che abbiamo portato avanti fino a questo punto».

Intanto giungono i primi tristi resoconti sulle problematiche tipiche degli scenari di guerra. «L’unica sicurezza per questa zona è l’immediata cessazione delle ostilità», questo è quanto ha sintetizzato un operatore umanitario membro dello staff della Ong italiana “Un ponte per”, la cui testimonianza è stata pubblicata da DINAMOPress, da cui riprendiamo uno stralcio dell’articolo fra i più significativi: “I luoghi dove l’offensiva è stata più dura sono sicuramente le zone di Serikanyye e Tel-Abyad, zone da cui gli americani si sono ritirati negli scorsi giorni. Durante la notte alcune parti del muro che costeggia il confine turco-siriano sono state rimosse per facilitare l’ingresso delle truppe turche. Allo stato attuale, continuano colpi di artiglieria e occasionali attacchi aerei lungo tutto il confine. È chiaro che oltre ai numeri, tutti questi attacchi stanno gravemente minando il morale della popolazione: ci sono state scene di panico sia ieri che oggi, persone che sono fuggite in massa anche dai villaggi, non solo dalle città più grandi. Ovviamente i problemi più gravi sono innanzitutto relativi all’offerta di assistenza sanitaria per i feriti e in secondo luogo all’ approvvigionamento idrico della città di Hassake”.