Solidarietà al popolo Kurdo
-Ufficio Stampa Md-
No all'invasione turca
domani 12 ottobre alle ore 17,30 concentramento a piazza Verdi
davanti al Teatro Massimo
Come in altre decine di città del mondo
anche Palermo si mobilita a sostegno delle popolazioni
della Confederazione del nord-est della Siria
e con le forze rivoluzionarie curde
[accì] La manifestazione di incondizionata solidarietà in favore alle comunità mesopotamica, che
hanno dato vita all’esperienza politica di grande portata rivoluzionaria con la
costituzione della Confederazione del Nord-Est, è stata promossa dalla
sinistra radicale, la quale sembra aver ritrovato in questi ultimi tempi le ragioni
per lo sviluppo di una azione politica comune sia sul terreno locale che sul
versante globale.
Nell’invitare la cittadinanza democratica a far
sentire la propria voce, mentre ancora rimbomba l’assordante silenzio dell’Unione
Europea, la sinistra radicale palermitana
-in un congiunto comunicato- ha voluto sottolineare l’essenza del
presidio di piazza: “Facciamo appello a tutte le realtà democratiche e
antifasciste perché si mobilitino insieme a noi dando voce alla solidarietà con
l'Amministrazione Autonoma della Siria del nord”. In sostanza, si vuole
richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, mettendo in evidenza il
sacrificio umano e la generosità messa in campo della popolazione della Siria
del nord che “non ha solo combattuto la guerra contro ISIS per tutte e tutti
noi”, ma ha anche dato avvio – come si faceva cenno prima - ad “un sistema di autogoverno fondato sulla
democrazia dal basso che ha dato forza e speranza a tutto il Mondo”.
Insomma nei confronti delle democrazie occidentali
queste popolazioni vantano un enorme credito, oggi ripagate con l’ipocrita e
complice sollecitazione delle cancellerie imperiali che invitano l’alleato Erdogan a “non
essere troppo duro” e di salvaguardare donne e bambini. Di converso, il sultano turco, dopo aver messo a tacere le
voci di opposizione interne, minaccia di inondare la liberalista Europa con i
tre milioni e mezzo di profughi “ospitati” nei campi-lager finanziati con euro
sonante, per il sol fatto di essersi l'UE permessa tiepidamente di dissentire da quella che è una vera e propria operazione
di pulizia etnica contro la comunità kurda. All’alleanza nordatlantica, invece, Erdogan ha sostanzialmente fatto valere il peso militare della Turchia -il secondo esercito Nato dopo quello USA- che dopo il ritiro delle truppe americane da quell'area rappresenta il principale mastino da guardia a difesa del sistema capitalista in
medio-oriente.
Ma si è proprio certi che la partita anti-Isis sia
del tutto conclusa? Secondo quanto ha dichiarato
ieri a Roma, nel corso della conferenza
stampa, la comandante curda Ypj
Dalbr Jomma Issa, dove ha lanciato un appello alla comunità internazionale per
un intervento risoluto in Rojava: «L’attacco di Erdogan sta colpendo in maniera
indiscriminata militari e civili e potrebbe aprire le porte a un secondo
Califfato». Infatti,
con l’inizio dell’operazione “Sorgente di Pace” che -a dispetto del nome- non
risparmia nemmeno la popolazione civile, la comandante kurda ha allertato la
Comunità internazionale, facendo rilevare che: «La situazione diventa ancora
più esplosiva se pensiamo che sono presenti sul territorio circa 12.000
prigionieri di Daesh, che non sappiamo quanto possiamo tenere sotto controllo
se l’offensiva dovesse continuare. Alcuni di loro sono foreign fighter, sulla
cui sorte chiediamo da tempo che si esprimano gli organismi internazionali. Se
dovessero tornare in libertà, potrebbero facilmente muoversi fra i vari confini
arrivando magari in Europa. Non è un problema solo nostro: rappresentano una
minaccia per tutto il mondo». Così si conclude il drammatico appello di Ypj Dalbr Jomma Issa,
la quale ha altresì precisato i termini dei contatti con il regime siriano,
chiarendo in modo inequivocabile le differenti prospettive: «loro vogliono ritornare alla situazione di
undici anni fa, mentre per noi è fondamentale invece che si vada verso uno
stato siriano democratico e federale. Altrimenti, vorrebbe dire affossare il
progetto che abbiamo portato avanti fino a questo punto».
Intanto giungono i primi tristi resoconti sulle problematiche tipiche
degli scenari di guerra. «L’unica sicurezza per questa zona è l’immediata cessazione
delle ostilità», questo è quanto ha sintetizzato un operatore umanitario membro dello staff della Ong italiana “Un
ponte per”, la cui testimonianza è stata pubblicata da DINAMOPress,
da cui riprendiamo uno stralcio dell’articolo fra i più significativi: “I luoghi dove l’offensiva è stata più dura sono
sicuramente le zone di Serikanyye e Tel-Abyad, zone da cui gli americani si
sono ritirati negli scorsi giorni. Durante la notte alcune parti del muro che
costeggia il confine turco-siriano sono state rimosse per facilitare l’ingresso
delle truppe turche. Allo stato attuale, continuano colpi di artiglieria e
occasionali attacchi aerei lungo tutto il confine. È chiaro che oltre ai
numeri, tutti questi attacchi stanno gravemente minando il morale della
popolazione: ci sono state scene di panico sia ieri che oggi, persone che sono
fuggite in massa anche dai villaggi, non solo dalle città più grandi. Ovviamente
i problemi più gravi sono innanzitutto relativi all’offerta di assistenza
sanitaria per i feriti e in secondo luogo all’ approvvigionamento idrico della
città di Hassake”.