“RIPORTARE AL CENTRO ALCUNE DECISIONI”
Salvatore Settis
il rischio di una regionalizzazione della tutela porterebbe a
conseguenze deleterie così come già accaduto in Sicilia
“Autonomia” è una parola chiave, anche perché ce n’è una ben
più minacciosa fattispecie: l’“autonomia differenziata” delle Regioni, che
intende metter le mani anche sul sistema della tutela: il modello fa leva – da un
lato- sul Titolo V della Costituzione secondo, la riforma voluta dal centrosinistra
nel 2001, e – dall’altro- sugli accordi preliminari firmati dal governo-Gentiloni
La riforma Franceschini ebbe marcato carattere burocratico: lo
mostra sia l’abolizione delle Soprintendenze archeologiche, inglobate entro più
vaste unità, sia la “dipendenza funzionale” delle Soprintendenze dai prefetti
(legge Madia). Ma il suo aspetto più noto, anche perché lanciato con la
grancassa renziana, è l’autonomia dei principali musei: ed è su questo punto
che incidono i provvedimenti Bonisoli.
Il
ministero “modello Franceschini” comporta una forte bipartizione fra tutela e
valorizzazione e individua musei e parchi archeologici come luoghi deputati
della “valorizzazione”. Di qui la scelta di creare un piccolo numero di
“super-musei” con speciale autonomia, di raccogliere gli altri entro “poli
museali” (spesso disomogenei), e di concepire le Soprintendenze territoriali,
dopo averne estirpato musei e parchi, come enti residuali. Si allenta in tal
modo il carattere organico della tutela territoriale, e la promozione dei musei
a cuore del sistema si fa a spese del territorio, tradendo l’originale spirito
della tutela. Ma se l’idea di una forte autonomia dei musei è giusta (come lo è
aprire a direttori non-italiani), la riforma ha mortificato e indebolito il
sistema di tutela territoriale: i musei italiani (a differenza del Metropolitan
o del Louvre) sono diretta espressione del territorio, e dunque forme di
autonomia si dovevano concedere, senza staccarli dalla rete relazionale di cui
fanno parte. “Autonomia” è, nella discussione in corso, la parola chiave, anche
perché ce n’è una ben più minacciosa fattispecie: l’“autonomia differenziata”
delle Regioni, che intende metter le mani anche sul sistema della tutela.
Questo
progetto leghista ha avuto una battuta d’arresto, ma fatalmente risorgerà:
anche perché fa leva sul Titolo V della Costituzione secondo la riforma del
2001 (centrosinistra) e su accordi preliminari firmati Gentiloni. Perciò
anziché difendere l’autonomia museale credendosi per definizione nel giusto
sarebbe il caso di capire (si veda l’articolo che ho firmato con Tomaso Montanari
sul Fatto del 29 giugno) che riportare al centro alcune
decisioni allontana il rischio di una regionalizzazione della tutela che già in
Sicilia ha avuto deleterie conseguenze.
Anziché predicare “Franceschini buono, Bonisoli cattivo” è
opportuno guardare da vicino i provvedimenti giudicando nel merito. Qualche
esempio: se gli “accorpamenti” di uffici rimproverati a Bonisoli sono un male,
come mai il discutibile accorpamento della Direzione generale Archeologia con
Belle Arti e Paesaggio, operato da Franceschini, sarebbe invece un bene?
Eppure, l’accusa a Bonisoli di essere artefice di accorpamenti si è spinta fino
ad attribuire a lui, e non a Franceschini, quella decisione. Ma l’esempio più
chiaro sono gli organi di coordinamento nati come Soprintendenze (poi Direzioni,
poi Segretariati) regionali. Essi diventano ora Segretariati distrettuali, il
cui territorio può estendersi a più Regioni, efficace controveleno alla
possibile regionalizzazione della tutela. Altro esempio: quando il segretario
generale Panebianco ricorda che i direttori dei musei autonomi, in quanto
consegnatari anche degli edifici pubblici dove essi hanno sede, non possono
intervenire sulle architetture senza il consenso della relativa Soprintendenza
territoriale, non fa che applicare la legge. Eppure è stato criticato proprio
da chi intanto sostiene, secondo il modello Franceschini, che direttore di un
museo può essere un manager (e non storico dell’arte o archeologo), dunque
senza competenze per intervenire su edifici storici.
Se qualcosa si può rimproverare alle norme Bonisoli è semmai di
aver lasciato sostanzialmente intatto il modello Franceschini, pur intervenendo
sulla redistribuzione di alcune entità museali, come l’Accademia a Firenze o il
Cenacolo a Milano. Scelte discutibili, certo, ma che non “inceneriscono” la
riforma Franceschini come ha scritto Repubblica. Anzi, pur correggendone alcuni
aspetti, la confermano anche troppo.