venerdì 30 agosto 2019

BONISOLI O FRANCESCHINI ? -2

 “RIPORTARE AL CENTRO ALCUNE DECISIONI” 

Salvatore Settis

 il rischio di una regionalizzazione della tutela   porterebbe a conseguenze deleterie così come già   accaduto in Sicilia 

“Autonomia” è  una parola chiave, anche perché ce n’è una ben più minacciosa fattispecie: l’“autonomia differenziata” delle Regioni, che intende metter le mani anche sul sistema della tutela: il modello fa leva – da un lato- sul Titolo V della Costituzione secondo, la riforma voluta dal centrosinistra nel 2001, e – dall’altro- sugli accordi preliminari firmati dal governo-Gentiloni


La riforma Franceschini ebbe marcato carattere burocratico: lo mostra sia l’abolizione delle Soprintendenze archeologiche, inglobate entro più vaste unità, sia la “dipendenza funzionale” delle Soprintendenze dai prefetti (legge Madia). Ma il suo aspetto più noto, anche perché lanciato con la grancassa renziana, è l’autonomia dei principali musei: ed è su questo punto che incidono i provvedimenti Bonisoli.
Il ministero “modello Franceschini” comporta una forte bipartizione fra tutela e valorizzazione e individua musei e parchi archeologici come luoghi deputati della “valorizzazione”. Di qui la scelta di creare un piccolo numero di “super-musei” con speciale autonomia, di raccogliere gli altri entro “poli museali” (spesso disomogenei), e di concepire le Soprintendenze territoriali, dopo averne estirpato musei e parchi, come enti residuali. Si allenta in tal modo il carattere organico della tutela territoriale, e la promozione dei musei a cuore del sistema si fa a spese del territorio, tradendo l’originale spirito della tutela. Ma se l’idea di una forte autonomia dei musei è giusta (come lo è aprire a direttori non-italiani), la riforma ha mortificato e indebolito il sistema di tutela territoriale: i musei italiani (a differenza del Metropolitan o del Louvre) sono diretta espressione del territorio, e dunque forme di autonomia si dovevano concedere, senza staccarli dalla rete relazionale di cui fanno parte. “Autonomia” è, nella discussione in corso, la parola chiave, anche perché ce n’è una ben più minacciosa fattispecie: l’“autonomia differenziata” delle Regioni, che intende metter le mani anche sul sistema della tutela.
Questo progetto leghista ha avuto una battuta d’arresto, ma fatalmente risorgerà: anche perché fa leva sul Titolo V della Costituzione secondo la riforma del 2001 (centrosinistra) e su accordi preliminari firmati Gentiloni. Perciò anziché difendere l’autonomia museale credendosi per definizione nel giusto sarebbe il caso di capire (si veda l’articolo che ho firmato con Tomaso Montanari sul Fatto del 29 giugno) che riportare al centro alcune decisioni allontana il rischio di una regionalizzazione della tutela che già in Sicilia ha avuto deleterie conseguenze.
Anziché predicare “Franceschini buono, Bonisoli cattivo” è opportuno guardare da vicino i provvedimenti giudicando nel merito. Qualche esempio: se gli “accorpamenti” di uffici rimproverati a Bonisoli sono un male, come mai il discutibile accorpamento della Direzione generale Archeologia con Belle Arti e Paesaggio, operato da Franceschini, sarebbe invece un bene? Eppure, l’accusa a Bonisoli di essere artefice di accorpamenti si è spinta fino ad attribuire a lui, e non a Franceschini, quella decisione. Ma l’esempio più chiaro sono gli organi di coordinamento nati come Soprintendenze (poi Direzioni, poi Segretariati) regionali. Essi diventano ora Segretariati distrettuali, il cui territorio può estendersi a più Regioni, efficace controveleno alla possibile regionalizzazione della tutela. Altro esempio: quando il segretario generale Panebianco ricorda che i direttori dei musei autonomi, in quanto consegnatari anche degli edifici pubblici dove essi hanno sede, non possono intervenire sulle architetture senza il consenso della relativa Soprintendenza territoriale, non fa che applicare la legge. Eppure è stato criticato proprio da chi intanto sostiene, secondo il modello Franceschini, che direttore di un museo può essere un manager (e non storico dell’arte o archeologo), dunque senza competenze per intervenire su edifici storici.
Se qualcosa si può rimproverare alle norme Bonisoli è semmai di aver lasciato sostanzialmente intatto il modello Franceschini, pur intervenendo sulla redistribuzione di alcune entità museali, come l’Accademia a Firenze o il Cenacolo a Milano. Scelte discutibili, certo, ma che non “inceneriscono” la riforma Franceschini come ha scritto Repubblica. Anzi, pur correggendone alcuni aspetti, la confermano anche troppo.
 

su EMERGENZA CULTURA l’articolo integrale di Salvatore Settis, “Decreto Musei: niente partigianerie