Beni culturali, riforme e controriforme,
non si finisce più
Vittorio
Emiliani
Chi
sarà il ministro dei Beni Culturali nel Conte 2 che si va profilando?
Ancora
Alberto Bonisoli? E se nella stessa compagine vi sarà pure, in un posto di
rilievo, l’ex ministro Dario Franceschini?
Un bel march. Infatti, in scadenza, a Ferragosto Bonisoli ha per
decreto cercato di riformare in tutta fretta la Deforma museale firmata Franceschini, ma il risultato per molti
addetti ai lavori è stato quello di rideformare la deforma perché altro non avrebbe
potuto fare. Oltre tutto molti Poli Museali hanno dimostrato nel tempo
intercorso di essere nati/morti, per cui accorpare dei cadaveri non porta a
risultati particolarmente vitali. Siamo sempre al cimiteriale, ai morticini
È
l’autonomia finanziaria dei musei ad essere la mega-balla,
visto che le Grand Louvre – che doveva rappresentare in concreto l’autonomia
delle autonomie – risulta passivo per il 50 % del proprio fabbisogno vitale,
cioè per oltre 100 milioni di euro. Che annualmente deve sborsare lo Stato per
farlo vivere. A molti dei nostri Musei qualificati sulla carta “autonomi” gli
incassi bastano, sì e no, per luce, gas, climatizzazione, carta igienica. A
parte alcune, poche aree archeologiche, certo, purché non si debbano
considerare, temo, le spese di manutenzione straordinaria …
Su Eddyburg Maria Pia Guermandi è uscita dalla palude museale
fine a se stessa per sottolineare un dato di fatto clamoroso: nella visione del
ministro Bonisoli è sparito il territorio, è sparito il paesaggio. Ed è
verissimo. Eppure l’articolo 9 della Costituzione pone l’accento nella tutela
del paesaggio ancor prima che del patrimonio storico e artistico. Il quale, a
sua volta, oltre che di Musei (da far diventare “macchine da soldi” nella rozza
visione Renzi/Franceschini), è composto da 95.000 chiese e cappelle (nel Sud
sono lì le vere Pinacoteche), 40.000 fra torri e castelli, oltre 2.200 aree e
siti archeologici, migliaia di biblioteche storiche, laiche ed ecclesiastiche,
decine di migliaia di archivi (storici, letterari, musicali, ecc.), 20.000
centri storici, buona parte dei quali di origine etrusca, celtica, magnogreca,
italica, romana, longobarda, ecc., 1.000 definiti mirabili. Oltre a quel
“palinsesto millenario” – come lo definì in un celebre discorso parlamentare al
Senato Giulio Carlo Argan nel 1985 per la legge Galasso – costituito dal
paesaggio per gran parte (il 90 %) rifatto dalla mano dell’uomo, soprattutto da
contadini, mezzadri, proprietari illuminati. “Le belle contrade” di cui parla
un altro grande: Piero Camporesi. Paesaggi italiani tutelati grazie alla legge
Bottai n. 1497 del 1939 e alla legge Galasso appena citata, i quali formano
quasi al 50 % di penisola e isole.
L’intento di partenza di Bonisoli può essere apprezzabile.
Rimettere ordine nella frantumazione, nel guazzabuglio, nella scomposizione
anche funzionale degli uffici, degli interventi, delle competenze, provocata
dissennatamente con le sue Deforme a raffica da Franceschini. Le quali hanno
però una radice, un punto originario di partenza inesorabilmente malato e cioè
la scissione fra tutela e valorizzazione (privilegiando la seconda), assegnando
la prima a Soprintendenze indebolite e frustrate e la seconda ai Musei autonomi
e ai Poli museali. Non più al turismo, pare, incorporato nell’agricoltura forse
perché il ministro pro-tempore, il leghista Gian Marco Centinaio, faceva di
mestiere l’agente di viaggi, il venditore di pacchetti turistici. Competenza
formidabile.
È su questa insensata separazione e frattura fra Territorio e
Musei, fra tutela e valorizzazione che bisogna intervenire ricomponendola. Il
resto sono inutili impacchi caldi o freddi su arti malati, fratturati,
scomposti. Ma se Franceschini era consigliato da giuristi non eccelsi e da
flabellanti di passaggio, Bonisoli si è affidato ad una burocrazia centrale
arrivata pure da poco e con strumenti specifici limitati al Collegio Romano.
Entrambi i ministri hanno saltato a piè pari la consultazione diretta e
costante con soprintendenti e direttori, con quegli autentici detentori di
esperienze planetarie sul campo che sono stati e sono alcuni ex soprintendenti
(mandati in pensione a 67 anni…), con gli esperti delle associazioni. Tutto è
stato fatto sbrigativamente sulla base (Franceschini/Renzi) di una visione
mediocremente economicistica della cultura e dei suoi beni e non sulla base di
quella visione che fu dei nostri costituenti: la cultura cioè come grande e
formidabile “valore in sé e per sé”. Non misurabile in incassi, profitti,
attivi di bilancio. Motore di ogni cambiamento positivo come la ricerca
pura. Il disastro è ormai ovunque, visibile in presa diretta, più immediata,
nell’archeologia. A cominciare da Roma dove un intero palazzo McDonald’s
splenderà a fianco del Pantheon.
Se dovesse esserci un ritorno al governo del Paese di Dario
Franceschini, dovremmo assistere alla controriforma della deforma all’infinito?
Sino a quale precipizio? Le “grandi opere”, ora
che l’Anac giace lì senza Cantone, reclamano a gran voce meno controlli, meno
vincoli, meno filtri, più strade aperte, più corsie preferenziali per avviare
un nuovo “sacco del Belpaese”. Dalle coste ormai cementificate alla montagna
aggredita dal dissesto di villettopoli
e albergopoli. Speriamo di venire
smentiti dal governo giallorosso che sembra oggi profilarsi. Aspettiamo
programmi e nomi di ministri.