- COLLETTIVO EURONOMADE-
La sentenza – neanche a dirlo – ha trovato il plauso di J. K. Rowling, che ha peraltro sostenuto e finanziato il gruppo scozzese, e di altre figure di spicco del dibattito e del panorama della produzione culturale, come anche delle femministe che vengono definite TERF, termine che sta per Trans-Exclusionary Radical Feminist.
«Quote rosa» – apriti cielo – «vogliamo davvero cadere ancora una volta nella trappola della rappresentanza?» – si dirà. Eppure – ci sobilla all’orecchio una voce sottile – questo è il mondo della politica istituzionale e, volenti o nolenti, vale la pena affrontare il funzionamento del potere nelle democrazie contemporanee, oltre che fare i conti con il fatto che il mondo della politica è maschile ed è determinato – esattamente come lo è anche il mondo quotidiano che viviamo – da linee di potere precise. E sì, oltre alle lotte che possiamo portare avanti fuori dalla politica istituzionale, vale ancora la pena riflettere sulla strategia da adottare per attraversare i dispositivi operativi nelle democrazie contemporanee.
Messe a tacere queste voci, torniamo al punto.
Se Susan Smith, una delle esponenti di For Women Scotland, ci richiama all’esercizio dell’evidenza e del senso comune dicendoci che «Everyone knows what sex is»[1] (garantendoci con questa affermazione che siamo tutt3 lettrici di Anne Fausto-Sterling e tutt3 consapevol3 delle sfumature della categoria “sesso biologico”), scopriamo con sorpresa che non sono le relazioni sociali, la nostra quotidianità, il nostro sentire, le nostre esperienze di vita e di lotta politica che determinano il nostro essere donne ma bensì la nostra vagina – determinazione destinale con la quale siamo nate e con la quale conviveremo per sempre (ma vale davvero per tutt3?).
Si dirà: «Bisogna difendere gli spazi conquistati dalle donne, ma solo per quelle che sono donne per davvero: solo loro sanno che cosa vuol dire». All’esclusività dell’esperienza determinata dalla componente vaginale-per-nascita, sorgono una, mille domande: la nostra esistenza è davvero determinata dal nostro ciclo mestruale? Ma soprattutto, di quale attacco abbiamo paura? Di quale intrusione di campo? Pensiamo davvero che le sorelle trans ci toglieranno la parola? Che non saranno al nostro fianco quando si parlerà di salute riproduttiva e sessuale? Che non saranno con noi, ancora una volta, quando si combatterà il sessismo che, in quanto donne, vivono anche loro, insieme alla transfobia (anche questa figlia del patriarcato)? Che non saranno dalla nostra parte quando sarà l’ora di lottare affinché gli assorbenti non siano tassati quanto i beni di lusso? Quando sarà giunta l’ora di finanziare la ricerca medica sul corpo femminile, smettendo di considerarlo come un corpo maschile più piccolo e con le tette? Che non saranno con noi, domani come nel passato, nelle strade e nelle istituzioni, quando denunceremo la violenza patriarcale che ci opprime, ci violenta, e ci uccide? Vogliamo davvero ridurci a un “dato biologico”, e cioè al nostro avere una vagina (perché questo il “sesso biologico” attribuito alla nascita di cui si sta parlando)? Davvero non vogliamo aprire e condividere il “nostro” spazio riconoscendo chi, in quanto donna, vive la violenza e la discriminazione insieme a noi (se non di più)?
È una logica proprietaria quella in azione qui. Conquistato uno spazio di visibilità, si dimenticano le lotte in comune e lo si rivendica come esclusivo, proprio, appoggiandosi su una caratteristica – l’avere la vagina, in questo caso, con tutto quello che comporta. Nel terrore di perdere la propria costruita specificità, si è pronte a sacrificare le soggettività che negli ultimi 50 anni hanno combattuto con noi contro il patriarcato, sgranocchiando spazi di agibilità su questo arretramento storico delle lotte transfemministe.
Continua quella voce: «La schwa cancella le differenze: si erge a un universale neutralizzante che non tiene conto della specificità del nostro essere materialmente vere donne» – quando il problema, ancora una volta, è invece il maschile sovra-esteso da una parte, e, dall’altra, la dinamica di regime proprietario di cui sopra. A questo si aggiunge un mancato riconoscimento proprio del funzionamento dell’universale, che si fonda su dinamiche di forclusione che l’uso del linguaggio inclusivo, invece, denuncia nella propria pratica marcando continuamente uno spaesamento grafico pieno di significato. La pratica della differenza, e dell’alleanza transfemminista – materialissime, entrambe – non è forse anche questa? Non vale la pena mettere in gioco e a disposizione il privilegio che abbiamo come persone assegnate al genere femminile dalla nascita a chi, in quanto donne, vogliono essere con noi? Un segno grafico davvero ci cancellerà?
L’argomentazione di For Women Scotland e delle entusiaste della sentenza passa poi a un piano più triviale, focalizzandosi su una delle tante conseguenze che il mancato riconoscimento come donne comporterà rispetto all’applicazione dell’Equality Act. «È necessario che le donne possano andare in bagno solo con le vere donne, e che gli uomini stiano nel loro. Le ragazze potrebbero essere in imbarazzo se vedono una persona trans, mentre magari parlano di mestruazioni e chiedono alle compagne degli assorbenti». Al di là del fatto che dovremmo lottare affinché gli assorbenti siano gratuiti per tutt3 (si, usiamo la schwa perché esistono ragazzi che hanno il ciclo), che dovremmo fare pace con il fatto che le mestruazioni fanno parte della vita e che non sono motivo di vergogna – e questo dovrebbe passare attraverso un’educazione alla sessualità e all’affettività di tutt3 – con questa sentenza, il cui effetto materiale sarà l’obbligo di utilizzare i servizi igienici del proprio sesso biologico, dove dovrebbe andare un ragazzo nato bambina? Pensiamo davvero sia giusto che una persona, che vive la sua vita come donna, debba subire la violenza epistemica e sociale di dover rendere evidente il sesso biologico attribuitole alla nascita e andare nel bagno degli uomini? Non dovremmo invece costruire spazi sicuri per tutt3 combattendo gli effetti del patriarcato? Ma soprattutto, stiamo davvero barattando il riconoscimento dell’identità di genere delle persone trans, i loro diritti e la loro dignità per un uso esclusivo delle toilettes? E dove saremo quando le nostre compagne saranno perquisite da ufficiali uomini della British Transport Police?[2]
Nella complessità della nostra esistenza, irriducibile a banalizzazioni e al senso comune, non vale la pena produrre pensieri e politiche complesse che siano all’altezza dei nostri tempi insieme alle nostre sorelle? Non è forse meglio diffidare da chi, appoggiandosi su un essenzialismo biologista spicciolo e solipsistico, è incapace di vedere la potenza delle alleanze delle singolarità in comune e in lotta? Invece che esultare per questa sentenza, non dovremmo forse reagire e interrogarci sugli effetti materiali sui diritti e le vite delle persone trans che questa decisione avrà nel Regno Unito e a cosa apre nel mondo? Non vediamo l’aggressività e la violenza proprietaria in azione – di cui i commenti all’ultimo comunicato di NUDM sono un perfetto esempio – che questa notizia sta scatenando[3]?
In un contesto globale in cui le parole come “activism”, “allyship”, “assigned at birth”, “feminism”, “racism” e “gender” vengono cancellate per decreto dai governi di estrema destra, in un momento storico di attacco del capitale e del regime di guerra su tutti i fronti e in cui i diritti vengono negati, non è forse meglio prendere posizione per un transfemminismo intersezionale, senza se e senza ma?
La risposta è nella foto di copertina e nelle strade di Londra oggi.






[1] «Everyone knows what sex is and you can’t change it»; «It’s common sense, basic common sense and the fact that we have been down a rabbit hole where people have tried to deny science and to deny reality and hopefully this will now see us back to reality»: fonte cbs12.com. Dal sito del gruppo leggiamo: «We believe that there are only two sexes, that a person’s sex is not a choice, nor can it be changed. Women are entitled to dignity, safety and fairness».
[2] https://www.thepinknews.com/2025/04/18/british-transport-police-trans-supreme-court-transgender/
[3] https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1110876154399628&set=a.470375675116349&type=3&comment_id=550369427694665¬if_id=1745049737415326¬if_t=feedback_reaction_generic&ref=notif&locale=it_IT
La foto di copertina è di un collage di un collettivo femminista di Lione. È stata pubblicata dal collettivo Le Chaudron – Collectif de luttes féministes intersectionnelles.
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