Ugo Mattei e Alberto Lucarelli
FRONTE UNICO PER FERMARE IL
SACCHEGGIO

477 beni pubblici verranno
“valorizzati” …
ovvero dismessi ...S V E N D U T I

477 beni pubblici verranno
“valorizzati” …
ovvero dismessi ...S V E N D U T I
/ le delibere comunali dichiarano
certi immobili beni comuni o
usi civici urbani, ma non hanno
alcuna vera forza giuridica
/ con una “legge-Rodotà”
sui Beni Comuni si potrebbero
impugnare le privatizzazioni
/ un’azione
inibitoria esperibile
da qualsiasi cittadino
indipendentemente dall’
interesse legittimo o diritto soggettivo
Qualche avvisaglia del
saccheggio in arrivo l’aveva data con un’intervista al Sole 24 Ore di qualche
giorno fa il prefetto Riccardo Carpino, direttore dell’Agenzia del Demanio,
annunciando nuove dismissioni (le chiamano
valorizzazioni) di migliaia di immobili pubblici. Qualche settimana
prima, il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, aveva spostato ad altro
incarico il dirigente comunale ai Beni comuni, Fabio Pascapè, architetto delle
delibere sui beni comuni urbani della Città di Napoli e responsabile Regionale
del Comitato Rodotà (www.benipubbliciecomuni.it).
Il 31 marzo una delibera unanime della
giunta, presenti tutti gli assessori, varava un piano di dismissione di 479
cespiti immobiliari fra cui due beni, il lido di Pola (progressivo 262) e il
Carcere Filangieri (progressivo 241) utilizzati da anni dai cittadini con
attività di altissima reddittività sociale. Per questo tali beni furono
dichiarati “beni comuni” e “usi civici urbani” nella celebre delibera 446 del
2016. In apparente contraddizione il 2 aprile scorso veniva inaugurato il nuovo
“osservatorio per i beni comuni” della città di Napoli e posto al suo vertice
un giovane giurista dell’Asilo Filangieri (da non confondersi col carcere dove
l’esperienza di uso civico si chiama Scugnizzo liberato). A seguito delle
notizie di stampa circa la dismissione dei due immobili, il Comune di Napoli
con una nota del 7 aprile nondimeno rivendica il proprio ruolo di capitale dei
beni comuni, accusando i propri uffici di errore materiale per l’inserimento di
Lido e Scugnizzo nella delibera di dismissione. Ovviamente ciò non toglie che
altri 477 beni pubblici verranno probabilmente venduti (meglio svenduti)
pagando le solite sostanziose fees ai facilitatori privati di queste operazioni
(nel 2006 la Corte dei Conti le ha stimate al 46% del valore!). Né soprattutto
ciò toglie che le delibere comunali, che dichiarano certi immobili beni comuni
o usi civici urbani, non abbiano alcuna vera forza giuridica quando muta la
maggioranza o il primo cittadino cambia idea. Oggi nessuno infatti può
impugnare tali privatizzazioni (anche se di beni demaniali), cosa che
diventerebbe invece possibile per tutti se il disegno di legge Rodotà, su cui
si raccolgono le firme, diventasse legge.
Ciò che si è clamorosamente verificato a
Napoli è un problema istituzionale che va ben oltre la sincerità di questo o
quell’amministratore locale. Simili dismissioni, completamente discrezionali
per gli enti pubblici titolari dei beni pubblici (circa il 70% degli immobili pubblici
sono comunali) avverranno sempre più intensamente, perché il pubblico oggi è
alla mercé dei poteri privati organizzati e nessuna legge limita le
sdemanializzazioni a loro vantaggio (molto spesso la forza coi deboli prova a
nascondere la debolezza verso i forti). Per esempio, l’ estesissima area ex
ferroviara di Saronno, messa in vendita per 22 milioni, potrebbe essere
aggiudicata per poco più di tre a speculatori e palazzinari.
Da anni i giuristi denunciano
l’obsolescenza del Codice Civile nelle parti relative al Demanio e al
Patrimonio pubblico; con la Commissione Rodotà avevamo trovato nei beni comuni
(oltre il pubblico e il privato) la sola possibile architrave di resistenza al
saccheggio. Con il Referendum del 2011 il popolo aveva accolto la nostra
impostazione dicendo basta alle privatizzazioni neoliberali dei beni comuni
(allora era stata l’acqua in prima linea). Napoli aveva faticosamente portato
avanti, in un quadro legislativo nazionale avverso, una coraggiosa
sperimentazione locale (compresa la ripubblicizzazione dell’acquedotto). Lo
stesso Statuto comunale nel 2011 fu all’unanimità modificato, inserendo tra i
valori fondativi la nozione dei beni comuni elaborata dalla Commissione Rodotà.
La questione non può restare locale. È
necessaria con estrema urgenza una legge nazionale che modifichi il Codice,
protegga la dimensione sociale ed ecologica del nostro diritto dei beni
riservandone le utilità alle generazioni future. Solo così si possono blindare
i beni pubblici nei confronti di svendite truffaldine, legalizzate dalla
debolezza del demanio.
Quanto sta succedendo
nella Capitale dei beni comuni, obbliga tutti ad abbandonare finalmente
distinguo, particolarismi e nostalgie (del demanio) per mettere in campo
intorno alla legge di iniziativa popolare Rodotà un fronte unico capace di
conquistare milioni di firme per fermare il saccheggio dei nostri beni e
garantirli per le generazioni che verranno.