1.500 immobili di proprietà statale in vendita
1.500 immobili di proprietà statale in vendita
volumi cinque-sei volte superiori a quanto fatto negli ultimi quattro anni
Negli ultimi anni sono stati venduti beni patrimoniali pubblici per almeno
mille miliardi
Peccato che lo stato ne abbia pagati più del doppio solo per interessi
Vendere per “ripianare il debito” è come svuotare il mare con un cucchiaio
L’acceso
dibattito in corso tra giuristi di scuole e discipline diverse
(costituzionalisti e civilisti, romanisti e giusnaturalismi… “statalisti” e “communitaristi”) che si è aperto sulla proposta di legge di iniziativa popolare elaborata a suo tempo dalla Commissione Rodotà (vedi www.benipubbliciecomuni.it) non deve farci perdere di vista la drammatica sostanza della situazione presente
(costituzionalisti e civilisti, romanisti e giusnaturalismi… “statalisti” e “communitaristi”) che si è aperto sulla proposta di legge di iniziativa popolare elaborata a suo tempo dalla Commissione Rodotà (vedi www.benipubbliciecomuni.it) non deve farci perdere di vista la drammatica sostanza della situazione presente
Proprio
pochi giorni fa il nuovo direttore generale dell’Agenzia del Demanio, prefetto
Riccardo Carpino, anticipava in un’intervista al Sole 24 ore (raccolta da
Giorgio Santilli il 27 marzo) che è pronto a presentare al ministro
dell’Economia “un vero piano straordinario” di messa in vendita di
1.500 immobili di proprietà statale. A cui sembra si aggiungeranno altri
843 beni che i comuni hanno rinunciato ad acquisire attraverso il ‘federalismo
demaniale’. “Con questa operazione – prosegue il direttore del Demanio – metteremo
in vendita quest’anno volumi cinque-sei volte superiori a quanto è stato fatto
negli ultimi quattro anni”. E così, aggiunge con orgoglio: “Addio a quella
paura di vendere che aveva attanagliato il Demanio da un decennio”. “La sfida è
trasformare l’Agenzia del demanio da fornitore di provvista a operatore che si
mette in gioco anche nella vendita”. “Diciamo che al Demanio non ho trovato una
cultura della vendita. Io dico che ora il Demanio deve mettersi a vendere”. E
non pensiate che sia un’iniziativa personale del solerte funzionario. Il
mandato gli viene dalla Legge di bilancio che pone l’obiettivo incassare 950
milioni tramite cessioni straordinarie. Inutile segnalare che nell’elenco ci
sono ex conventi, isole, caserme, terreni… di straordinaria importanza, molti
dei quali soggetti a vincoli architettonici e urbanistici. Ma la prima
legge di bilancio targata giallo-verde prevede “premialità” (cioè
cointeressenze fino al 15 per cento del valore delle vendite) a favore di quei
comuni che si renderanno disponibili a “valorizzare” gli immobili, cambiando le
destinazioni d’uso.
Il primo
impegno delle donne e gli uomini che ancora amano questo sfortunato paese è
quindi quello di fermare il saccheggio del patrimonio pubblico.
Avviata ormai da molto tempo con i famigerati “Piani delle alienazioni”
introdotti fin dal 2008 con la legge sulla “semplificazione” e la
“stabilizzazione della finanza pubblica” e per la “valorizzazione del
patrimonio immobiliare di regioni, provincie, comuni ed Enti locali” (art.58
della legge 112). Una prassi, peraltro, priva di senso economico pratico. È
noto che i 17 miliardi di euro che il governo intende ricavare quest’anno tra
vendite di immobili e dismissioni di quote capitali di imprese e società
pubbliche sono niente in confronto ai 70 o 80 miliardi (dipende dallo spread)
che lo stato dovrà sborsare solo per pagare gli interessi passivi che maturano
sul debito pubblico. Negli ultimi anni sono stati venduti beni
patrimoniali pubblici per almeno mille miliardi. Peccato che lo stato ne abbia
pagati più del doppio solo per interessi. Vendere per “ripianare il debito” è
come svuotare il mare con un cucchiaio. Il “debito crescente permanente”,
in realtà, è un’ottima arma di intimidazione di massa per far credere che non
ci sia alternativa alle dismissioni e alle privatizzazioni di servizi pubblici.
Il debito è un ottimo dispositivo sociale che ordina i comportamenti delle
persone nella direzione più utile alle forze economiche che controllano i
mercati.
Il secondo
motivo di impegno sui beni comuni – su tutti i tipi di beni comuni: Heritage
Commons, Urban Commons, Cultural Commons, Common-pool Resouces… che nel loro
insieme costituiscono la Commonwealt, la comune ricchezza di una comunità – ha
a che fare con la democrazia. Una popolazione privata dei suoi beni,
senza più luoghi accessibili e fruibili collettivamente, senza servizi
comunitari cessa di esistere come popolo, comunità, corpo sociale e si riduce
ad un insieme di individui singoli, isolati, soli, completamente dipendenti
dalla propria solvibilità economica, dall’accesso al credito. Merci tra le
merci.
Ora si tratta di dare sostanza anche
giuridica al discorso sui beni comuni. Cioè, concretamente, impedire che un
direttore pro tempore del demanio, un ministro, un sindaco, un presidente di
Regione… possano “fare cassa” con beni che sono “di tutti e di nessuno”.
Nemmeno dei vari apparati dello stato e nemmeno delle transitorie maggioranze
politiche che siedono nelle assemblee rappresentative. Beni indisponibili,
inalienabili, destinati in perpetuo ad un uso di pubblica utilità,
indispensabili per il benessere delle comunità.
In questi
anni il movimento per i beni comuni qualche conquista l’ha fatta. La legge del
2017 sui Domini collettivi delle “comunità originarie” (ex usi civici) ha
introdotto una nuova fattispecie di “possesso” collettivo. La Corte di
Cassazione ha giudicato come “beni comuni” alcune aree di particolare interesse
naturalistico a prescindere dal titolo di proprietà. Alcune Regioni hanno
introdotto la locuzione beni comuni all’interno del loro statuto. Alcune
coraggiose amministrazioni comunali (Napoli tra tutte)hanno deliberato regolamenti d’uso tali da consentire
gestioni dirette e autonome di beni pubblici da parte di comunità di cittadini
che si autonormano. Non dovrebbe essere poi così difficile trovare delle tutele
giuridiche che mettano fine al saccheggio o all’abbandono di beni che invece
potrebbero essere gestiti in forme e modalità davvero coinvolgenti e
partecipate da parte dei cittadini.