voci, suoni e colori del futuro che avanza
Verona, «un pò di glitter vi seppellirà»
Giansandro Merli
Il sole primaverile
riscalda e rende più belli i corpi che marciano vicini, sfiorandosi,
accarezzandosi, abbracciandosi
La musica che viene dal camion segna il ritmo dei passi e delle braccia sollevate al cielo
I cori danno la carica e sono accompagnati dal battito delle mani
«C’è una gioia enorme in questa piazza, una grande allegria – dice Martina, nata a Lecce ma residente a Verona – , si sente che tante persone avevano il desiderio di partecipare.
Questa è una città chiusa, con tanti retaggi conservatori che hanno un impatto forte sulla vita politica. Non ci sono mai manifestazioni del genere. Stavolta è incredibile»
La musica che viene dal camion segna il ritmo dei passi e delle braccia sollevate al cielo
I cori danno la carica e sono accompagnati dal battito delle mani
«C’è una gioia enorme in questa piazza, una grande allegria – dice Martina, nata a Lecce ma residente a Verona – , si sente che tante persone avevano il desiderio di partecipare.
Questa è una città chiusa, con tanti retaggi conservatori che hanno un impatto forte sulla vita politica. Non ci sono mai manifestazioni del genere. Stavolta è incredibile»
Al concentramento le persone arrivano a ondate. Da Roma e Torino
sono partiti dieci pullman. Sette da Napoli e Bologna. Cinque da Milano. E poi
da Alessandria, Fano, Firenze, Genova, Lucca, Modena, Pavia, Piacenza, Pisa,
Ravenna, Reggio Emilia, Rimini, Siena e Trieste. Ci sono treni da Bergamo,
Brescia, Lucca, Mantova, Milano, Padova, Treviso e Venezia. Le macchine hanno
attraversato la penisola in tutte le direzioni, partendo anche dai centri più
piccoli.
A nord del piazzale si
trova una chiesa, a sud la stazione. In mezzo si agita una folla colorata e
festosa. Il fuxia è ovunque: nei pañuelos appesi ai colli, alle braccia
e agli zaini; su capelli e parrucche; sulle labbra di uomini e donne; sopra
cartelli e striscioni; sotto le magliette e dentro i reggiseni.
«Vogliamo
più diritti per poterci fare una famiglia, vogliamo che nessuno ci consideri
più ‘figli di Satana’», dice Nicole. Poi per un attimo scoppia a piangere. Ha
poco più di 20 anni, è di Verona e nella mano stringe quella della fidanzata.
«Dentro a quel congresso ci sono individui che pensano che l’omosessualità sia
una deviazione mentale. Invece è solo amore tra due persone. Ciò che conta è
che chi hai accanto ti faccia stare bene, non di quale sesso è».
Testa, cuore e pancia
del corteo sono donna. Ma in piazza ci sono anche tantissimi uomini, di tutti
gli orientamenti sessuali. «Stiamo manifestando per un mucchio di motivi. Per i
diritti che già abbiamo e per quelli che vogliamo ottenere. Per i diritti che
devono essere estesi anche ad altri e per quelli che ancora dobbiamo
immaginare. E poi siamo qui contro quel mucchio di stronzi rinchiusi là
dentro». Con il dito Andrea, 38 anni di Torino, indica il luogo in cui si sta
svolgendo il XIII World Congress of Families. Continua a camminare in quella direzione,
trascinato dal flusso di gente: «L’accozzaglia è veramente impressionante.
Dagli ipocriti nostrani, come il vicepremier Salvini che ha due figli con due
donne diverse con cui non è sposato, a Giorgia Meloni, anche lei madre more uxorio, fino a una sfilza di preti e presidenti di stati retrogradi
come non se ne vedeva da tempo». Il sole primaverile riscalda e rende
più belli i corpi che marciano vicini, sfiorandosi, accarezzandosi,
abbracciandosi. La musica che viene dal camion segna il ritmo dei passi e delle
braccia sollevate al cielo. I cori danno la carica e sono accompagnati dal
battito delle mani.
La skyline del corteo
riflette la varia umanità che scorre sotto: scopini colorati, matriosche,
ombrelli arcobaleno, migliaia di cartelli con scritte e disegni. «La famiglia
naturale è quella in cui due persone si amano», recita uno. «L’amore è tra
persone, non tra sessi», un altro.
In alto spicca una sola
bandiera: è viola glitterata. Il movimento femminista Non Una Di Meno – che ha
lanciato, organizzato e riempito la mobilitazione – aveva chiesto a partiti e
sindacati di non esibire le loro insegne, per evitare che la battaglia delle
donne diventasse una vetrina per soggetti che spesso hanno evitato di
sostenerla. «O abbassi la bandiera, o è meglio che vai dietro con gli altri. Si
è deciso così», spiega una ragazza con una fascia fuxia in testa e un’altra
color oro al braccio. Ce l’ha con un attempato militante di un partito di
sinistra. «Hai ragione, la abbasso subito», risponde quello. Bandiere di partito
ne hanno portate i Verdi, i Radicali Italiani e la Cgil. Spariscono in fondo a
un corteo troppo lungo. Secondo google maps la coda dista più di un chilometro
dalla testa.
«Siamo
venuti a dimostrare che anche le famiglie come la nostra stanno in questa
piazza e non in quel congresso», dice Stefania. È di Verona, accanto ha il
marito e davanti un passeggino con due gemelli. «Ognuno deve avere il diritto
di vivere la propria vita come preferisce, come lo rende felice», continua la
donna. Vicino a lei passa Mirella: «Non pensavo che a 70 anni sarei dovuta
tornare in piazza per difendere vittorie strappate tre decenni fa. È importante
esserci oggi, anche se credo che il convegno sia meno grave di quello che
sembra: sono meno di quanto credono».
Visto da questo
caleidoscopio di colori, suoni e profumi, il congresso della famiglia in cui si
alternano uomini in completi grigi o abiti talari neri sembra l’unica cosa
innaturale della giornata. Nonostante riunisca un potente think tank di quella reazione globale che lega Trump a Bolsonaro, Salvini a
Orbán e Putin, gli ultrà ortodossi agli estremisti cattolici, nuovi e vecchi
fascisti, il Wcf ha l’odore di un rigurgito del passato. Il futuro qui a Verona
scorre per le strade. «Dall’altro lato? Non conosco nessuno, non voglio parlare
con nessuno, né sentire nessuno. Non li vedo proprio», dice Stefania
continuando a spingere il doppio passeggino. «Oggi quello che conta è annusarci
in questa piazza, riconoscerci, sapere che c’è tanta gente come noi – esclama
Andrea – A volte capita di andare per il mondo e sentirsi un alieno. Chiedersi
perché nessuno ti capisce. Invece qui lo sai, lo senti che ci si comprende. E
ci si vuole bene».