sabato 9 marzo 2019

LA MEMORIA DI ALESSANDRA

il vile bisogno di obbedire... ma anche storie di donne e uomini 

che dinanzi alla follia e alle atrocità della guerra scelsero 

di salvare l’umanità, l’arte e l'anima

- Kappagi-

ritratto di donna e di donne, della loro entropia-ombra sottostante la piccola massa che appare in superficie, quella punta dell’iceberg su cui s’è costruito il narrato del divenire sociale, dal quale si è omesso nella vicenda umana il portato storico del lato femminile, volutamente emarginato dalla volontà di potenza incardinata nelle sovrastrutture maschili. Una volta tanto tutto questo emerge grazie alla\e   figura\e  femminile\i tratteggiate da questo breve racconto

 


In un piovoso pomeriggio di novembre del 2017, Alessandra Lavagnino faceva il suo ingresso nel luminoso uditorio dell’Educandato Statale “Maria Adelaide” di Palermo. La sala era gremita, tante donne e qualche uomo, per la maggior parte insegnanti intervenuti  al corso di formazione, La scuola racconta una donna, organizzato dalla Biblioteca delle donne UDI-Palermo. La Lavagnino, ospite d’onore, dunque, timidamente si faceva strada lungo la sala, portava con sé alcune copie del volumetto Zanzare, dove aveva raccontato i miti, classificato e illustrato l’evoluzione e la vita dei fastidiosi insetti del titolo, con linguaggio semplice e convincente di chi, come lei, entomologa prima che scrittrice, conosce perfettamente il mondo al microscopio. Nel novembre del 2018, a un anno da quell’incontro magistrale, Alessandra Lavagnino se ne è andata all’età di 91 anni, del XX secolo ci ha consegnate le sue memorie in due romanzi avvincenti.

In Un inverno 1943-1944, la scrittrice dà corpo alla storia del padre Emilio Lavagnino, funzionario delle “belle arti” che assieme ad altri colleghi e storici dell’arte misero in salvo una parte importantissima del patrimonio artistico italiano, durante l’occupazione tedesca, dopo lo sbarco degli alleati, quando il conflitto mondiale ebbe in Italia l’epilogo più nefasto. Fu sotto i bombardamenti americani e le rappresaglie tedesche – in queste “circostanze  tormentate” – che alcuni uomini assunsero “su di sé responsabilità gravi”, uomini che “inevitabilmente saranno chiamati – osserva la Lavagnino –  eroi da alcuni, pazzi da altri” e che si impegnarono nella salvaguardia delle opere d’arte curandone il trasferimento dalla sede originaria a luoghi più sicuri, fino all’ultimo riparo: la città del Vaticano. Un lavoro capillare lungo l’Italia centro-settentrionale che vide quei tutori dell’arte muoversi con mezzi di fortuna, senza più ordini dall’alto – con la Repubblica di Salò verranno tutti destituiti – ma rispondendo alle necessità contingenti, decidendo in base al proprio giudizio, a scelte condivise, a relazioni personali e umane, alla fiducia nel collega: se “non fossi tu, a un altro che si fosse presentato con un ufficiale tedesco non avrei dato proprio niente ….”, questa la risposta di Pasquale Rotondi – nell’inverno del ‘43 soprintendente delle Marche – a Emilio Lavagnino che arrivava a Sassocorvaro per prelevare le casse con le opere lì ricoverate e trasferirle in Vaticano, luogo che risultava essere più sicuro. Nel contempo, la figlia di Lavagnino, Alessandra, giovane liceale del Mamiani di Roma, osservava con rigore scientifico la realtà guasta che le si parava di fronte. Come quando, a seguito dell’ordine del Comando Germanico che intimava i portinai degli stabili di comunicare i nominativi dei cittadini di razza ebraica all’Ufficio preposto, l’efficiente portiere del palazzo in cui abitava la nonna della scrittrice aveva immediatamente denunziato la presenza di una famiglia ebrea: “I portinai di tutta Roma avevano dovuto raggiungere quell’indirizzo in circolare o in bicicletta – osserva la Lavagnino – ma per il sor Augusto era stata questione di poche decine di metri, appena una traversa”. Un episodio che le si era impresso nell’anima – come il suono del pianoforte che le giungeva dall’appartamento abitato dagli ebrei, la musica di Duvernoy –  che lapidaria commenta con parole dure, precise e taglienti: «Che vergogna, il sor Augusto. Anche paura, certo. Vile bisogno di obbedire, per «essere in regola», per sentirsi a posto”»

Grazie al cielo non c’era solamente il “sor Augusto” a Roma e così mentre Emilio Lavagnino, facendo base nella capitale, salvava pezzi d’arte – tra le testimonianze più alte del passaggio dell’uomo sulla terra –  la sorella di questi, Eleonora, avvocato nella stessa città, attivista del Partito d’Azione, metteva in salvo alcuni ricercati politici, procurando loro documenti falsi. Nel marzo del ’44, Alessandra rientrava in casa e l’amara notizia le veniva anticipata nell’androne dalla portinaia Renata: “Casa tua è piena di tedeschi”. La zia era stata arrestata.

Ecco il grigio scenario, sfondo alle azioni più meschine ma anche a slanci altruistici estremi per i quali donne e uomini posti al bivio tra bene o male sceglievano il bene, mettendo a rischio la propria vita per salvare quella di altri esseri umani ma anche per consegnare alle future generazioni la storia dell’umanità. Queste le realtà che ritroviamo in tante città d’Italia e d’Europa, in quei giorni, e che riappaiono nelle pagine di un altro romanzo della Lavagnino.

Nel Le Bibliotecarie di Alessandra, la scrittrice, compone l’epopea della famiglia materna, secondo una narrazione che procede dall’ultimo trentennio del XIX secolo alla seconda guerra mondiale. Tra le pagine del volume Adriana – la voce della stessa scrittrice e protagonista –  insiste nel racconto della madre, la figura attorno a cui ruota il romanzo, che a volte cede il passo ad altri personaggi soprattutto femminili, le nonne e la zia materna, quest’ultima – nell’invenzione assume il nome di Margherita – consegna alla nipote le memorie della famiglia Lattanzi, nella trasposizione narrativa i Canterno. Marta – alias Angela Lattanzi madre di Alessandra Lavagnino – donna versatile, esperta di lingue antiche, musicista eccellente e studiosa di miniatura e di codici antichi, è la paladina di un altro episodio si salvezza della storia e dell’arte, che viene ricordato in queste pagine. Angela, Daneu in seconde nozze – aveva lasciato il marito Emilio Lavagnino, fatto scandaloso all’epoca, per seguire un giovane e brillante antiquario palermitano – in servizio presso la Biblioteca Nazionale della Sicilia, nel capoluogo dell’Isola, durante il secondo conflitto, si ritrovava di colpo “facente funzioni” al posto del direttore “partito per destinazione ignota”. La scelta della bibliotecaria di mettere al riparo “il più lontano possibile dalla città” i preziosi codici della “Nazionale”, si rivelerà provvidenziale, in quanto la Biblioteca e il cuore antico di Palermo verranno, subito dopo, sventrati dai bombardamenti. Periranno in tantissimi: donne, uomini, bambini, e andranno in rovina, spesso in modo irreparabile, monumenti e oggetti d’arte. Marta – riflette la scrittrice – “li pensava quei manoscritti, tutti ancora da osservare e studiare, come creature la cui salvezza dipendeva da lei”. Così, in tutta segretezza, i pregiati volumi della “Nazionale” vennero trasferiti personalmente dalla vicedirettrice e da due suoi fidatissimi assistenti a Polizzi Generosa, sui monti delle Madonie, “parte portati a mano entro borse, in corriera, parte a dorso di mulo”. Nel dopoguerra – ricorda ancora la Lavagnino – Angela Lattanzi si impegnerà nella ricostruzione non solo della Biblioteca Nazionale di Palermo ma anche della altre biblioteche siciliane che erano state ferite dalla guerra, curando “la ristrutturazione di tutte”.

Questa la parziale restituzione della testimonianza sull’Italia durante il secondo conflitto mondiale di Alessandra Lavagnino, che ci auguriamo sia da stimolo alla lettura o alla rilettura di pagine di storia fissate da una donna che non fu di professione una storica – la Lavagnino, in verità, non si definì mai neanche scrittrice – ma una scienziata che osservava l’umanità consapevole che le zanzare, ad esempio, “sono sulla terra da molto prima di noi” e della razza umana “avrebbero potuto continuare a fare a meno”. Paradossalmente l’antropocentrismo, oggi dominante, mette in campo uomini che accostati al minuscolo insetto appaiono ridicoli sbandieratori di identità – parola che, sempre più, assume connotazioni inquietanti – mentre, per la sopravvivenza della propria progenie e della bellezza che ha saputo realizzare attorno a sé, l’umanità dovrebbe rinverdire la propria memoria. Come? Mantenendo – secondo l’insegnamento della Lavagnino – l’ordine cronologico dei fatti per consegnare la storia alle future  generazioni.

La Biblioteca Nazionale di Palermo bombardata nel 1943 – alcune foto scattate all’indomani della guerra ne documentano gli ingenti danni – veniva riaperta al pubblico nel 1948. Negli stessi anni venivano rimessi in piedi tantissimi monumenti pubblici italiani che erano stati atterrati dalle bombe e intorno al ‘50 inaugurate nuove realtà espositive. Tra i protagonisti della ricostruzione, della tutela e dell’avvio alla fruizione e conservazione del patrimonio culturale del Paese, vi furono anche coloro i quali avevano partecipato alla salvaguardia delle opere d’arte e dei beni culturali durante il conflitto mondiale: “Giulio Carlo Argan, Giulio Battelli, Palma Bucarelli (…)”, un lungo elenco di nomi che la Lavagnino pone in appendice a Un Inverno 1943-1944, rigorosamente in quell’«Ordine Alfabetico» più volte richiamato nel Le Bibliotecarie di Alessandria, secondo un metodo che restituisce della storia la testimonianza senza enfasi, perché in verità non si trattò di eroi, ma di donne e uomini che dinanzi alla follia e alle atrocità della guerra scelsero di salvare l’umanità, l’arte e la loro anima.

Ai nostri giorni, cosa è rimasto di quello slancio generoso e disinteressato verso la tutela e la conoscenza del patrimonio culturale italiano? Sappiamo, ad esempio, che una parte consistente e importante della dotazione bibliografica della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana A. Bombace, già Nazionale di Palermo, da oltre tre anni risulta non fruibile in quanto conservata in magazzini inagibili –  per i quali sembrerebbe non esserci, ad oggi, neanche un progetto di adeguamento alla normativa vigente –, mentre gli uffici regionali dei beni culturali e dell’identità siciliana –  apprendiamo dai media –  da qualche tempo mostrano interesse a “valorizzare” il rifugio antiaereo ubicato nel cortile dello stesso Istituto. La priorità, a nostro parere, è restituire nella sua interezza il patrimonio della Biblioteca alla collettività. Se contestualmente si vuol recuperare la memoria di una città come Palermo martoriata dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, una città che porta ancora i segni della devastazione della guerra, lo si può fare senza cadere nella vuota retorica del rifugio antiaereo. Significativo, infatti, sarebbe tributare il dovuto riconoscimento pubblico a Angela Lattanzi intitolandole la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana.

Angela Lattanzi, donna di cultura e grande bibliotecaria, si unì al coro degli intellettuali e dei funzionari che responsabilmente, durante la seconda guerra mondiale, misero concretamente in salvo il patrimonio culturale italiano per consegnarlo alle future generazioni.