Molti di voi già lo sapranno, probabilmente non tutti.
A breve il Ministero della Cultura avrà una nuova struttura organizzativa, dopo
l’ottava riforma dal 2013, la quindicesima dal 1998. Notizia di pochi giorni fa
è la preliminare approvazione in Consiglio dei Ministri del regolamento che, in
attuazione della legge n. 45 del 9 ottobre 2023, riorganizza il Ministero
guidato da Gennaro Sangiuliano.
Stavolta è una riforma che agisce
sui centri di comando. Spariscono il Segretariato generale e quelli regionali e
compaiono quattro Dipartimenti guidati ciascuno da un capo dipartimento:
amministrazione, tutela, valorizzazione e attività culturali. Ognuno
comprenderà diversi istituti e direzioni generali, le quali passano da 11 a 13.
In sintesi molto estrema, il Ministero sarà strutturato così:
Al Dipartimento per l’amministrazione generale andranno
quattro direzioni generali legate alle risorse umane, al Bilancio, alla
programmazione e agli affari europei e internazionali, alla Digitalizzazione e
comunicazione.
Al Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale andranno
le Soprintendenze rimaste (Archeologia, belle arti e paesaggio; Archivi;
Soprintendenza speciale Archeologia, belle arti e paesaggio di Roma) e la
Soprintendenza speciale per il PNRR “da consumarsi entro il 2026”.
Al Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale finiranno
la Direzione generale Musei e tutti i musei e parchi archeologici dotati di
autonomia speciale dei quali si continua a perdere il conto. In pratica, sarà
un dipartimento musei.
Infine al Dipartimento per le attività culturali finiranno le
Direzioni generali Spettacolo, Cinema e audiovisivo, Creatività contemporanea
ma anche Biblioteche e istituti culturali.
Per il resto la riforma smista gli istituti delle
direzioni generali cancellate (come la Direzione Generale Educazione e Ricerca)
nelle direzioni generali rimaste, equipara totalmente le direzioni regionali
musei ai musei autonomi, all’occorrenza accorpando le due cose, e poco altro.
Potete trovare la sintesi completa dei cambiamenti qui.
Chiaro è a chiunque legga che in
questa riforma ci siano dei passaggi apparentemente preoccupanti, come la
sovrapposizione totale tra musei e valorizzazione, la divisione di biblioteche
e archivi in due dipartimenti diversi, la fine della DG Educazione e Ricerca, e
altri al momento incomprensibili. Il più incomprensibile di tutti è però il perché
venga fatta questa riforma, contestata praticamente da chiunque dentro e fuori
dal Ministero, elaborata da pochissime persone fedelissime del ministro senza
confronto. In altre parole dobbiamo anzitutto chiederci, purtroppo per ora
senza avere risposta, perché tornare ai 4 dipartimenti – struttura già
sperimentata senza successo nel 2004 e abbandonata per sempre – e ancor più
chiaramente: chi saranno i 4 potentissimi capi dipartimento da nominare?
Biblioteche “da valorizzare”, archivi da tutelare: i
nonsense apparenti
Per il resto, in una riforma che è stata scritta in
uffici chiusi, le certezze sono molte meno dei dubbi. I nuovi dipartimenti
creeranno danni ulteriori? In un Ministero già da anni abituato a funzionare
grazie alla dedizione dei funzionari – sempre meno, e la moltiplicazione degli
uffici certo non aiuta -, che somiglia sempre più a una struttura farraginosa
atta alla propaganda e alla monetizzazione, che divide musei archeologici dagli
scavi archeologici o lascia biblioteche statali prive di autonomia scientifica,
di fatto quanto cambierà? In molti casi sarà il futuro prossimo a dirlo. Alcune
modifiche però sembrano avere una lettura e delle conseguenze già molto
evidenti.
Senza pretesa di esaustività, è il caso ad esempio
della creazione di una Direzione Generale “Biblioteche e Istituti
culturali”, assegnata al Dipartimento delle attività culturali, mentre gli
Archivi di Stato finiranno a un più consono Dipartimento tutela: appare chiaro
l’intento di massimizzare l’utilizzo delle biblioteche statali come spazi in
cui svolgere attività, nel senso di matrimoni, cene vip, convegni, conferenze
private, come sta già accadendo ormai da anni. Di fatto sancendo una visione
della biblioteca come spazio di socialità (a pagamento, quando il mercato lo
consente) prima che di studio, ricerca e conservazione.
Salta all’occhio anche la rimozione della Direzione Generale Educazione
e Ricerca. Il regolamento dice che ora tutte le direzioni generali si
occuperanno di promuovere la cultura e la ricerca: ovviamente accadeva anche
prima. Concretamente, gli istituti che afferivano alla Dg e le loro Scuole di
Alta Formazione (Istituto Centrale del Restauro, Opificio delle Pietre Dure,
Istituto Centrale per la patologia degli archivi e del libro) ma anche l’Istituto
Centrale per la Grafica, ora vengono “reimpastati” sotto la Direzione Generale
per la tutela (OPD e ICR) sotto la Direzione generale Archivi (ICPAL) e sotto
quella per le Biblioteche (ICG). Non è chiaro dove finirà il monitoraggio dei
profili professionali, che spettava a questa Dg e che ha portato alla
pubblicazione della piattaforma che
raccoglie la descrizione di tutte le principali professioni culturali e le
indicazioni per iscriversi agli elenchi nazionali curati dalla stessa, dato che
i funzionari della Dg verranno smistati. Anche se per le scuole di alta
formazione del MiC non cambiasse nulla, a essere molto ottimisti, a essere
realisti appare comunque probabile che la scelta di rimuovere una Direzione
Generale espressamente dedita alla promozione della formazione sia conseguenza
del ruolo sempre più importante che il Ministero ha dato alla Fondazione Scuola
dei beni e delle attività culturali: fondazione creata da Dario Franceschini, usata per
fornire corsi propri della pubblica amministrazione e per la pubblica
amministrazione, ma che sfugge alle rigide regole dell’apparato statale e che
per questo qualsiasi ministro sarà ben felice di occupare con i propri
accoliti, senza passare per fastidiosi concorsi trasparenti.
Esce dal cilindro anche una Direzione Generale Digitalizzazione e
Comunicazione: che va benissimo, se solo il ministero decidesse di
cancellare l’assurdo tariffario per l’utilizzo
delle fotografie dei beni culturali, che sta impedendo al Piano Nazionale di
Digitalizzazione di proseguire e al patrimonio culturale italiano di essere
diffuso adeguatamente.
Franceschini e i suoi figlioli
Nella fin troppo facile critica al
ministro in carica, non possiamo però in conclusione ignorare il pregresso.
Alcune cose che si vedono con fragorosa evidenza in questa riforma, come la
divisione netta tra musei dediti esclusivamente alla valorizzazione e
soprintendenze che si occupano solo di tutela, sono il compiersi di un processo
innescato con la riforma Franceschini. Quello era il senso, come enunciato da
subito da diversi critici, quali Salvatore Settis, dell’assurda divisione
tra musei e soprintendenze: oggi questa separazione di finalità viene
semplicemente sancita. E ancora: questa è, con ogni probabilità ed evidenza
disponibile, una riforma atta a permettere al ministro di nominare “i suoi” in
tutti i ruoli necessari (tutti i dirigenti decadranno con la sua entrata in
vigore). E questo è, dopotutto, il lascito più importante e grave della guida
PD del ministero a tutti i ministri che seguiranno: la possibilità di
utilizzare il fu Ministero dei Beni Culturali come una grancassa di propaganda
e potere. In cui, per fare una riforma, si possono ignorare funzionari,
dipendenti, sindacati, dirigenti, portatori d’interesse, parlamento,
cittadini.