-Bruno Montesano-
LA RIFORMA DEI DECRETI SICUREZZA
NON SCALFISCE IL RAZZISMO ISTITUZIONALE
L’ultima riforma dei Decreti sicurezza , pur se con qualche luce, rientra all’interno della lunga tradizione di leggi securitarie e repressive che hanno disciplinato le migrazioni. La “sicurezza” rimane il contraltare con cui bilanciare le timide aperture su alcuni fronti. Infatti, Luigi Manconi e Federica Resta hanno qualificato la normativa italiana sull’immigrazione come un diritto asimmetrico e deformalizzato e, in relazione ai Decreti Minniti-Orlando – che l’attuale riforma non mette in discussione -, di un diritto etnico, “minore”. Con la riforma non scompaiono le sanzioni alle Ong – che diventano penali e non più amministrative – e aumenta la criminalizzazione di chi si ribella nei CPR, il cui tempo di permanenza si restringe di nuovo a 90 giorni. Il Daspo urbano per selezionare e disciplinare la popolazione viene rafforzato. Rimangono le procedure accelerate di valutazione delle domande d’asilo, secondo l’approccio hotspot proposto dal Patto sull’immigrazione e l’asilo che dovrebbe riformare il Regolamento di Dublino. Così come rimane la norma sulla revocabilità della cittadinanza. Si accorciano “in compenso” i tempi per il rilascio della cittadinanza che però sono comunque più lunghi di quanto lo fossero prima della riforma di Salvini. L’aspetto più importante forse consiste nell’introduzione della protezione speciale e nell’ampliamento dei casi di inespellibilità, che riguarderà chi abbia una vita consolidata nel paese così come chi rischi trattamenti inumani. Inoltre, sarà possibile convertire la protezione speciale, insieme ad altri permessi temporanei, in un permesso per lavoro, ed è stato tolto il tetto massimo alle quote del decreto flussi sugli ingressi per motivi di lavoro. Viene ripristinata l’accoglienza per i richiedenti asilo, nonché l’iscrizione anagrafica – che recepisce da un lato una sentenza della Corte Costituzionale ma dall’altro la subordina al volere degli operatori dell’accoglienza, come rilevato da Enrico Gargiulo.
In
definitiva, questa riforma, pur introducendo alcune norme positive, non
interviene sull’inferiore considerazione della vita di chi non è cittadino.
Restano la detenzione arbitraria nei CPR e negli hotspot, l’assenza di canali
umanitari e di visti d’ingresso per la ricerca di lavoro, il proseguimento
della stigmatizzazione delle Ong e gli accordi con la Libia, l’inferiore tutela
delle procedure di domanda d’asilo rispetto a qualsiasi altro processo, così
come l’enorme discrezionalità lasciata a sindaci e questure nel determinare le
sorti di chi vive o transita in questo paese. Il vincolo tra lavoro, reddito e
status giuridico rimane intatto. L’esclusione legale o de facto dai
diritti fondamentali di chi non ha la cittadinanza non diviene – come
servirebbe per configurare la “rivoluzione” di cui le forze della maggioranza
parlano – l’ingiustizia da interrompere. D’altronde le parole della ministra
che hanno accompagnato la riforma non lasciano dubbi: il pur necessario
accoglimento delle minimali indicazioni del Presidente della Repubblica e delle
sentenze della Corte Costituzionale va bilanciato da una maggior severità nella
repressione di chi si rivolta nei CPR. Tra politica dell’eguaglianza e polizia,
si propende per la seconda.
estratto
da EURONOMADE ( articolo è stato anche pubblicato, in forma più breve,
su il
manifesto il 23 dicembre 2020)
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