- il diritto tra sostanza e forma -
-Peppino Di Lello-
il riconoscimento formale dell'uguaglianza senza una sua sostanziale edificazione rimane semplicemente un concetto di legalità del tutto astratto
Il concetto di legalità nella sua accezione corrente è definito, con insolita unanimità, come il rispetto delle regole di un ordinamento statuale. Trattandosi, ovviamente, di un termine del linguaggio convenzionale (non scientifico) è vago ed evanescente, compatibile con contesti storici, vari e contingenti e quindi utilizzabile come e quando serve: da qui l’unanimità goduta da quella definizione. Socrate, per esempio, bevendo la cicuta, lo utilizzò per giustificare il necessario rispetto della legalità dello Stato di Atene e però, scendendo giù per i secoli, la stessa giustificazione venne addotta da Adolf Eichmann per lo sterminio degli ebrei.
Tralasciando l’excursus storico di altre vicende (Magna Carta, Rivoluzione francese, etc.) che delineano con più precisione quale tipo di ordinamento statuale sia legittimato ad essere rispettato, è necessario arrivare proprio alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e al costituzionalismo democratico che si impose, almeno nell’area a noi più politicamente e culturalmente affine. Si è riconosciuto innanzitutto il valore insopprimibile dei diritti universali (l’uguaglianza formale, cioè la supremazia della legge nei confronti di tutti, la libertà, la vita e via dicendo), rendendosi però conto che l’uguaglianza formale, senza accompagnarsi ad una uguaglianza sostanziale, rischiava di riproporre un concetto di legalità del tutto astratto. L’uguaglianza è una e le due componenti sono inscindibili, così come stabilito dall’art. 3 della nostra Costituzione.
Per alcuni decenni, quello delle “vacche grasse”, con l’economia in crescita e la non troppo gravosa redistribuzione di una parte del profitto capitalistico (salario e tutele sociali) ai lavoratori tutto sembrava procedere per il meglio. Nel mondo globalizzato, però, le cose non sono cominciate ad andare bene e, dovendo scegliere se diminuire i profitti o diminuire salari e tutele sociali, chi aveva il potere di scegliere scelse la seconda opzione, con il fattivo supporto anche dei partiti socialdemocratici europei: Dahrendorf e Schroeder vengono molto prima del crack della Lehmann & Brothers e ai tempi della presidenza Prodi della Commissione Europea quasi tutti i paesi dell’Unione erano a guida socialista o socialdemocratica.
La stessa Carta dei diritti dei cittadini europei è poi venuta a ribadire la netta divisione tra i diritti civili e quelli sociali, i primi direttamente implementabili (anche se Polonia e Ungheria non sembrano curarsene), i secondi rimandati alle compatibilità dei singoli Stati membri, cioè ai meccanismi che riducono salari e tutele. Di nuovo disoccupazione giovanile di massa, ma anche rivolta di massa questa volta coinvolgendo anche altre tematiche drammatiche, quali la parità di genere, i cambiamenti climatici, ecc.
I movimenti di protesta esplodono ovunque, specie dove il disagio sociale è più esasperante e si estendono a macchia d’olio dalla Francia ai paesi extraeuropei: il Libano, l’Iran, il Sudan, l’Iraq … Grande coraggio e grandi sacrifici: quanto a coraggio c’è una grande differenza tra le proteste per l’ambiente di Greta Thunberg che la portano all’Onu e le stesse proteste dei giovani iracheni, che però muoiono a centinaia sotto il fuoco del regime!
Oggi però è calato un grande silenzio su tutto ciò. Quelle piazze si sono spente e si sono spente anche le nostre: c’è il Coronavirus ed è tornato ad imperare lo stato di eccezione. Intendiamoci, è necessario combattere la pandemia con misure restrittive, ma bisogna attrezzarsi per contrastare derive bonapartiste e antisociali che già si profilano all’orizzonte.
Da noi non c’era proprio la necessità di rendere, con il pretesto dell’urgenza, inoperante il Parlamento, organo supremo della sovranità popolare mentre il governo si assumeva i pieni poteri e decideva tutto e su tutti: prove generali di efficienza da far prevalere anche dopo la fine della pandemia?
Il vero tasto dolente però risiede nel sociale. In un paese in cui le diseguaglianze erano già notevoli, la pandemia ne ha allargato a dismisura l’ampiezza. Lo slogan “nessuno sarà lasciato indietro” non ha nessun senso. Lo si è già visto con i terremotati del centro Italia che se lo erano sentito dire da tutti i governi succedutisi dopo il sisma, mentre in moltissimi centri non sono state rimosse nemmeno le macerie. Lo diranno anche ai milioni di nuovi disoccupati che saranno comunque invitati a rispettare la legalità, quella formale ovviamente. Per reclamare una legalità sostanziale cosa si potrà fare se non si potrà nemmeno protestare perché c’è il coronavirus e sono vietati gli assembramenti?
Presidente di Mediterraneo di Pace