- Fulvio Vassallo Paleologo -
Verso la criminalizzazione degli esclusi e dei nuovi arrivati
A fronte della chiusura in entrambi i sensi delle
frontiere Schengen interne ed esterne, anticipata dalla chiusura delle frontiere di numerosi paesi di transito e
di provenienza, va adottata una immediata moratoria di tutte le espulsioni e
dei respingimenti
Occorre
adottare una registrazione di tutti gli immigrati irregolari presenti in
Italia, finalizzata non ad una
espulsione ma a garantire loro una stabilità di soggiorno in un luogo
determinato, senza quella mobilità incontrollabile che viene prodotta dalla
criminalizzazione dell’esclusione e dalla clandestinizzazione forzata che ne
deriva
1. La pandemia di COVID 19 si sta estendendo
negli stessi giorni in cui si portano a compimento nel modo più atroce le
politiche di respingimento e di confinamento forzato alle frontiere esterne
dell’Unione Europea, a Lesbo, nelle isole greche dell’Egeo ed al confini del fiume Evros in Grecia, nel Mediterraneo centrale sulla rotta libica, con respingimenti collettivi in
mare verso i campi di concentramento presenti da anni in
Libia con la
complicità dell’intera comunità internazionale. Di fronte alla tragedia più
vicina che colpisce la popolazione italiana, il livello di indifferenza verso
le violazioni dei diritti umani ai confini dell’Europa sembra ormai avere
raggiunto la soglia più alta. Come se il valore della vita dipendesse dalla
prossimità delle vittime e dalla loro appartenenza ad una “nazione”.
L’Unione Europea si è dimostrata incapace di una
effettiva governance unitaria, ormai limitata agli aspetti
puramente repressivi come le operazioni dell’Agenzia europea per il controllo
delle frontiere esterne (FRONTEX). I vertici di Bruxelles hanno dovuto prendere
atto della fine del sistema Schengen decisa dai singoli governi nazionali, una
vittoria evidente dei regimi sovranisti che da tempo avevano sospeso le norme
sulla libertà di circolazione cominciando dai soggetti più vulnerabili, i
potenziali richiedenti asilo. Se a questo aggiungiamo una divisione sostanziale
sulle misure di carattere economico per affrontare una crisi globale che sarà
di lungo periodo, non possiamo che prendere atto che l’Unione Europea ormai
esista solo come contenitore burocratico, mentre le scelte effettive sono
degradate a politiche intergovernative in cui ciascun paese cerca di dettare le
sue regole in base ai rapporti di forza che si determinano nel tempo. Ne deriva
una spinta formidabile per quei partiti populisti che da tempo cercano di
propagandare l’uscita dall’Unione Europea e dall’euro come la panacea per la
crisi economica attraversata dai ceti più deboli, una crisi che con
l’aggravarsi della pandemia ed il blocco delle attività lavorative, non potrà
che diventare devastante per la vita delle persone e per l’assetto democratico
dei paesi in cui vivono.
2. In
Italia si è scelta la strada del progressivo inasprimento delle misure
limitative della libertà di circolazione, prevista dall’articolo 16 della
Costituzione, come metodo prevalente per garantire quell'”isolamento
sociale”che, in un paese caratterizzato da un sistema sanitario depotenziato per i tagli apportati negli anni a tutti
i settori del “pubblico”, appare l’unico rimedio in grado di rallentare la
diffusione del COVID 19. Una serie di provvedimenti che non avranno certo la
breve durata temporale dei decreti fin qui adottati dal governo, ma che rischia
di diventare una riduzione permanente della libertà personale sottoposta a
controllo di polizia. Controllo che è stato affidato anche ai militari
dell’esercito ai quali su richiesta del prefetto viene attribuita la qualifica
di agenti di pubblica sicurezza. Come abbiamo già scritto si tratta di misure che per quanto
opportune da un punto di vista sanitario, nella loro concreta formulazione e
soprattutto nella prassi delle autorità di polizia, si traducono in una vasta
oscillazione di decisioni discrezionali nella valutazione dei motivi che ancora
legittimano una minima libertà di circolazione. Migliaia le denunce all’autorità giudiziaria per inosservanza di ordine
dell’autorità (art. 650 c.p.) e per reati più gravi come il falso nella
dichiarazione a pubblico ufficiale ( art. 495 c.p.) e da ultimo la diffusione
di epidemia (art. 428 c.p.).
Appare evidente come ci si trovi su un piano inclinato
che, con il procedere della pandemia e con l’inasprimento delle sanzioni
repressive, comporterà fatalmente un punto di non ritorno nell’adozione di
misure limitative della libertà personale in nome di superiori interessi di
rilevanza pubblica, oggi di carattere sanitario, domani magari per motivi
economici o di conflitto sociale che potrebbe derivarne ( come si è visto negli
anni scorsi con le zone rosse). Un primo terreno di sperimentazione di questo
abbattimento del sistema delle garanzie proprie di uno stato democratico al
tempo del COVID 19 si verifica adesso con i migranti, ed a breve si verificherà
anche nei confronti della componente più debole della popolazione italiana, quella
dei tanti senza fissa dimora e di tutti coloro che sono
costretti a vivere in insediamenti informali, o in occupazioni abitative, ai
limiti della clandestinità. Occorre rafforzare le reti sociali di protezione
piuttosto che puntare soltanto su misure di pubblica sicurezza.
Come ha richiesto la Campagna LasciateCientrare, “L’eccezionalità della
situazione dovrebbe imporre l’adozione di misure, atti e comportamenti che non
violino le prescrizioni sanitarie e le precauzioni attinenti alle misure
adottate per tutta la cittadinanza e sono migliaia le persone senza una dimora
che in questi giorni di emergenza hanno bisogno di attenzione e di interventi
straordinari, come ha ricordato anche il capo dipartimento della Protezione
civile, Angelo Borrelli, chiedendo a Comuni e Regioni di occuparsene”.
3. Le più
recenti prescrizioni contenute nei moduli di autocertificazione che impongono una
dichiarazione di non positività per tutti coloro che vengono fermati sulla
strada dalle autorità di pubblica sicurezza rimettono alle forze di polizia una
valutazione “a posteriori” del comportamento delle persone che può avere gravi
conseguenze penali. La moltiplicazione delle sanzioni e dei reati non sembra
avere quella efficacia deterrente che si vorrebbe attribuire allo strumento
penale. Il carcere sembra sempre meno lo strumento con il quale si può
garantire il rispetto delle prescrizioni di condotta legate al contrasto
dell’emergenza COVID 19 in corso.
È importante che oggi sia finalmente arrivato un
provvedimento del governo che prevede che fino al 30 giugno 2020, potrà essere
ottenuta la detenzione domiciliare dai detenuti che devono scontare una
pena, o residuo di pena, fino a 18 mesi, come già previsto dalla
normativa vigente, ma con una procedura semplificata. Vedremo adesso come
saranno attuate le misure di decongestionamento delle carceri contenute
nel decreto approvato oggi in Consiglio dei ministri.
Se si considera la situazione di disfacimento del
sistema di accoglienza italiano, effetto anche del cd. “capitolato Salvini”,
che ha ridotto a livelli insostenibili i pagamenti dovuti agli enti gestori,
mentre continuano ad essere notificati i dinieghi adottati dalle Commissioni
territoriali dopo l’abolizione della protezione umanitaria, i centri più affollati rischiano di diventare
una bomba sociale e sanitaria che farà per prime vittime gli stessi migranti in ospitalità, ma con conseguenze a catena anche
per la popolazione residente. I centri più grandi, come quelli di Milano
e Bologna, vanno chiusi, il sistema degli SPRAR ad accoglienza
diffusa va rifinanziato e di nuovo ampliato. Gli operatori che erano stati
licenziati vanno riassunti per portare a compimento i percorsi di inclusione
che erano stati avviati e che poi sono stati interrotti. Non solo
nell’interesse dei migranti, ma di tutti i cittadini. e in particolare degli
operatori. sanitari e di polizia Piuttosto che aumentare i controlli discrezionali di
polizia andrebbero aumentati i test per verificare lo stato di positività.
A fronte della chiusura in entrambi i sensi delle
frontiere Schengen interne ed esterne, anticipata dalla chiusura delle
frontiere di numerosi paesi di transito e di provenienza, come l’Egitto, la
Libia, la Tunisia, l’Algeria, il Marocco, la Nigeria e tanti altri in Africa, e
non solo, va adottata una immediata moratoria di tutte le espulsioni e dei
respingimenti. Occorre adottare una registrazione di tutti gli
immigrati irregolari presenti in Italia, finalizzata non ad una
espulsione che oggi non appare più possibile, anche per la chiusura di numerosi
centri per i rimpatri ( come i CPR di Trapani e di Caltanissetta, a breve), ma
a garantire loro una stabilità di soggiorno in un luogo determinato, senza
quella mobilità incontrollabile che viene prodotta dalla criminalizzazione dell’esclusione
e dalla clandestinizzazione forzata che ne deriva. Tutti i centri di detenzione amministrativa vanno
chiusi, oggi che
appare evidente l’impossibilità di portare a compimento operazioni di rimpatrio
con accompagnamento forzato.
La diffusione del COVID 19 in Africa è ancora assai
limitata, ma presto potrebbe estendersi, e questo potrebbe comportare una
discriminazione ancora più forte nei confronti dei migranti che comunque
continueranno ad arrivare nel nostro paese. I partiti populisti non aspettano
altri per rilanciare la loro politica del “nemico interno”. Per quanti ancora
continuano ad arrivare sulle nostre coste, anche adesso che quasi tutte le ONG
operanti nel Mediterraneo centrale sono state allontanate, occorre garantire
luoghi di prima accoglienza e transito, e sistemi di monitoraggio sanitario
tempestivo che non determino scontri con la popolazione residente, come si sta
verificando in questi giorni in Sicilia, nella cittadina di Porto Empedocle (Agrigento). Di certo, su questo versante non si
potrà più contare sulla solidarietà europea, tutta orientata a misure di
respingimento ed espulsione ( e di preventivo internamento).
Malgrado il blocco della maggior parte delle attività
amministrative degli uffici di questura e degli uffici giudiziari si dovrà
comunque garantire il rispetto delle regole date dall’ordinamento interno e
sovranazionale, in particolare per quanto riguarda l’accesso alla procedura di
asilo, il divieto di respingimento ( art. 33 della Convenzione di Ginevra), i
diritti dei minori non accompagnati (inespellibili) e degli altri soggetti
vulnerabili ( art. 19 T.U. n.286/98) come delle vittime di tortura e della
tratta. Particolarmente critica la posizione di centinaia di migranti
potenziali richiedenti asilo, ancora trattenuti nel centro Hotspot di Pozzallo
dopo il periodo di quarantena obbligatoria.
4. Il rischio che l’emergenza sanitaria, ed il dolore
collettivo ed individuale che la circonda, travolga le basi stesse dello stato
di diritto è assai alto, anche perché dietro i richiami all’unità nazionale
alcune forze politiche, che hanno rapporti preferenziali con le forze di
polizia, e solidi collegamenti con i regimi più autoritari del mondo, dalla
Russia di Putin al Brasile di Bolsonaro, continuano a perseguire una politica
di cupo nazionalismo. Una politica del “prima gli italiani”, che si propone da tempo una forte
concentrazione dei poteri, il sostanziale esautoramento delle assemblee
parlamentari, il
controllo della magistratura, una politica che non potrà che avere risvolti
autoritari nei confronti dei migranti e di tutti i cittadini solidali che si
opporranno. Come se non fosse evidente che l’unica soluzione delle questioni
ambientali e sanitarie si potrà ritrovare in una forte coesione sociale attorno ai principi di solidarietà e
inclusione.
Anche in questi giorni di “isolamento domiciliare”
occorre rompere il muro del silenzio e del conformismo. Piuttosto che
intonare l’inno nazionale alla finestra, magari si potrebbero leggere gli
articoli della Costituzione italiana. Occorre soprattutto continuare a
costruire, con determinazione ancora maggiore, reti civiche di collegamento
articolate per snodi locali, che permettano un monitoraggio sull’applicazione
delle nuove disposizioni che limitano la libertà di circolazione e la connessa
libertà di riunione. Un percorso di difesa legale e di controinformazione che dovrà proseguirsi anche quando
questa “emergenza” avrà superato il suo picco più elevato, perchè una cosa oggi
può dirsi certa. Nulla tornerà come prima. E purtroppo ,tra le due
possibilità aperte, che si possa ancora sperare in un ritorno di solidarietà, a
partire dal recupero dell’ambiente e dalla ricostruzione di un sistema
sanitario pubblico, o che ci si possa ritrovare in uno stato “a democrazia
autoritaria”, molti segnali politici, ed economici, con la recessione globale che si profila, come le più recenti tendenze di
voto, lasciano intravedere il prevalere di nazionalismi di segno diverso e
dunque il possibile tramonto dello stato democratico.