martedì 17 dicembre 2019

GENESI DI UN BENE COMUNE

 la vicenda dell’Istituto Statale dei Sordomuti di via Cavour 6|A 


- Rosalba Carriera -
un bene comune -inteso come unità immobiliare e come eredità immateriale-  che le generazioni passate hanno consegnato nelle mani della collettività per conservarlo nella sua portata valoriale, materiale e storica  a beneficio delle generazioni future, mantenendo i segni della mutua solidarietà e dell’integrazione sociale dei più svantaggiati


Il 4 dicembre 2019 l’Istituto dei Ciechi di Palermo –  Ente vigilato dall’Assessorato Regionale dell’Istruzione e della Formazione Professionale della Regione Siciliana –  ha comunicato sul proprio sito ufficiale  che “intende procedere alla valorizzazione a vantaggio della Comunità dell’immobile ex sede dell’Istituto Statale dei Sordomuti facente parte del patrimonio immobiliare dell’Istituto dei Ciechi a seguito della Legge Regionale n. 9/2015 (Art. 34)”.
Dall’avviso pubblico relativo alla “manifestazione d’interesse” apprendiamo quindi che l’Ente vuole valorizzare il bene, vendendolo o affittandolo, a condizione che la struttura ospiti “servizi e attività assistenziali coerenti con le finalità istituzionali dell’Istituto dei ciechi”.
Ma cosa ha mosso il nostro interesse verso una materia sicuramente arida e noiosa, qual è quella che riguarda consigli di amministrazione, passaggi patrimoniali e funzioni amministrative degli enti pubblici e privati? Sicuramente non gli aspetti giuridico – ragionieristici.
In verità siamo stati condotti in questi meandri dall’interesse suscitato in noi dalla sperimentazione sociale dal basso che ha preso avvio la scorsa estate, all’interno dello stabile di via Cavour 6/A, ex Istituto dei Sordomuti di Palermo. Come riportano alcune pagine della cronaca cittadina “nella calura di questi mesi lo spazio è stato reso fruibile a fini sociali – senza scopo di lucro – dai giovani della Casa del Popolo che hanno accolto decine di ragazzini dei quartieri circostanti, organizzando attività didattiche integrative”. Dunque, negli spazi che un tempo ospitarono la scuola per i sordomuti, una comunità intergenerazionale di volontari ha, nella breve ma intensa esperienza della Casa del Popolo, offerto servizi gratuiti, dando nuovamente vita e valore d’uso a un edificio fatiscente, ormai chiuso e abbandonato da anni, in sintonia con le finalità d’integrazione sociale caratterizzanti la storia dell’edificio, che lo qualificano – lo vedremo in seguito – come bene comune.
Intorno alla fine dell’Ottocento la creazione dell’Istituto dei ciechi di Palermo si realizza come impresa filantropica voluta da alcune personalità della città, che avviano una vera e propria raccolta fondi rivolgendosi alla “carità privata” della borghesia cittadina e raggiungendo così nel 1884 la cifra importante di 40.000 lire. Ma l’obiettivo giunge al segno solo quando interviene Casa Florio, che mette a disposizione dell’impresa ben 200.000 lire e la splendida Villa del Pegno. Al capitale degli importanti imprenditori palermitani si aggiunge un decennio dopo l’ingente lascito di Francesca Salamone, con l’intero patrimonio suo e della sorella Anna, cieca. Quest’ultima donazione viene condizionata alla fondazione di un istituto femminile riservato alle cieche povere “non interdetto alle cieche di altra patria”, con annessi educandato ed ospizio. Si tratta dei medesimi presupposti dei Florio –  che però individuano tra  i beneficiari sia donne che uomini colpiti da cecità –  per cui nel 1898 si ritiene di costituire un unico Ente morale a nome delle due donazioni.
Queste le volontà della “carità privata”, che a nostro parere dovrebbero corrispondere alle “finalità istituzionali dell’Istituto dei ciechi”, chiaramente riviste in base alle necessità odierne delle persone affette da cecità.
Ma veniamo all’altra storia, quella dello stabile realizzato per ospitare l’Istituto dei sordomuti, oggetto della “manifestazione d’interesse”. Nel marzo del 1832 Ignazio Migliaccio, Principe di Malvagna nonché Presidente della Commissione della Pubblica Istruzione ed Educazione, si compiace dei risultati ottenuti dagli allievi sordomuti della scuola privata che Ignazio Dixitdominus aveva fondato a Palermo pochi anni prima. Durante il saggio allestito dinanzi alle autorità, gli allievi mostrano come mediante l’istruzione i sordomuti possano essere “restituiti alla civile società e fatti partecipi a quella reciproca comunione d’idee e di diritti per li quali la ragione e lo spirito li coltiva e va sempre migliorando l’esistenza umana”. Queste le parole del Principe di Malvagna, che inoltre  ribadisce come il lavoro del maestro Dixitdominus  abbia ottenuto “sommo vantaggio a tali esseri infelici che per difetti organici parevano dover essere assolutamente esclusi dalla società umana”.
E qui ci  piace far osservare come l’attenzione prestata ai soggetti svantaggiati della società da parte di Ignazio Migliaccio sia degna del nobile gesto del figlio Alessandro, che nel 1855 esprime mediante testamento la volontà di donare alla Pinacoteca di Palermo per il pubblico godimento una delle opere più belle presenti oggi nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis: il Trittico fiammingo di Jan Gossaert detto Mabuse.
Nell’Ottocento, d’altra parte, l’interesse per le lettere, le scienze e le arti spesso è assimilato all’impegno politico e sociale. L’alto tasso di sordomuti in Sicilia, nella fattispecie, è percepito come una piaga sociale; tante fanciulle e fanciulli ne sono affetti e soprattutto quelli più poveri sono destinati a vivere in condizioni disumane. Le suppliche al Re Ferdinando II da parte dei Consigli Generali della Sicilia per l’autorizzazione a realizzare una scuola pubblica per i sordomuti vengono accolte favorevolmente dal sovrano, che nel 1833 acconsente ad assegnare “l’annua rendita di onze 800 da prelevarsi per onze 200 sul Comune di Palermo e per le restanti onze 600 da un ratizzo sulle Valli proporzionato alla rispettiva popolazione” per la realizzazione dello stabile che ospiterà l’Istituto per i sordomuti.
Dopo diverse ricerche, il 22 giugno del 1835 Ferdinando II autorizza l’acquisto della casa degli “eredi del Conte Gagliano situata tra le antiche due porte della Città dette di S. Giorgio e Macqueda” al costo di “onze 1.350, da prelevarsi dai risparmi del fondo comune delle Valli”. Un immobile perfetto per l’uso, sottolinea Dixitdominus, che si mostra entusiasta “per l’Aria sanissima, primo ingrediente dell’uomo … (e ancora) per l’Acqua abbondantissima … Luce splendidissima – Giardinetto elegantissimo, ove potersi nei giorni di sollievo, divertirsi”.
Una spesa pubblica tesa al mantenimento gratuito di “50 individui dell’uno e dell’altro sesso da concorrervi da tutti i paesi dell’Isola, preferendo sempre i più poveri”, mentre le spese per gli ulteriori ricoverati verranno in parte sostenute dai rispettivi Comuni con l’assegnazione di onze 15 annue “affinché siano addestrati, per mezzo di segni o di figure rappresentative le cose … a profferir le parole e ad esprimere i loro sentimenti ed indi siano gradatamente istruiti secondo la rispettiva abilità di ciascuno nel leggere e scrivere correttamente e con buon carattere, nell’aritmetica, nel disegno, nei lavori manuali e nelle arti meccaniche, onde professare un mestiere in società”.
Questa, a grandi linee, la storia dello stabile di via Cavour 6/A che mostra almeno due cose: fu un’impresa realizzata mediante risorse pubbliche dell’amministrazione della città di Palermo e delle Valli (l’antica suddivisione territoriale e amministrativa della Sicilia: Val di Noto, Val Demone e Val di Mazara); fu un’iniziativa sociale tesa a migliorare le condizioni di soggetti svantaggiati.
Dinanzi a queste considerazioni ci pare di poter asserire che l’ex Istituto dei sordomuti – inteso come unità immobiliare e come eredità immateriale – è un bene comune che le generazioni passate hanno consegnato nelle mani della collettività per conservarlo nella sua portata valoriale, materiale e storica  a beneficio delle generazioni future, mantenendo i segni della mutua solidarietà e dell’integrazione sociale dei più svantaggiati. In questo senso, quella della Casa del Popolo è una esperienza che interpreta coerentemente in chiave contemporanea le finalità per cui quel luogo è nato. E invece ci troviamo di fronte a un’inchiesta giudiziaria pendente in capo a delle persone che hanno promosso – con gratuita liberalità e spirito di servizio – un’attività di socializzazione e integrazione, ispirandosi ai valori di sussidiarietà e ai diritti fondamentali espressi dalla nostra Carta Costituzionale, soprattutto laddove si afferma il principio della rimozione degli ostacoli dell’esclusione e dell’emarginazione sociale dei più deboli e il libero sviluppo della persona.