domenica 27 ottobre 2019

I TROFEI DELLO STATO IN PARATA


 DALLA ‘RAZZA ITALICA’ AL ‘BRAND ITALIA’ 

-OSSERVATORIOTUTELACOMUNE
AMBIENTE PAESAGGIO BENI CULTURALI-

 LEONARDO COME BOTTICELLI  
 OVVERO 
FRANCESCHINI COME MUSSOLINI  

IN ITALIA QUESTA LUNGA TRADIZIONE HA CONOSCIUTO IL SUO   MOMENTO ESTREMO SOTTO IL FASCISMO 
MUSSOLINI HA ORGANIZZATO LE PIÙ SPETTACOLARI MOSTRE POLITICHE DELLA NOSTRA STORIA, METTENDO BOTTICELLI AL SERVIZIO DEL FASCISMO
 NÉ NAZIONALISMO NÉ ELITARISMO SULLA QUESTIONE DEL PRESTITO DELL’UOMO VITRUVIANO
 IN UNO STATO CON LA NOSTRA COSTITUZIONE, LA RAGION DI STATO DOVREBBE COINCIDERE 
CON LE RAGIONI DELLA TUTELA E DELLA RICERCA 
MA DOVE RENZI NON È RIUSCITO, FRANCESCHINI HA AVUTO PIENO SUCCESSO: NEL GOVERNO DEL PATRIMONIO CULTURALE ORMAI LA COSTITUZIONE È UN LONTANO RICORDO

Con la Costituzione, che legava strettamente all’articolo 9 la ricerca e la tutela del patrimonio, si sperò di chiudere per sempre con questa strumentalizzazione politica della nostra arte, ma il vizio era troppo antico. Nel 1952 Roberto Longhi si doveva ancora augurare che lo Stato “ponesse un fermo a questa stolida e spesso servile mania esibizionistica dell’Italia all’estero. Mania che, ove non venisse ormai stroncata, finirebbe, oltre agli irreparabili danni materiali, per revocarci stabilmente dal novero delle nazioni culturalmente più progredite”. Perché, pensava Longhi, e pensa ancora la comunità internazionale degli storici dell’arte, il progresso coincide con la sottrazione alla logica effimera del consenso politico di un patrimonio delicatissimo, che dovrebbe semmai servire a sviluppare la nostra umanità. Ma non c’è stato nulla da fare, e così il governo Monti ha portato il Rinascimento a Pechino e Caravaggio a Belo Horizonte, il governo Renzi ha spedito Raffaello a Mosca per ringraziare Putin di un accordo sul gas, e oggi Dario Franceschini e il suo omologo francese hanno firmato un accordo politico per la mostra di Leonardo al Louvre (che, duole dirlo, non ha una sola novità scientifica, ed è un’umiliante parata di trofei di Stato). La prestigiosa Tribune de l’art ha parlato di “protocollo ridicolo, perché regola qualcosa che non è né dovrebbe essere al livello del potere politico, ma nelle mani dei musei e dei loro responsabili. Il ministro italiano, che pareva assai poco a proprio agio, ha voluto precisare ai giornalisti che ‘il prestito è competenza solo dei musei e delle autorità scientifiche’, ma aveva appena dimostrato il contrario con questo accordo politico tra Italia e Francia”.
Franceschini in tutto questo ha un ruolo particolarmente grave. Perché la sua scellerata riforma ha affidato i grandi musei italiani a direttori autonomi che hanno ricevuto un potere immenso dopo una selezione farsesca basata su colloqui di 15 minuti. Il fatto che, secondo la riforma, il ministro stesso possa confermare o meno in ruolo i direttori, li ha totalmente asserviti alla politica: così come sono asserviti i consigli scientifici dei musei, di nomina pure largamente politica. L’apparato centrale del ministero si è tolto quasi ogni possibilità di controllo sostanziale. La Direzione generale dei musei non si occupa di tutela, e il suo comitato scientifico è quello per l’economia della cultura: tanto per chiarire che per Franceschini i musei sono dei bancomat.
E la Direzione per le Belle Arti, che pure potrebbe e dovrebbe intervenire, lo fa solo per aderire ai prestiti decisi localmente, senza consultare il suo comitato tecnico scientifico (presieduto da Tomaso Montanari,NdA): così è avvenuto per l’Uomo Vitruviano.
Il massacro dell’alta dirigenza Mibac compiuto al tempo di Bondi e Berlusconi (i cui beneficiari sono ora tornati al potere con il ritorno di Franceschini), ha lasciato il patrimonio culturale in mano a “grandi equilibristi – per usare le parole sempre attuali di Antonio Cederna – disposti sempre all’obbedienza verso i pezzi più grossi di loro, sulla cui mancanza di carattere e di convinzioni generali i vandali sanno di poter contare”.