-Associazione Ya Basta! êdî Bese!, Collettivo Co.(s).c.e.-
Le donne palestinesi non devono attendere
per la loro liberazione
«Tal'at,
un movimento dal basso di donne per le donne, trasversale e intersezionale che lotta contro il patriarcato, contro la violenza di genere, contro il
colonialismo e il regime di apartheid imposto dal regime militare israeliano»
La Storia ci insegna che in guerra e sotto
occupazione militare le donne sono spesso quelle che sopportano il peso
maggiore, ma anche che reagiscono con maggior coraggio e determinazione. Le
donne palestinesi sono, storicamente, già da prima della Nakba, un esempio di
lotta, resistenza ed organizzazione per tutto il Medio Oriente. Nel 1987 la
Prima Intifada scoppiò in modo del tutto spontaneo ed inaspettato e coinvolse
tutta la società civile, proprio a partire dalle donne. Nelle strade di
Ramallah, le donne di ogni età scesero in piazza lanciando pietre e costruendo
barricate, coinvolsero anche i loro coetanei di sesso maschile al grido di
“dove siete, uomini di Ramallah?”
Allo stesso modo oggi, in Palestina,
stiamo assistendo alla nascita di un movimento spontaneo “dal basso”, slegato
dalle piattaforme politiche tradizionali.
Tal’at, questo il nome che il movimento
autoconvocato ha deciso di darsi e che significa letteralmente “venir fuori”;
“uscire”; è inequivocabilmente un movimento intersezionale.
Il movimento prende spontaneamente il via
dalla risposta all’ennesimo dramma che ha posto la società palestinese in
condizione di dover fare i conti con il profondo radicamento del
patriarcato al suo interno, ma sta diventando rapidamente la voce delle donne
che lottano contro la violenza di genere, contro il colonialismo ed il
conseguente regime di apartheid imposti dall’occupazione militare sionista e
contro un sistema economico e sociale che le vede subalterne agli uomini
nonostante siano mediamente più istruite di questi ultimi.
Parliamo di donne giovanissime ed indipendenti che hanno creato un movimento dal basso: dalle donne per le donne senza organizzazione partitica, senza leader; di un movimento trasversale che coinvolge tutte le città in cui vi è una presenza palestinese, contro la parte più conservatrice dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), contro il controllo sociale di Hamas a Gaza, contro le violazioni dei diritti umani, quali ad esempio la detenzione amministrativa e per il diritto al Ritorno.
Parliamo di donne giovanissime ed indipendenti che hanno creato un movimento dal basso: dalle donne per le donne senza organizzazione partitica, senza leader; di un movimento trasversale che coinvolge tutte le città in cui vi è una presenza palestinese, contro la parte più conservatrice dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), contro il controllo sociale di Hamas a Gaza, contro le violazioni dei diritti umani, quali ad esempio la detenzione amministrativa e per il diritto al Ritorno.
Le mobilitazioni di piazza sono iniziate
subito dopo la morte di Israa Ghrayeb. Parliamo dell’ennesimo caso di
femminicidio (quelli accertati sono stati 13 in Cisgiordania ed 11 a Gaza nel
2018 e dall’inizio del 2019 sono 28) che avevamo raccontato qui.
Avevamo parlato, in quell’occasione, di
“un processo di cambiamento della società che sta mettendo al centro del
dibattito politico i diritti delle donne e le diversità di genere ed
orientamento sessuale” in atto in Palestina. Avevamo anche evidenziato come si
trattasse di un processo rimasto troppo a lungo in sordina a causa delle
problematiche più urgenti, e comunque ancora irrisolte, legate all’occupazione
ed alla liberazione. Un caso di femminicidio reso ancora più grave dai futili
motivi e dall’aver assunto le caratteristiche del delitto d’onore e dell’omertà
familiare e sociale.
Il caso di Israa Ghrayeb, che è stata
assassinata dai suoi parenti mentre era in ospedale a Ramallah, ha messo in
luce la corruzione profondamente radicata nelle istituzioni palestinesi e gli
omicidi nei territori occupati nel 1948 hanno dimostrato che non esiste uno
spazio sicuro in un luogo governato dai sionisti. Per anni, attraverso le
prigioni, le donne palestinesi sono state utilizzate come strumenti dalla
polizia israeliana e dallo Shin Bet per rafforzare il controllo sul popolo
palestinese, ma allo stesso tempo le donne vittime della violenza domestica
scoprono rapidamente che non esiste alcun apparato in grado di proteggerle
contro il patriarcato, se non un movimento fatto da altre donne.
Giovani donne ed uomini in tutta la
Palestina erano già al lavoro da Dicembre 2018 su una nuova piattaforma di movimento
sociale transfemminista sull’onda di indignazione generata da un altro caso di
femminicidio: quello che vide come vittima la diciassettenne Yara Ayoub.
Il 26 settembre Tal’at è entrato di petto
nella storia del movimento femminista mediorientale e mondiale, portando in
piazza decine di migliaia di donne al grido di “Free homeland, free women!” in
Cisgiordania, nella Palestina storica (quindi nelle città oggi israeliane), in
Libano, a Londra, in Europa e persino a Gaza, dove parlare di questioni di genere
è estremamente complicato.
Tal’at sta prendendo sempre più le sembianze di un movimento ecotransfemminista, affrontando anche le questioni di marginalizzazione legate al land e water-grabbing, alla condizione di rifugiate e rifugiati, ponendosi anche come riferimento per il movimento LGBTQIA+, lo stesso che viene isolato dalla parte conservatrice della società ed osteggiato e represso dall’ANP con l’uso della polizia, come nel caso di “AlQaws”.
Tal’at sta prendendo sempre più le sembianze di un movimento ecotransfemminista, affrontando anche le questioni di marginalizzazione legate al land e water-grabbing, alla condizione di rifugiate e rifugiati, ponendosi anche come riferimento per il movimento LGBTQIA+, lo stesso che viene isolato dalla parte conservatrice della società ed osteggiato e represso dall’ANP con l’uso della polizia, come nel caso di “AlQaws”.
In diverse occasioni, lo scorso mese,
l’esercito di occupazione e la stessa polizia palestinese hanno messo in atto
manovre repressive ed arrestato i/le manifestanti.
Non si sono comunque arrestate le numerose manifestazioni, sempre più partecipate, lanciate nel mese di ottobre.
In questi giorni si è tornati a parlare di Tal’at per il sostegno e la visibilità che ha dato al caso di Heba Al Labadi, la ragazza giordana di origini palestinesi in detenzione amministrativa nelle carceri israeliane con l’accusa (non supportata da prove) di aver avuto contatti con esponenti di Hezbollah. Dopo 42 giorni di sciopero della fame che hanno portato all’intervento della diplomazia giordana, Heba verrà rilasciata in settimana.
Non si sono comunque arrestate le numerose manifestazioni, sempre più partecipate, lanciate nel mese di ottobre.
In questi giorni si è tornati a parlare di Tal’at per il sostegno e la visibilità che ha dato al caso di Heba Al Labadi, la ragazza giordana di origini palestinesi in detenzione amministrativa nelle carceri israeliane con l’accusa (non supportata da prove) di aver avuto contatti con esponenti di Hezbollah. Dopo 42 giorni di sciopero della fame che hanno portato all’intervento della diplomazia giordana, Heba verrà rilasciata in settimana.
In una recente intervista di Chiara
Cruciati a Soheir Asaad, attivista politica e femminista, tra le organizzatrici
di Tal’at, si può leggere quello che è il manifesto politico di questo
movimento:
“Primo: siamo qui per combattere ogni tipo
di violenza, fisica, sessuale, psicologica, politica ed economica che la
maggior parte delle donne palestinesi affronta ogni giorno.
Secondo: la violenza non è un fatto
individuale né va affrontato come un caso criminale: è un crimine sociale, è il
sistema che uccide. Come nel caso di Israa, lo si è visto dal ruolo passivo di
medici e polizia.
Terzo: la giustizia di genere è una
questione politica. Siamo la terza generazione di rifugiati, viviamo in
comunità segregate e divise dall’occupazione israeliana e come donne subiamo le
stesse violenze, omicidi, detenzioni, divieto alla riunificazione familiare.
Quarto: vogliamo ridefinire il concetto di
liberazione nazionale, prendendo di mira l’élite politica, i partiti, le
organizzazioni: non ci può essere liberazione nazionale senza la liberazione
delle donne. Non basta essere liberi dal dominio israeliano se la nostra
società non è libera e giusta per tutti”.
Sempre Chiara Cruciati ha intervistato
l’ex parlamentare palestinese e del partito progressista Balad: Haneen Zoabi.
Quest’ultima propone al popolo palestinese di entrare nel Knesset e di portare
conflittualità partecipando alla politica, questo non significa però
legittimare lo Stato di Israele, ma utilizzare uno strumento per sfidare quel
regime politico. Un ritorno dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione delle
Palestina) potrebbe aiutare, dice, per recuperare l’identità palestinese che
quotidianamente gli israeliani cercano di sovvertire; la soluzione è quella di
ricreare l’Olp a seconda delle nuove esigenze, delle nuove criticità, dei nuovi
partiti e dei diversi e nuovi contesti in cui vivono le/i palestinesi.
Il movimento Tal’at non lotta solo contro
il patriarcato e le violenze di genere, ma anche contro il colonialismo
israeliano che tenta di farsi spazio ed imporsi anche in questo frangente. Su
“Mada Masr”, la nota piattaforma media indipendente araba con sede in Egitto,
il movimento ha espresso fermamente le sue posizioni riguardo al confronto con
le femministe israeliane. Si legge, infatti:
“Mentre ci preparavamo per le
manifestazioni, ci siamo nuovamente imbattuti nell'arroganza delle femministe
israeliane che non possono tollerare una voce palestinese che non cerca la loro
approvazione o partecipazione. Questo persistente senso del diritto e la spinta
a dominare qualsiasi movimento palestinese le ha portate a tentare di imporre
sé stesse ed il loro discorso sul movimento. Ma come femministe palestinesi,
sappiamo cosa significhi vivere una realtà coloniale e siamo consapevoli del
ruolo che questo sistema svolge nella nostra oppressione. Ci rifiutiamo di
essere uno strumento che legittima il colonialismo. Operando da questa stessa
premessa, ci rifiutiamo di parlare con qualsiasi media israeliano. Crediamo
nella libertà di tutti i gruppi perseguitati e oppressi in tutto il mondo e la
nostra lotta per un'emancipazione vera e radicale non può intersecarsi con
quella delle donne con potere e influenza acquisiti attraverso l'espropriazione
e l'oppressione di altre donne. Era chiaro per noi, in quanto movimento
politico femminista operante all'ombra di una realtà coloniale, che in qualche
momento saremmo state costrette a resistere a tali tentativi, poiché non sono i
primi nel loro genere. Il modello si applica a qualsiasi movimento palestinese
libero che rifiuta il sionismo e preme attivamente per la liberazione.”
Tornando alle affermazioni di Haneen Zoabi, è di fondamentale importanza ritrovare una dimensione condivisa per riuscire a mobilitarsi, e forse è proprio questo ciò che stanno riuscendo a fare le migliaia di donne del movimento Tal’at: lotta al colonialismo e al patriarcato!
Tornando alle affermazioni di Haneen Zoabi, è di fondamentale importanza ritrovare una dimensione condivisa per riuscire a mobilitarsi, e forse è proprio questo ciò che stanno riuscendo a fare le migliaia di donne del movimento Tal’at: lotta al colonialismo e al patriarcato!
La rassegna cinematografica “Palestine
Film Meeting” che si è appena conclusa, è stata caratterizzata da “No means
No”, una campagna di sensibilizzazione sulla violenza di genere, che va a
rompere un taboo radicato nella società palestinese: può essere considerato un
primo risultato mediatico del movimento?
È ancora presto per riuscire a valutare con esattezza la portata e l’efficacia di Tal’at.
Ma, ancora una volta, in Palestina, in Medio Oriente, ci insegnano come la questione di genere sia imprescindibile dalle lotte di emancipazione e di autodeterminazione.
Di sicuro è possibile ripensare ad una Palestina radicale, libera, femminista e di lotta.
È ancora presto per riuscire a valutare con esattezza la portata e l’efficacia di Tal’at.
Ma, ancora una volta, in Palestina, in Medio Oriente, ci insegnano come la questione di genere sia imprescindibile dalle lotte di emancipazione e di autodeterminazione.
Di sicuro è possibile ripensare ad una Palestina radicale, libera, femminista e di lotta.