lunedì 30 settembre 2019

L’ERETICO DELL’EDDYBURG

-Tomaso Montanari -

Salzano, una guida preziosa contro il culto del mercato  

non cessava di decostruire e denunciare i dogmi dell’unica religione del nostro tempo, il culto del mercato, signore e padrone delle nostre vite 
la parabola  scientifica e politica  di Edoardo Salzano  dimostra nel modo  più alto che la  gabbia  dello  specialismo si  può rompere: e insegna anche come farlo... 
partendo dal nesso intimo che unisce il governo dell’ambiente alla giustizia sociale per chi 
abita quell’ambiente 


Mercoledì scorso, al piano terreno aperto sul Canal Grande di Cà Tron a Venezia, sede del Dipartimento di Pianificazione del territorio, si sono tenuti i funerali di Edoardo Salzano: urbanista, autore di alcuni tra i piani territoriali più illuminati, fondatore del sito collettivo Eddyburg. Questa è una parte di ciò che ho detto in quella occasione. “I giovani della mia generazione hanno avuto, indubbiamente, dei maestri. Ma quanti di questi hanno tradito, o si sono compromessi, o stancati! Gli uomini sulle cui parole avevamo giurato rivelarono poi incrinature fatali tra le qualità critiche o creative e quelle più largamente umane della coscienza”. Subito dopo la Liberazione, queste parole furono rivolte da Francesco Arcangeli a Roberto Longhi. In quel quadro morale devastante, Arcangeli riconosceva al suo maestro di non aver tradito: “Alcuni si salvarono nel silenzio. Longhi fu tra i rarissimi che continuarono a parlare senza venir meno alla loro dignità”. Ebbene, quanto più vale oggi questo altissimo riconoscimento per Edoardo Salzano. La sua voce – alta, forte, sicura – è stata in tutti questi anni una delle più preziose guide su cui orientare il cammino: una delle poche luci sempre accese, e non riflesse, nel buio in cui siamo sprofondati.
La voce di un eretico, che non cessava di decostruire e denunciare i dogmi dell’unica religione del nostro tempo, il culto del mercato, signore e padrone delle nostre vite. Nell’ultimo testo che mi mandò per una iniziativa che avevo promosso – un testo politico, scritto insieme alla sua compagna Ilaria Boniburini – è messa a nudo con straordinaria efficacia la doppiezza mortifera del principale di quei dogmi: “Sviluppo non significa aumento della nostra capacità di ascoltare e comprendere gli altri, qualunque lingua essi adoperino, utilizzando insieme cervello e cuore: significa solo aumento della produzione e consumo di merci, aumento della ricchezza di chi produce e induce a consumare merci sempre più inutili, sacrificando per una merce inutile ma fonte di maggior ricchezza il produttore a un bene che veniva distrutto (un bosco antico per qualche tonnellata di legname, una città storica per una marea di turisti, un paesaggio di struggente bellezza per una selva di palazzoni o una marea di villette). Questo sviluppo, da un obiettivo è diventato una religione, una credenza cui tutti si inchinano obbedienti. In nome di questo sviluppo abbiamo invaso, saccheggiato, distrutto altre regioni e altri popoli, abbiamo trasformato paradisi in inferni da cui fuggire. E alla fine del ciclo abbiamo trasformato i fuggitivi da nostri simili in cerca di salvezza in nemici da abbattere”. In questa capacità di guardare con lucidità e sintesi straordinarie il buco nero che inghiotte il futuro del pianeta, la dignità di milioni di migranti e la nostra stessa umanità, sta l’eredità più preziosa di Salzano.
Per me, la lezione di Eddy più profonda, e insieme impervia, riguarda la capacità di tenere insieme – di più: di tenere in tensione – il più autorevole e profondo specialismo e la misura universale di un intellettuale capace di aprire quello specialismo a un impegno largo, tanto largo quanto il mondo grande e terribile che vogliamo cambiare. La parabola scientifica e politica di Edoardo Salzano dimostra nel modo più alto che la gabbia dello specialismo si può rompere: e insegna anche come farlo. Se egli ha potuto vedere con tanto anticipo e tanta lucidità il nesso intimo che unisce il governo dell’ambiente alla giustizia sociale per chi abita quell’ambiente, ebbene: non è forse per la conoscenza profonda che egli aveva di Venezia e della sua Laguna? L’apparente non modernità di Venezia come paradigma di una vera modernità: di un progresso che non corra verso la morte, ma verso la vita.
“L’Europa perde uno dopo l’altro i suoi direttori di coscienza”, scrisse Marcel Proust dopo la morte di John Ruskin: anche noi oggi ci sentiamo più soli, ancora più soli, senza le parole, le critiche, i richiami, le illuminazioni di Eddy.
Quante volte, già da domani, ci chiederemo cosa avrebbe detto, come avrebbe giudicato, con quali parole ci avrebbe esortato alla speranza e alla lotta. Eppure, lo avremo sempre con noi: con la forza tutta intera e dirompente di una lunga vita, saggia e giusta. Di una vita felice: riascoltiamolo: “Mi piace il mio lavoro: mettere insieme le cose con le parole dette e le parole scritte; raccontare e scrivere, parlare e proporre a proposito di città, territorio, ambiente, pianificazione. Facendo quel mestiere che ho cominciato, quasi per caso, molti anni fa”. Rileggiamola, una di quelle pagine: “Può succedere (ed è quello che accade nei nostri anni) che il politico assuma come valori da privilegiare non quelli dell’interesse collettivo e dell’equilibrio tra persona e società, ma quelli dell’individualismo liberato da ogni regola volta a garantire il perseguimento di interessi generali (come quello della giustizia sociale, della libertà per tutti, dell’espressione di ogni pensiero). In una simile situazione all’urbanista si aprono due strade: rimanere fedele ai principi propri del suo ruolo sociale, e allora entra in conflitto con quella politica che si è piegata ai venti dominanti; oppure piegarsi anche lui: che è quello che successo largamente in Italia, i nostri maestri sono diventati dei cattivi maestri”. Grazie, Eddy: per essere rimasto fedele sempre. Grazie per essere stato fino all’ultimo un maestro buono. Non sarà facile, ma proveremo a meritarci la luce che hai portato nelle nostre vite.