-Tomaso Montanari -
Salzano, una guida preziosa contro il culto del mercato
non cessava di decostruire e denunciare i dogmi dell’unica religione del
nostro tempo, il culto del mercato, signore e padrone delle nostre vite
la
parabola scientifica e politica di Edoardo Salzano dimostra nel modo più alto
che la gabbia dello specialismo si può rompere: e insegna anche come farlo...
partendo dal nesso intimo che unisce il governo dell’ambiente alla giustizia sociale
per chi
abita quell’ambiente
Mercoledì scorso, al
piano terreno aperto sul Canal Grande di Cà Tron a Venezia, sede del
Dipartimento di Pianificazione del territorio, si sono tenuti i funerali di
Edoardo Salzano: urbanista, autore di alcuni tra i piani territoriali più
illuminati, fondatore del sito collettivo Eddyburg. Questa è una parte di ciò
che ho detto in quella occasione. “I giovani della mia generazione hanno avuto,
indubbiamente, dei maestri. Ma quanti di questi hanno tradito, o si sono
compromessi, o stancati! Gli uomini sulle cui parole avevamo giurato rivelarono
poi incrinature fatali tra le qualità critiche o creative e quelle più
largamente umane della coscienza”. Subito dopo la Liberazione, queste parole
furono rivolte da Francesco Arcangeli a Roberto Longhi. In quel quadro morale
devastante, Arcangeli riconosceva al suo maestro di non aver tradito: “Alcuni
si salvarono nel silenzio. Longhi fu tra i rarissimi che continuarono a parlare
senza venir meno alla loro dignità”. Ebbene, quanto più vale oggi questo
altissimo riconoscimento per Edoardo Salzano. La sua voce – alta, forte, sicura
– è stata in tutti questi anni una delle più preziose guide su cui orientare il
cammino: una delle poche luci sempre accese, e non riflesse, nel buio in cui
siamo sprofondati.
La voce di un eretico, che non cessava
di decostruire e denunciare i dogmi dell’unica religione del nostro tempo, il
culto del mercato, signore e padrone delle nostre vite. Nell’ultimo testo che
mi mandò per una iniziativa che avevo promosso – un testo politico, scritto
insieme alla sua compagna Ilaria Boniburini – è messa a nudo con straordinaria
efficacia la doppiezza mortifera del principale di quei dogmi: “Sviluppo non
significa aumento della nostra capacità di ascoltare e comprendere gli altri,
qualunque lingua essi adoperino, utilizzando insieme cervello e cuore:
significa solo aumento della produzione e consumo di merci, aumento della
ricchezza di chi produce e induce a consumare merci sempre più inutili,
sacrificando per una merce inutile ma fonte di maggior ricchezza il produttore
a un bene che veniva distrutto (un bosco antico per qualche tonnellata di
legname, una città storica per una marea di turisti, un paesaggio di struggente
bellezza per una selva di palazzoni o una marea di villette). Questo sviluppo,
da un obiettivo è diventato una religione, una credenza cui tutti si inchinano
obbedienti. In nome di questo sviluppo abbiamo invaso, saccheggiato, distrutto
altre regioni e altri popoli, abbiamo trasformato paradisi in inferni da cui
fuggire. E alla fine del ciclo abbiamo trasformato i fuggitivi da nostri simili
in cerca di salvezza in nemici da abbattere”. In questa capacità di guardare
con lucidità e sintesi straordinarie il buco nero che inghiotte il futuro del
pianeta, la dignità di milioni di migranti e la nostra stessa umanità, sta
l’eredità più preziosa di Salzano.
Per me, la lezione di Eddy più profonda,
e insieme impervia, riguarda la capacità di tenere insieme – di più: di tenere
in tensione – il più autorevole e profondo specialismo e la misura universale
di un intellettuale capace di aprire quello specialismo a un impegno largo,
tanto largo quanto il mondo grande e terribile che vogliamo cambiare. La
parabola scientifica e politica di Edoardo Salzano dimostra nel modo più alto
che la gabbia dello specialismo si può rompere: e insegna anche come farlo. Se
egli ha potuto vedere con tanto anticipo e tanta lucidità il nesso intimo che
unisce il governo dell’ambiente alla giustizia sociale per chi abita
quell’ambiente, ebbene: non è forse per la conoscenza profonda che egli aveva
di Venezia e della sua Laguna? L’apparente non modernità di Venezia come
paradigma di una vera modernità: di un progresso che non corra verso la morte,
ma verso la vita.
“L’Europa perde uno dopo l’altro i suoi
direttori di coscienza”, scrisse Marcel Proust dopo la morte di John Ruskin:
anche noi oggi ci sentiamo più soli, ancora più soli, senza le parole, le
critiche, i richiami, le illuminazioni di Eddy.
Quante volte, già da domani, ci
chiederemo cosa avrebbe detto, come avrebbe giudicato, con quali parole ci
avrebbe esortato alla speranza e alla lotta. Eppure, lo avremo sempre con noi: con
la forza tutta intera e dirompente di una lunga vita, saggia e giusta. Di una
vita felice: riascoltiamolo: “Mi piace il mio lavoro: mettere insieme le cose
con le parole dette e le parole scritte; raccontare e scrivere, parlare e
proporre a proposito di città, territorio, ambiente, pianificazione. Facendo
quel mestiere che ho cominciato, quasi per caso, molti anni fa”. Rileggiamola,
una di quelle pagine: “Può succedere (ed è quello che accade nei nostri anni)
che il politico assuma come valori da privilegiare non quelli dell’interesse
collettivo e dell’equilibrio tra persona e società, ma quelli
dell’individualismo liberato da ogni regola volta a garantire il perseguimento
di interessi generali (come quello della giustizia sociale, della libertà per
tutti, dell’espressione di ogni pensiero). In una simile situazione
all’urbanista si aprono due strade: rimanere fedele ai principi propri del suo
ruolo sociale, e allora entra in conflitto con quella politica che si è piegata
ai venti dominanti; oppure piegarsi anche lui: che è quello che successo
largamente in Italia, i nostri maestri sono diventati dei cattivi maestri”.
Grazie, Eddy: per essere rimasto fedele sempre. Grazie per essere stato fino
all’ultimo un maestro buono. Non sarà facile, ma proveremo a meritarci la luce
che hai portato nelle nostre vite.