mercoledì 20 marzo 2019

UN MAGLIO CONTRO “MARE JONIO”

 Contro i Migranti e gli Operatori Umanitari

    UNA DIRETTIVA MINISTERIALE CONTRO IL DIRITTO 
Fulvio Vassallo Paleologo 
\ Tutte le imbarcazioni coinvolte in operazioni SAR hanno come priorità il soccorso e il trasporto in un “luogo sicuro” dei migranti raccolti in mare e le azioni di soccorso prescindono dallo status giuridico delle persone
\ Dopo una attività di soccorso in acque internazionali, le persone non sono “clandestini” ma soltanto naufraghi da sbarcare nel più breve tempo possibile in un porto sicuro
\ Le persone soccorse in mare hanno soltanto lo status di naufraghi e il loro sbarco a terra in un porto sicuro non può essere impedito o ritardato al solo fine di contrastare l’immigrazione irregolare o allo scopo di eventuali trattative tra diversi governi o autorità europee

Una direttiva ministeriale che invita le autorità marittime e militari a impedire l’ingresso nelle acque e nei porti italiani alle navi private che abbiano operato attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali a nord della Libia, in quella che si continua a definire “zona SAR libica”, sebbene manchi una Centrale operativa di coordinamento “libica” (MRCC), come ammette in una intervista a Report il rappresentante dell’IMO a Londra.
Si osserva al riguardo da parte degli internazionalisti che, «L’istituzione di una zona Sar è intrinsecamente subordinata alla circostanza che lo Stato parte della Convenzione sia in grado di garantire l’operatività continua ed efficace dei servizi Sar nell’area di propria competenza. In particolare, lo Stato si impegna a istituire un Centro e dei Sotto-centri di coordinamento, a designare delle unità costiere di soccorso, a disporre di strutture, mezzi navali e aerei, centri di telecomunicazione di soccorso e personale adeguato (da un punto di vista quantitativo e qualitativo)”.
Ancora lo scorso dicembre, peraltro, la stessa Guardia costiera libica aveva sostenuto che i soccorsi “nella zona SAR libica” erano operati “in coordinamento con le autorità italiane. Fino al 28 giugno 2018, data di istituzione della SAR libica, questo coordinamento era affidato alle navi italiane della missione NAURAS nel porto di Abu Sittah a Tripoli. Con la fine ingloriosa della missione NAURAS , dopo il 28 giugno dello scorso anno, il coordinamento italo-libico ha assunto modalità diverse, basandosi sulla guerra che si è portata a compimento contro le ONG, sul ritiro ed il fermo in porto dei mezzi della Guardia costiera italiana, nella sostanziale indifferenza delle missioni EUNAVFOR MED (Sophia) e Frontex che da mesi si tengono lontane dalle zone di soccorso o evitano di intervenire dopo gli avvistamenti aerei.
Una direttiva, quella appena firmata dal ministro Salvini, che tradisce puntualmente tutte le Convenzioni internazionali, citate solo per le parti che si ritengono utili alla linea di chiusura dei porti adottata dal governo italiano, ma che non menziona neppure il divieto di respingimento affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, norma destinata a salvaguardare il diritto alla vita ed alla integrità fisica delle persone. Questa omissione si traduce in una ennesima violazione del diritto interno ed internazionale. Gravi le conseguenze per quelle autorità militari che dovessero dare corso ad un provvedimento ministeriale manifestamente in contrasto con le Convenzioni internazionali e con il diritto dei rifugiati. Secondo l’UNHCR il diritto dei rifugiati va richiamato con funzione prevalente rispetto alle norme di diritto internazionale del mare ed alle norme contro l’immigrazione irregolare.
In base all’art. 33 della Convenzione di Ginevra, «Nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche». Tale obbligo è stato ribadito nel rapporto «Rescue at Sea: A Guide to Principles and Practice as Applied to Migrants and Refugees», elaborato nel 2006 dall’Imo e dall’Unhcr e sottoposto ad aggiornamento nel 2015. In tale documento viene evidenziato l’obbligo che incombe al comandante della nave che compie l’intervento di soccorso di tutelare adeguatamente i richiedenti asilo, verificando la loro presenza a bordo, comunicandola all’Unchr ed effettuando lo sbarco unicamente laddove sia possibile garantire loro adeguata protezione. Sono gli stessi rappresentanti dell‘UNHCR che da mesi avvertono come la Libia non garantisca un porto sicuro di sbarco.
Come ricorda l’Unhcr, In mare non è possibile una valutazione formale dello status di rifugiato o di richiedente asilo (in virtù del Protocollo di Palermo del 2000 contro la tratta di migranti; Reg. EU 2014/656 per le operazioni Frontex; d.lgs 286/’98 – T.U. immigrazione e discendente DM 14 luglio 2003; ecc.). Tutte le imbarcazioni coinvolte in operazioni SAR hanno come priorità il soccorso e il trasporto in un “luogo sicuro” dei migranti raccolti in mare e le azioni di soccorso prescindono dallo status giuridico delle persone.
A differenza di quanto sostiene il ministro Salvini, dunque, dopo una attività di soccorso in acque internazionali, le persone, perché di queste si tratta, di uomini, donne, bambini, non sono “clandestini” ma soltanto naufraghi da sbarcare nel più breve tempo possibile in un porto sicuro. Gli stati sono obbligati a prendere accordi perché sia garantito tale porto di sbarco, salvo la sovranità statale che si esercita a terra (Approccio Hotspot) con la distinzione tra richiedenti asilo e migranti irregolari, nel rispetto dei divieti di respingimento in favore di minori, donne con prole ed altri soggetti vulnerabili. In assenza di coordinamento Sar in acque internazionali gli interventi di soccorso operati da navi private non possono essere criminalizzati. Le persone soccorse in mare hanno soltanto lo status di naufraghi e il loro sbarco a terra in un porto sicuro non può essere impedito o ritardato al solo fine di contrastare l’immigrazione irregolare o allo scopo di eventuali trattative tra diversi governi o autorità europee.
Adesso la Direttiva ministeriale potrebbe essere usata come un maglio contro i migranti e gli operatori umanitari a bordo della nave Mare Jonio di Mediterranea. Partita sulla quale si giocherà ancora una volta la indipendenza della magistratura rispetto ai diktat del governo italiano.
I Protocolli delle Nazioni Unite contro il traffico internazionale di esseri umani e la tratta allegati alla Convenzione ONU del 2000 contro il crimine transnazionale affermano la prevalenza della tutela delle persone rispetto alla lotta contro i trafficanti. esattamente l’opposto di quello che il governo italiano pratica dal giugno dello scorso anno e che adesso viene scritto espressamente in un documento. Dopo centinaia di morti che anche quest’anno si cerca di nascondere, in mare ed in terra.
Il Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni unite, firmata a Palermo nel 2000, contro la Criminalità organizzata transnazionale, per combattere il traffico illecito di migranti per via terrestre, aerea e marittima, frequentemente invocato per fornire una base legale agli accordi intercorsi con la Libia, prevede la superiorità gerarchica delle norme di diritto internazionale relative ai diritti dell’Uomo e della Convenzione di Ginevra. In base all’articolo 19 § 1 del Protocollo, «Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica gli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e degli individui derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale relativo ai diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabili, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati e il principio di non respingimento ivi enunciato.»
La Direttiva a firma del ministro Salvini appare chiaramente orientata a dare copertura al voto in Senato sulla richiesta di archiviazione da parte della Giunta sulle autorizzazioni a procedere per il caso Diciotti. Una vicenda che ha evidenziato come in Italia le attività del ministero dell’interno in materia di coordinamento congiunto con il ministero delle infrastrutture, dopo attività SAR, violino sistematicamente consolidati principi dello stato di diritto e gli obblighi di soccorso e salvataggio sanciti dalle Convenzioni internazionali, che, a differenza di quanto si tenta di fare con la Direttiva del ministero dell’interno, vanno interpretate alla luce del diritto umanitario e della Convenzione di Ginevra. Non sono opinioni, è il diritto internazionale che nei suoi principi inderogabili relativi alla vita, alla libertà ed all’integrità fisica delle persone, ha una valenza diretta nel nostro paese in forza dell’art. 117 della Costituzione. La logica della maggioranza elettorale non si può affermare contro il diritto al soccorso ed il rispetto del principio di legalità.


ASSOCIAZIONE DIRITTI E FRONTIERE - ADIF

 

https://www.a-dif.org/2019/03/19/una-direttiva-ministeriale-contro-il-diritto/