dalla manifestazione Rete26Febbraio - Fausta Feruzza -
Steccato di Cutro, piccolo e isolato insediamento sulla costa ionica. Ritorniamo a casa dopo aver partecipato al corteo di alcune migliaia di persone giunte da tutta Italia dopo il naufragio del 26 febbraio, il cui conteggio dei morti sembra non aver fine. Innanzitutto dolore per le testimonianze ascoltate e per la visione diretta del mare in cui si sono perse tante vite e dei frammenti di quelle vite sparsi sulla spiaggia. Enorme rabbia insieme, perché non di evento accidentale si è trattato – neanche questa volta – ma di ‘strage di Stato’, come recitavano gli striscioni e i cartelli, senza esagerare.
È sotto gli occhi di tutti/e, infatti, la catena di colpevoli omissioni avviata dal momento del primo avvistamento da parte dell’aereo di Frontex della barca stracolma di persone (la ‘rilevante risposta termica’) fino alla fallimentare ‘operazione di polizia’ della Guardia di Finanza, al mancato intervento della Guardia Costiera, trattenuta dalle nuove direttive del Ministero dell’Interno. A seguire, il disperato soccorso dei pescatori, la ricomposizione dei corpi – tantə tantə bambini e bambine – l’accoglienza indecorosa deə sopravvissutə, lo smarrimento delle autorità locali, la premura affettuosa della gente comune.
Il vergognoso comportamento e le incredibili dichiarazioni delle ‘autorità superiori’. Gratitudine, anche: la gran mole di articoli e servizi televisivi non dà conto dell’enorme lavoro svolto dalle attiviste e dalle associazioni, accorse immediatamente, nel supporto alle persone, nell’assistenza per le procedure burocratiche (l’esperienza di anni di Lampedusa e di altre stragi alle spalle…), nella denuncia delle storture istituzionali a tutti i livelli. La donna afghana alla ricerca di una figlia, il ragazzo siriano che ha perso un fratellino, i moduli da far firmare per il rimpatrio delle salme che invece poi vogliono portare chissà dove (Bologna, dov’è?). Perché l’alloggio dei familiari vivi è così lontano dall’immenso salone dove ‘riposano’ (?) i morti e con loro non si può stare che pochi minuti al giorno? Perché gente così provata dorme per terra, senza scarpe, senza igiene, senza uno spazio per sé?
Solo quando la denuncia riesce a raggiungere i media si trova una soluzione di alloggio migliore. E solo bloccando le strade – le madri sedute sull’asfalto – si ferma lo sgombero già predisposto dei corpi e viene promesso il rispetto della volontà dei vivi. E i riconoscimenti fatti con la foto di un viso sfregiato posta davanti allo schermo di un pc che familiari sconvolti ricevono da migliaia di chilometri (Iraq, Afghanistan…) invece della videochiamata del parente finalmente approdato in Europa. I cugini giunti dalla Germania a vegliare una bara invece di accogliere in casa parenti attesi da anni (i ricongiungimenti burocraticamente negati…). E quando dopo giorni il mare riconsegna i corpi a riva – continua a farlo, giorno dopo giorno – il solo modo per identificarli rimane il DNA. Perché ancora la procura non ne dispone il prelievo ai familiari che devono ripartire al più presto per riprendere una vita che normale forse non è mai stata né ora lo sarà più?
Ma sabato siamo statə a Steccato di Cutro. Auto, pullman, treno. Vogliamo dimostrare che non tutta l’Italia è imbevuta di cinismo e immoralità. Per un giorno ci riusciamo. Le nostre voci, finora scambiate e diffuse sui social, ora le ascoltiamo autentiche. E si fanno sentire anche quelle, piene di dignità (e ti aspetteresti odio e meritato risentimento), dei e delle superstiti, che non capiscono come l’Europa, l’Italia, sbatta loro la porta in faccia dopo averli compianti e dopo averli lasciati in balía dei Talebani o delle bombe. E chiedono di non sospendere le ricerche dei dispersi, di non lasciar dimenticare la tragedia, di portare la loro voce oltre quella spiaggia di morte.
È quello che faremo anche noi di Palermo, in corteo sabato 18 marzo con la rete del Forum Antirazzista, superando le distinzioni tra realtà associative a volte molto distanti tra loro.
Lo abbiamo fatto anche sabato scorso con un presidio sulla spiaggia cittadina di Mondello e lo faremo ancora. Non è la pietà umana che ci muove (non solo quella). È il bisogno incontenibile di affermare il diritto di tutti gli esseri umani a muoversi superando le linee artificiali chiamate confini per riequilibrare le condizioni di vita che un sistema economico-politico-militare spudoratamente iniquo impone ai diversi popoli del mondo.
Amplificheremo la loro voce e anche un governo cinico e ottuso come il nostro – al pari del consesso europeo – dovrà ascoltarla.