giovedì 3 novembre 2022

Governo Meloni: i mali possibili e il possibile ‘Che Fare’

-  Antonio Minaldi -

 contro il caro-vita 

per difendere il potere d'acquisto dei redditi delle fasce deboli

 Malgrado nel nostro paese la vittoria delle destre sia stata fortemente agevolata da una assurda legge elettorale, non va affatto sottovalutata la capacità di penetrazione che la chiusura identitaria ha, e potrebbe ancora di più avere in futuro, anche negli strati popolari più marginali e impoveriti


E’ possibile, anzi molto probabile, che col nuovo governo di destra estrema, le pratiche autoritarie, anche da parte degli apparati di polizia e magistratura, possano accentuarsi, in modi, forme e intensità che tuttavia non sono al momento facilmente prevedibili. Per i movimenti e per le forze politiche schierate dalla loro parte, occorre essere vigili e pronti alle necessarie risposte in termini di mobilitazione e di difesa della difesa democratica. 

Mi pare anche giusto che si ricordi la vecchia matrice di ascendenza fascista di molti esponenti del nuovo esecutivo. Tuttavia insistere in modo astratto e generico su questo punto, come spesso avviene, potrebbe essere alla lunga politicamente inutile. Occorre che ogni giudizio, per produrre effetti politici efficaci, sia sempre legato ai bisogni reali degli ultimi e degli struttati, rispetto ai quali disquisizioni, in sé pure importanti e più o meno corrette, sul carattere fascista o post fascista, o ancora neo fascista, dei nuovi governanti, potrebbero avere ricadute politiche alla lunga non particolarmente significative per le lotte di resistenza popolare, tanto importanti in questo difficile momento, caratterizzato dai pericoli della guerra, e con una pesante recessione sempre più vicina. Bisogna insomma entrare nel merito delle cose e mostrare gli effetti reali delle scelte, che si preannunciano “reazionarie”, da parte del nuovo esecutivo.

Sulla collocazione politica del nuovo governo si può cominciare col dire, senza possibilità d’errore, che esso si pone in perfetta continuità col precedente esecutivo e con la famigerata “agenda Draghi”, almeno su due questioni essenziali: La collocazione geopolitica del nostro paese e l’accettazione dei diktat del dominio della finanza globale, condita spesso in salsa europea.

La fedeltà cieca e supina del nostro paese all’atlantismo a guida statunitense non è e non sarà mai in discussione, almeno al perdurare degli attuali assetti politici. Le passate dichiarazioni sovraniste non contano e saranno presto dimenticate, da parte di chi sa di essere sotto osservazione e col bisogno di avere qualcosa da dimostrare. Inevitabilmente l’Italia è e resterà completamente dentro questa guerra subendone fino in fondo tutte le terribili conseguenze, che vanno anche oltre gli stessi incerti sviluppi sul campo, perché ciò che al momento è ormai acquisito in modo irreversibile e oltre ogni dubbio, è che questa guerra l’ha già persa l’Europa, costretta, dentro la morsa occidentalista, a rinunciare a tutte le opportunità di scambi commerciali con la Russia (importazione di beni energetici, agricoli e minerari ed esportazione di tecnologia). Inoltre, entro un mondo non più globalizzato ma polarizzato, il vecchio continente  dovrà anche rinunciare a tutti i benefici che derivano dagli scambi con l’economia cinese che si prospettavano in ulteriore forte crescita, pur essendo il paese del dragone già oggi, e da tempo, il primo partner commerciale della Germania. 

La vittoria della prospettiva esclusivamente atlantista rispetto ad un possibile equilibrio con una dimensione euroasiatica avrà come conseguenza una Europa fortemente ridimensionata, anche oltre le conseguenze immediate della guerra e la probabile forte recessione che si annuncia alle porte. In particolare l’Italia, che del vecchio continente è un evidente anello debole, pagherà un prezzo ancora più caro, senza che i nostri governanti di oggi, come è ampiamente prevedibile, facciano nulla per evitare la possibile catastrofe, che cercheranno anzi di giustificare con un’intensa propaganda filo occidentale che attribuirà ogni responsabilità al nemico che viene da oriente (Cina compresa), anche usando strumentalmente gli indubbi  crimini commessi dalla Russia di Putin, per legarci mani e piedi ai voleri e agli interessi statunitensi. 

Discorso molto simile si può fare per la molto probabile accondiscendenza che caratterizzerà i rapporti con l’Europa, e con quel sistema di vero e proprio controllo poliziesco per il rispetto delle regole e delle logiche neo liberiste che costituisce ormai l’anima stessa del funzionamento della UE e della sua banca centrale. Strano destino (ma non troppo) di asservimento al più forte, per una destra a presunta vocazione sovranista, che quando era lontana dalle stanze del potere non mancava di alimentare la propria propaganda con l’idea di essere loro, e solo loro, i veri paladini dei nostri “interessi nazionali. Evidentemente quando si sta seduti nei posti di comando le prospettive devono cambiare.

C’è tuttavia un aspetto, purtroppo assolutamente non secondario, prevalentemente di politica interna, per cui il nuovo esecutivo si distinguerà (in peggio) da quelli che lo  hanno preceduto, e che riguarderà la questione del rispetto dei diritti civili e umani.. E’ quasi certa una forte stretta, anche dichiarata e rivendicata, nel respingimento dei migranti, anche a costo di accentuare fortemente quella che è già da tempo una immane catastrofe umanitaria. Per quanto riguarda invece altre questioni, che vanno dal diritto d’aborto ad un insieme di diritti maturati in tempi più recenti (unioni e adozioni omosessuali, fine vita ecc.) è probabile che il nuovo esecutivo, sondando gli umori prevalenti nell’opinione pubblica, si comporti ora rivendicando posizioni estreme e attaccando in modo esplicito, altre volte agendo in modo subdolo e con ambigue giustificazioni. 

In ogni caso, è un identitarismo fortemente regressivo, reazionario e tradizionalista, spesso, ma non sempre, di matrice vetero cristiana, e con effettive venature neo fasciste, che caratterizza oggi le destre, in Italia come in genere in occidente, come propria cifra costitutiva. Al contrario l’asservimento ai dettami del capitalismo finanziario e la fede atlantista, come abbiamo visto, sono (dis)valori che le destre condividono con le finte sinistre, che si pretendono progressiste. 

Malgrado nel nostro paese la vittoria delle destre sia stata fortemente agevolata da una assurda legge elettorale, non va affatto sottovalutata la capacità di penetrazione che la chiusura identitaria ha, e potrebbe ancora di più avere in futuro, anche negli strati popolari più marginali e impoveriti. Il marcare in senso prevalentemente difensivo e di chiusura verso l’esterno e il nuovo, il proprio spazio fisico e culturale è una tipica risposta che si può produrre in tempi di crisi e con lo sgretolarsi delle antiche certezze, nella incapacità di trovare nuove strade da percorrere per superare le difficoltà presenti. Rifugiarsi in un passato mitico e inventarsi presunti nemici che ci allontanano da esso, può sembrare a volte la strada più facile da percorrere. Anche questo è in fondo un effetto della crisi della sinistra e del venir meno della fiducia verso quelle prospettive di radicale mutamento dell’esistente che la caratterizzavano. 

Credo che la sinistra radicale debba oggi accettare la sfida, senza tuttavia fare dello scontro su credenze e valori una questione di astratto disquisire di tipo intellettuale. E sempre dai bisogni concreti e dalle prospettive del loro possibile appagamento che bisogna partire, anche per cambiare il modo di pensare della gente. La guerra e l’inflazione sono le grandi questioni del momento. Mobilitarsi per la pace e creare un grande movimento che rivendichi l’immediato ripristino della scala mobile. Questo è il modo migliore di essere anti fascisti oggi. Non sarà facile. A volte si ha la sensazione di una scollatura e di una distanza tra le lotte per i diritti umani e civili con le lotte per il reddito e il salario, e in generale per la difesa delle condizioni materiali di vita.


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