lunedì 8 marzo 2021

L’OTTO MARZO. LA MOBILITAZIONE IN ZONA ROSSA

- Giada Coleandro -
 sciopero femminista 

 e transfemminista a Bologna 

Anche quest’anno il movimento NonUnaDiMeno ha lanciato lo sciopero femminista e trans-femminista. Ancora una volta le attiviste della città di Bologna, dopo aver aderito alla chiamata internazionale, si sono dovute preparare ad affrontare questa giornata misurandosi con le limitazioni dovute alla zona rossa

Dopo un anno dalla comunicazione del lockdown nazionale per contrastare la diffusione del Covid19 e allentare la pressione sulle precarie infrastrutture sanitarie, la possibilità di svolgere lo sciopero nazionale in un contesto fortemente restrittivo sembrava scongiurata. Eppure, Bologna e molte altre città del territorio nazionale rientrano nel novero della fasce arancione scuro e rosso secondo cui la mobilità è consentita unicamente per lavoro, salute e motivi di stretta necessità. Ancora una volta lo sciopero dalla produzione e dalla riproduzione dovrà confrontarsi non solo con le difficoltà legate all’organizzazione e alla visibilità dello sciopero, ma anche con le esigenze di donne e lavoratrici che si ritroveranno nuovamente schiacciate dalle complicazioni dovute alla chiusura delle scuole e degli spazi di socializzazione.

Tuttavia, il riproporsi di queste circostanze consente di puntare maggiormente l’attenzione sulle conseguenze che l’emergenza sanitaria e le misure adottata per contenerla hanno avuto sulle donne. I dati Istat sull’anno pandemico hanno evidenziato il drammatico crollo dell’occupazione femminile: nel solo mese di dicembre, ad esempio, si è verificato un calo complessivo di 101 mila occupati, di cui 99 mila sono donne. Ma se da una parte la pandemia ha fortemente colpito le attività produttive svolte dalle donne, i dati sugli episodi di violenza domestica e dei femminicidi denunciano come le restrizioni ai movimenti e la permanenza nel proprio domicilio producano effetti diseguali: molte donne sono state costrette a continuare la convivenza in contesti di vulnerabilità segnati dalla violenza di partner o familiari.

Allo stesso tempo lo sciopero e le rivendicazioni del movimento rappresentano l’occasione per condannare i tagli alle politiche sociali, alla sanità e all’istruzione che hanno prodotto un sistema di cura collettiva debole e precario, che si regge sulle stampelle dell’assistenza e della cura garantita in ambito domestico, alimentando una visione della cura come un prodotto di consumo individuale. Nel Manifesto della cura, uscito recentemente per Edizioni Alegre, le autrici e gli autori sottolineano al contrario la necessità di intendere la cura come “la nostra abilità, individuale e collettiva, di porre le condizioni politiche, sociali, materiali ed emotive affinché la maggior parte delle persone e creature viventi del pianeta possa prosperare insieme al pianeta stesso”[1]. È quindi chiaro che, sebbene lo sciopero femminista e le mobilitazioni di NonUnaDiMeno abbiano sempre incentrato le proprie istanze sulla divisione sessuale del lavoro e sull’invisibilità del lavoro riproduttivo delle donne, la situazione pandemica stia rimarcando come la contraddizione tra produzione e riproduzione, non solo ricada quasi interamente sulle donne, ma interferisca con la possibilità di vivere tutte e tutti bene in questo pianeta con altre specie non umane.

Nel manifesto lanciato per questo sciopero globale le attiviste hanno chiaramente indicato i temi portanti delle rivendicazioni: lo sciopero rappresenta la strada attraverso cui connettere le lotte le ribellioni che comuni a tutte le lotte femministe, trans-femministe e anti-patriarcali; smascherare la gestione neoliberale della pandemia e delle misure economiche adottate; denunciare la violenza sessista e di genere; costruire la lotta antimperialista e condannare il razzismo istituzionale.


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