mercoledì 15 luglio 2020

UN REDDITO DI BASE, A FONDO PERDUTO



                                                              - Marco Bascetta -  Arroganza, ignoranza e stupidità  dell'intero ceto politico 
    Il sistema dell'impresa pubblico\privato si accinge a spartirsi le risorse del dopo Covid
le forze sociali travolte dalla crisi devono porsi come un terzo incomodo: le politiche fiscali non possono essere lasciate a una partita truccata tra governo e confindustria    

[...] Il mercato, cui l’ideologia dominante riserva da decenni l’ultima parola, si è in larga misura ritirato in una palude da cui emergono pochi isolotti di accresciuta ricchezza. E se restaurarne il predominio rimane l’obiettivo principale dei suoi sacerdoti, le imprese puntano per l’intanto a occupare interamente lo spazio «fuori mercato» dell’intervento pubblico. Imponendosi come unico soggetto capace di trasformare queste risorse in una «ripresa» che coincida, va da sé, con lo sblocco del processo di accumulazione.
Fatto sta che in un contesto di diseguaglianza estrema il mercato (che comporta una diffusa capacità di spesa) non può essere riattivato da quegli stessi soggetti (economici e politici) che questa diseguaglianza hanno prodotto e continueranno a produrre. A maggior ragione in presenza di un crollo catastrofico i cui tempi di recupero si annunciano non brevi, il reddito si impone come una «variabile indipendente» dai tempi e dall’entità dei profitti. Una priorità assoluta, insomma, come lo è stata la salute dei cittadini nella fase più acuta della pandemia. La riforma fiscale è con tutta evidenza il principale teatro di questo conflitto.
Vi si fronteggiano principalmente due ideologie: quella dell’imprenditore privato e quella dell’imprenditore pubblico. Entrambe con la pretesa di mirare al benessere generale della comunità per il tramite del lavoro. La prima promettendo uno «sgocciolamento verso il basso» della ricchezza prodotta nel processo di accumulazione, la seconda imponendosi come timoniere politico dello sviluppo, delle sue forme, dei doveri e degli obblighi che vi sarebbero connessi. Gli uni rimpiangendo i tempi d’oro delle reaganomics, gli altri la Cassa del Mezzogiorno e la programmazione.
Quanto questi modelli vadano a cozzare con la realtà contemporanea, con le sue condizioni oggettive e aspettative soggettive non è difficile percepire. Sul fallimento del neoliberalismo come «nuova ragione del mondo» (che coincide in realtà con il suo pieno successo) è quasi superfluo ritornare, tante sono ormai le analisi e i riscontri fattuali. Ma anche le dottrine dirigiste, che pregustano una riscossa, dovrebbero fare i conti con la realtà delle classi politiche che il presente ci offre, con i loro processi di formazione, con il  deperimento delle pratiche democratiche, con il fatto che il rapporto squilibrato e autoritario tra governanti e governati non è esclusivamente riconducibile all’invadenza dei poteri economici.
 articolo già pubblicato su "il Manifesto"del  integralmente su Bin-Italia