-Rosalba Carriera*-
prima l' Antonello adesso il Caravaggio
Le polemiche e i dibattiti sulle scelte relative al patrimonio culturale di Siracusa che vedono, di volta in volta, scendere in piazza intellettuali, associazioni e amministratori, mostrano il profondo senso civico dei cittadini siracusani che ci sentiamo di plaudire perché in questo modo Siracusa si conferma ancora polis greca con la sua agorà centro politico della comunità
Ci risiamo! Di nuovo i riflettori puntati sulla pittura profonda, immensa, abissale di Caravaggio che non ci stancheremo mai di guardare, contemplare ed esplorare, checché ne dica Sgarbi quando vorrebbe convincerci che, a causa dell’emergenza coronavirus, non arriveranno turisti in Sicilia. Dunque i siracusani potranno fare a meno per qualche tempo del Seppellimento di Santa Lucia, considerato anche che i siciliani hanno già visto l’opera, e tenuto conto che la preziosa tela tornerà in ottima forma, avendo goduto di un bonus da 350.000 euro per un completo restyling offerto dal Mart di Rovereto.
Tutte le volte che si
torna a parlare di Caravaggio in Sicilia il pensiero corre veloce a quell’opera
“siciliana” del grande pittore lombardo che dal 1969 non risponde all’appello
perché trafugata dall’Oratorio di San Lorenzo di Palermo. Una ferita inflitta
alla città, alla Sicilia e all’intera umanità che ha perso, forse per sempre,
un pezzo di storia e di arte fondamentale anche per le future generazioni. Una
lacuna per la cultura che si ritiene di aver in qualche modo colmato con l’alta
tecnologia, mediante la quale si è ottenuta la riproduzione dell’opera che oggi
campeggia sull’altare dell’Oratorio di San Lorenzo. Ma il Caravaggio
rubato, sparito da cinquant’anni, è un atto d’accusa in primo luogo alle
autorità preposte alla tutela del patrimonio artistico siciliano, che è anche
italiano e nella fattispecie mondiale.
Tra i primi a
intervenire in quest’ottica sull’accaduto, Leonardo Sciascia in Nero su
Nero: «A Palermo … il prefetto non era mai stato informato che nella
nostra città fosse custodita (cioè incustodita) una tela di Caravaggio.
L’informazione gli è venuta da un rapporto della Questura: quando la tela
nell’Oratorio della Compagnia di San Francesco, noto (cioè ignoto) come
Oratorio di San Lorenzo, non c’era più, furata non si sa quante ore o
giorni prima che le due donne addette a (non) custodirla se ne accorgessero».
Certo, osserva Sciascia, risulta quanto meno strano che «in cinque anni – da
quando si era insediato – il prefetto non avesse mai incontrato una sola
persona che gli parlasse non diciamo del quadro di Caravaggio, ma degli oratori
stuccati dal Serpotta». Infatti, l’opera dello sculture-stuccatore
palermitano, rileva Sciascia, «non si può conoscere che qui a Palermo … E
in cinque anni, nessuno che si sia lasciato sfuggire col prefetto un tal
segreto». Insomma, la Natività del grande pittore
risiedeva a Palermo nell’indifferenza delle istituzioni, degli intellettuali e
dei cittadini.
Tuttavia ci sentiamo
di assolvere il prefetto “che ignorava”, perché non aveva una responsabilità
diretta nella tutela della Natività né dell’Oratorio, mentre
la Prefettura ha competenze per l’adiacente Basilica di San Francesco d’Assisi,
monumento storico-artistico che fa parte degli FEC (Fondo Edifici di Culto),
ente del Ministero dell’Interno di cui il prefetto è competente governativo sul
territorio. L’acronimo FEC è risalito agli albori della cronaca artistica di
questi giorni alla luce delle polemiche relative al Seppellimento di
Santa Lucia, perché quest’opera, per quanto si trovi a Siracusa e sia stata
realizzata da Caravaggio nel 1608 per la chiesa di Santa Lucia al Sepolcro
su commissione del senato cittadino, oggi fa parte giuridicamente del Fondo.
A dare risonanza al
FEC è quel personaggio istrionico di Sgarbi che, per sottrarre il
Caravaggio di Siracusa alla città aretusea (che si oppone al prestito
dell’opera al Mart), ne proclama la proprietà statale. Ma Vittorio
Sgarbi ha una chiara visione dei beni culturali che va “oltre”, non dissimile
dal pensiero dominante economicistico basato su una gestione imprenditoriale,
secondo i dettami del libero mercato, un liberismo che non disdegna
però di ricorrere al sostegno finanziario pubblico. Sostanzialmente si è
passati dall’indifferenza e sottovalutazione del valore d’uso cognitivo e
formativo del patrimonio artistico (come implicitamente faceva osservare
Sciascia) a una concezione valoriale economica di scambio dei beni culturali.
In una delle sue
ultime performance televisiva su un network locale, Sgarbi dichiara
di aver trovato i soldi per il restauro; li tira fuori il Mart di
Rovereto. Sì perché l’attuale Presidente del Museo di Rovereto, lo stesso
Vittorio Sgarbi, confessa che da tempo aveva a cuore le problematiche relative
al degrado del Seppellimento di Siracusa, ma i soldi pubblici
li ha trovati a Rovereto e non in Sicilia quando era stato Assessore ai beni
culturali nella Giunta Musumeci. Probabilmente in quei mesi era troppo
impegnato a progettare altre iniziative culturali, che poi sono sempre
spostamenti di opere. La star era in quel momento Antonello da Messina, ma la
piazza che protestava sempre Siracusa che, sgomenta e inferocita, assisteva al
“ratto” dell’Annunciazione di Palazzo Bellomo per le mostre sul
celebre pittore siciliano che si tennero prima a Palermo e poi a Milano, anche
se l’Assessorato ai Beni Culturali e dell’Identità Siciliana era passato, nel
frattempo, nelle mani dell’archeologo Sebastiano Tusa.
Le polemiche e i
dibattiti sulle scelte relative al patrimonio culturale di Siracusa – e non
importa se sia di proprietà dello Stato, della Regione o del Comune – che
vedono, di volta in volta, scendere in piazza intellettuali, associazioni e
amministratori, mostrano il profondo senso civico dei cittadini siracusani che
ci sentiamo di plaudire perché in questo modo Siracusa si conferma ancora polis greca
con la sua agorà centro politico della comunità. Tuttavia, le argomentazioni
apparse sulla stampa, rilasciate dalle associazioni e dall’amministrazione
della città, relative al prestito del Seppellimento di Santa Lucia mostrano
presupposti analoghi alle motivazioni messe in campo da chi è convinto che la
politica dei beni culturali si riduca a fatti numerici: visitatori, o meglio
turisti, biglietti, incassi.
E così, mentre in
prosa volgare Sgarbi spiega che “questa cosa”, ovvero il pacchetto
mostra-restauro al Mart l’ha “inventata” lui, e quindi secondo il
programma “L’opera resterà a Rovereto per il tempo della stagione morta (…)
quando a Siracusa non mette il becco nessuno”, l’amministrazione comunale di
Siracusa, in linguaggio aulico, risponde: “l’identità culturale della Sicilia
si difende non con i proclami ma attraendo viaggiatori”, che nella fattispecie
sono i turisti. Parrebbe che anche nei giorni della fase due dell’emergenza
covid-19, la burocrazia non sia in grado di ripensare ai beni culturali
oltre il modello della “turistificazione”, quale sistema di valorizzazione
economica che in Sicilia assume i colori di quella ”identità siciliana” di cui
tutti parlano, in prima linea i “mercanti di ideologia” sia di destra sia di
sinistra, ma che in verità è l’ultimo anacronistico proclama della secolare
tendenza dell’isola al separatismo, che a dirla con le parole di Sciascia
in La corda pazza, ha ottenuto da sempre privilegi “di cui il
popolo non ha mai goduto ma è sempre pronto a sollevarsi per difenderli”. La
menzogna dell’identità siciliana, oggi ottiene privilegi per la classe politica
isolana, che gode già della concessione da parte dello Stato dell’autonomia
speciale.
Sconfessa la declamata
identità la vita e persino le tragiche circostanze della morte di Sebastiano
Tusa, che andrebbe ricordato, non solo per l’ultimo suo incarico
tecnico-politico, ma per quel lampo di genio, quella visionarietà che
lo portò a pensare e costruire la Soprintendenza del
Mare. Un’aspirazione a uscire dai confini ristretti dell’isola, come un
novello Ulisse, per approdare in sconosciuti lidi, muovendosi dentro quel
liquido meticcio di cui è pregna la civiltà attraversata da quel mare
multietnico e multicolore che è il Mediterraneo.
Le medesime acque che,
all’alba del XVII secolo, traversava Michelangelo Merisi fuggiasco a Malta
e poi di ritorno verso la Penisola riattraversava compiendo quella importante
tappa in Sicilia per cui oggi abbiamo i due Caravaggio di Messina (l’Adorazione
dei pastori e la Resurrezione di Lazzaro) e il Seppellimento
di Santa Lucia di Siracusa, opere che ci mettono dinanzi al fatto
concreto che non si può parlare di identità al cospetto della grandezza
dell’arte di Caravaggio. E’ vero però che la sua lezione in Sicilia lasciò
un’impronta inconfondibile nella pittura dell’isola, che a Siracusa è
testimoniata dall’opera dell’amico e allievo Mario Minniti e nelle altre città
della Sicilia trova evidenti eco in numerosi epigoni, ma gli effetti della sua
arte varcheranno le Alpi.
Pittura struggente
d’umanità quella di Caravaggio, arte trasgressiva e ribelle, pensiero
allucinato che ferma sulla tela l’immagine di Lucia, una giovane vittima del
potere costituito, mentre viene seppellita in una latomia-carcere di Siracusa,
a pochi passi dal luogo deputato a raccontare la tragedia: il teatro. Un
palinsesto di rimandi, il Caravaggio di Siracusa, fragilissimo
che si tiene assieme solo nella città aretusea e che l’umanità non può
rischiare di perdere per il capriccio del Duveen** dei nostri giorni.
* scritto con la collaborazione di Toni Casano
** S. N. Behrman, Duveen. Il re degli
antiquari, Sellerio Editore, 2005 " l primo mercante d’arte nel
senso attuale, aveva capito due cose fondamentali: che negli Usa stavano i
quattrini e in Europa le opere d’arte"
fonte:Pressenza.com
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