sabato 15 febbraio 2020

VON BANDITEN ERSCHOSSEN

-Sergio Bologna-

 su Mattarella e le foibe 

trieste

 peg­gio­ri delle false ri­co­stru­zio­ni sono le am­ne­sie 

tutto que­sto la­vo­ro in­gra­to e dif­fi­ci­le fu opera di sto­ri­ci che si ri­co­no­sce­va­no pie­na­men­te nei va­lo­ri della Re­si­sten­za posti alla base della no­stra Co­sti­tu­zio­ne, come Ro­ber­to Spaz­za­li, Raoul Pupo e molti altri. Sono loro che hanno di­mo­stra­to ri­spet­to per gli in­foi­ba­ti, che hanno con­te­stua­liz­za­to que­gli av­ve­ni­men­ti, men­tre alla canea re­van­sci­sta e neo­fa­sci­sta il de­sti­no di quei morti non in­te­res­sa­va per nulla, era solo pre­te­sto, stru­men­to, per ag­gre­di­re gli av­ver­sa­ri po­li­ti­ci di turno e oggi per fare pura e sem­pli­ce apo­lo­gia del fa­sci­smo

Come cit­ta­di­no, come sto­ri­co del na­zi­smo e so­prat­tut­to come trie­sti­no sono ri­ma­sto scon­cer­ta­to, ama­reg­gia­to e di­sgu­sta­to dalle di­chia­ra­zio­ni del Pre­si­den­te Mat­ta­rel­la sulla que­stio­ne delle foibe.
Avevo otto anni quan­do i par­ti­gia­ni di Tito, il 1 mag­gio del 1945, pro­prio sotto casa mia fer­ma­ro­no la loro avan­za­ta per non espor­si al tiro della guar­ni­gio­ne te­de­sca, as­ser­ra­glia­ta nel Ca­stel­lo di San Giu­sto. Erano scesi dal­l’al­ti­pia­no del Carso in due co­lon­ne, una si era di­ret­ta al­l’e­di­fi­cio del Tri­bu­na­le dove i te­de­schi ave­va­no in­stal­la­to il Co­man­do e l’al­tra al Ca­stel­lo di San Giu­sto, dove il ve­sco­vo San­tin svol­ge­va il ruolo di me­dia­to­re ti­ran­do le trat­ta­ti­ve per le lun­ghe in modo da dare il tempo ai neo­ze­lan­de­si, avan­guar­dia del­l’e­ser­ci­to al­lea­to, di ar­ri­va­re ed evi­ta­re in tal modo che la resa ve­nis­se con­se­gna­ta nelle sole mani del­l’e­ser­ci­to di li­be­ra­zio­ne yu­go­sla­vo. Così la guar­ni­gio­ne te­de­sca si ar­re­se il 2 mag­gio, pre­sen­ti anche gli anglo-ame­ri­ca­ni, giun­ti a marce for­za­te dalla li­to­ra­nea. Ma sul Carso, a vista d’oc­chio dalla città, si com­bat­te­va an­co­ra. La co­sid­det­ta “bat­ta­glia di Opi­ci­na” è co­sta­ta molti morti, in gran mag­gio­ran­za te­de­schi, e si sa­reb­be con­clu­sa solo il 3 mag­gio.
Se­con­do certe ri­co­stru­zio­ni (Leone Ve­ro­ne­se, 1945. La bat­ta­glia di Opi­ci­na, Lu­glio Edi­to­re, 2015) i primi a es­se­re get­ta­ti nelle ca­vi­tà car­si­che fu­ro­no sol­da­ti del­l’e­ser­ci­to te­de­sco, fu­ci­la­ti dopo la resa. La ver­sio­ne se­con­do cui gli in­foi­ba­ti sa­reb­be­ro stati in mag­gio­ran­za cit­ta­di­ni iner­mi che ave­va­no il solo torto di es­se­re ita­lia­ni è falsa.
La gran­de mag­gio­ran­za di quel­li che poi fu­ro­no get­ta­ti nelle foibe erano mem­bri del­l’ap­pa­ra­to re­pres­si­vo na­zi­fa­sci­sta, in mezzo ci sa­ran­no state anche per­so­ne che non ave­va­no com­mes­so par­ti­co­la­ri cru­del­tà ma c’e­ra­no anche quel­li che ave­va­no tor­tu­ra­to o scor­ta­to i treni che por­ta­va­no ebrei e com­bat­ten­ti an­ti­fa­sci­sti nei campi di ster­mi­nio. Così come non regge la ver­sio­ne che vor­reb­be la città di Trie­ste sot­to­po­sta a una dit­ta­tu­ra san­gui­na­ria du­ran­te i 40 gior­ni del­l’oc­cu­pa­zio­ne yu­go­sla­va. Se non altro per la pre­sen­za delle trup­pe anglo-ame­ri­ca­ne.
Peg­gio­ri delle false ri­co­stru­zio­ni sono le am­ne­sie. In­fat­ti si di­men­ti­ca (o si igno­ra) che l’ap­pa­ra­to re­pres­si­vo na­zi­fa­sci­sta a Trie­ste non era di or­di­na­ria am­mi­ni­stra­zio­ne, aveva un suo ca­rat­te­re di ec­ce­zio­na­li­tà per­ché ne fa­ce­va­no parte per­so­nag­gi che hanno avuto un ruolo cen­tra­le nella po­li­ti­ca di ster­mi­nio di Hi­tler. Chri­stian Wirth era uno di que­sti. Si legga il cur­ri­cu­lum ter­ri­fi­can­te di que­sto in­di­vi­duo su Wi­ki­pe­dia: re­spon­sa­bi­le del pro­gram­ma di eu­ta­na­sia, pre­le­va­va le vit­ti­me dalle pri­gio­ni, dagli ospe­da­li psi­chia­tri­ci, tra gli zin­ga­ri. Co­man­dan­te del lager di Bel­zec, rior­ga­niz­za­to­re di quel­lo di Tre­blin­ka, di So­bi­bor, fu il primo a usare il mo­nos­si­do di car­bo­nio per ga­sa­re i de­por­ta­ti. Ar­ri­va a Trie­ste nel 1943. Un anno dopo i par­ti­gia­ni lo in­di­vi­dua­no e lo uc­ci­do­no (non è vero, come scri­ve Wi­ki­pe­dia, che fu uc­ci­so in com­bat­ti­men­to pres­so Fiume, il suo cer­ti­fi­ca­to di morte è ap­par­so in rete non più tardi del 2017, dice: von Ban­di­ten er­schos­sen, morto in un ag­gua­to or­ga­niz­za­to dai par­ti­gia­ni men­tre pas­sa­va su una mac­chi­na sco­per­ta, nei pres­si di Er­pel­le (Hr­pe­l­je) a pochi chi­lo­me­tri da Trie­ste). Ma ce n’e­ra­no altri di per­so­nag­gi dalla pasta cri­mi­na­le ana­lo­ga a Wirth, che si erano fatti i gal­lo­ni nei peg­gio­ri Lager del Reich e ve­ni­va­no a Trie­ste dove gente im­por­tan­te li ac­co­glie­va a brac­cia aper­te e dove tro­va­va­no anche il modo di non per­de­re certe abi­tu­di­ni, visto che a por­ta­ta di mano ave­va­no la Ri­sie­ra di San Sabba, un forno cre­ma­to­rio che la mia città ha avuto la ver­go­gna di ospi­ta­re. Pro­prio a Opi­ci­na la salma di Wirth ri­ce­vet­te gli onori mi­li­ta­ri.
Trie­ste e zone cir­co­stan­ti, as­sur­te a pro­vin­cia del Reich, erano di­ven­ta­te un ri­cet­ta­co­lo di cri­mi­na­li di guer­ra, l’an­go­lo di un con­ti­nen­te dove la ri­sac­ca della sto­ria aveva de­po­sto i suoi ri­fiu­ti più im­mon­di. I par­ti­gia­ni di Tito hanno li­be­ra­to l’u­ma­ni­tà da al­cu­ni di que­sti in­di­vi­dui, hanno spen­to quel forno cre­ma­to­rio. Do­vrem­mo es­se­re loro grati per que­sto, pen­san­do quale tri­bu­to di san­gue è stato da essi ver­sa­to per com­pie­re quel­la mis­sio­ne. Ora però ven­go­no ri­cor­da­ti come un’or­da di bar­ba­ri as­se­ta­ti di san­gue, non di san­gue ne­mi­co, no, di san­gue di po­ve­ra gente iner­me che non aveva al­za­to un dito con­tro di loro.
Ciò che ac­cad­de in quel­le tra­gi­che gior­na­te di apri­le/mag­gio 1945 im­pe­dì alla me­mo­ria sto­ri­ca di met­ter­si su­bi­to al la­vo­ro. Quel­lo che sa­reb­be stato l’I­sti­tu­to Re­gio­na­le per la Sto­ria del Mo­vi­men­to di Li­be­ra­zio­ne nel Friu­li Ve­ne­zia Giu­lia si co­sti­tuì senza i co­mu­ni­sti. Enzo Col­lot­ti diede un con­tri­bu­to fon­da­men­ta­le al­l’im­po­sta­zio­ne della ri­cer­ca e l’I­sti­tu­to di­ven­ne uno dei luo­ghi dove co­min­ciai a ca­pi­re in che razza d’in­fer­no ero cre­sciu­to. Il primo pe­rio­do d’at­ti­vi­tà fu de­di­ca­to a “met­te­re in si­cu­rez­za”, come si dice in ter­mi­ne azien­da­le, la sto­ria dei mo­vi­men­ti di li­be­ra­zio­ne nella re­gio­ne, sto­ria tor­men­ta­ta e per­ciò fonte di dram­ma­ti­che di­vi­sio­ni (un esem­pio per tutti l’ec­ci­dio di Por­zus, ri­pre­so anche nel­l’am­pia pub­bli­ca­zio­ne, Atlan­te sto­ri­co della lotta di li­be­ra­zio­ne nel Friu­li Ve­ne­zia Giu­lia. Una re­si­sten­za di con­fi­ne 1943-1945, 2005). Tra tutti gli Isti­tu­ti della Re­si­sten­za ita­lia­ni quel­lo di Trie­ste fu l’u­ni­co dove la pre­sen­za co­mu­ni­sta o fu as­sen­te o svol­se un ruolo de­ci­sa­men­te se­con­da­rio. Del resto il co­mu­ni­smo è fi­ni­to ormai da 30 anni e i suoi se­gua­ci di al­lo­ra sono in ge­ne­re i più ac­ca­ni­ti nel­l’in­fie­ri­re sul suo ca­da­ve­re, ma a leg­ge­re certe va­neg­gian­ti usci­te di quo­ti­dia­ni come “Il Gior­na­le” o “Li­be­ro Quo­ti­dia­no” nel Gior­no della Me­mo­ria sem­bra che orde di “tri­na­ri­ciu­ti” rie­sca­no an­co­ra a det­ta­re legge in Ita­lia.
Negli Anni ’90 la dis­so­lu­zio­ne del­l’ex Yu­go­sla­via ha in­ve­sti­to in pieno il senso d’i­den­ti­tà na­zio­na­le di croa­ti, slo­ve­ni, serbi, ma­ce­do­ni; i na­zio­na­li­smi hanno fatto a pezzi l’e­spe­rien­za so­cia­li­sta, la guer­ra di li­be­ra­zio­ne non è stata più l’e­po­pea fon­da­ti­va dello Stato fe­de­ra­le, l’im­ma­gi­ne di Tito è stata strap­pa­ta dal pie­de­stal­lo e se si vo­le­va tro­va­re gente che get­ta­va fango sulla sua fi­gu­ra e sul suo ruolo la si tro­va­va so­prat­tut­to tra i suoi com­pa­trio­ti. L’or­ro­re di quel­la guer­ra degli anni No­van­ta, che così bene Paolo Rumiz ha de­co­di­fi­ca­to nei suoi mec­ca­ni­smi oscu­ri, ha can­cel­la­to ogni trac­cia di or­go­glio per l’e­roi­ca ri­bel­lio­ne alla dit­ta­tu­ra na­zi­fa­sci­sta. Le fal­si­tà, le de­for­ma­zio­ni, le mi­sti­fi­ca­zio­ni che oggi di­la­ga­no avreb­be­ro po­tu­to di­ven­ta­re com­mu­nis opi­nio in quel con­te­sto, in­ve­ce gli sto­ri­ci trie­sti­ni le­ga­ti al­l’I­sti­tu­to col­se­ro l’oc­ca­sio­ne del­l’a­per­tu­ra di certi ar­chi­vi per in­ten­si­fi­ca­re la ri­cer­ca della ve­ri­tà.
Per­ché que­sto va detto con forza: le ispe­zio­ni nelle ca­vi­tà car­si­che, le esu­ma­zio­ni, le ri­cer­che per dare un nome ai morti, il re­cu­pe­ro e l’at­ten­to esame dei re­gi­stri, di qua­lun­que do­cu­men­to in grado di fare luce sulle cir­co­stan­ze, sulle vit­ti­me e sui car­ne­fi­ci, tutto que­sto la­vo­ro in­gra­to e dif­fi­ci­le fu opera di sto­ri­ci che si ri­co­no­sce­va­no pie­na­men­te nei va­lo­ri della Re­si­sten­za posti alla base della no­stra Co­sti­tu­zio­ne, come Ro­ber­to Spaz­za­li, Raoul Pupo e molti altri. Sono loro che hanno di­mo­stra­to ri­spet­to per gli in­foi­ba­ti, che hanno con­te­stua­liz­za­to que­gli av­ve­ni­men­ti, men­tre alla canea re­van­sci­sta e neo­fa­sci­sta il de­sti­no di quei morti non in­te­res­sa­va per nulla, era solo pre­te­sto, stru­men­to, per ag­gre­di­re gli av­ver­sa­ri po­li­ti­ci di turno e oggi per fare pura e sem­pli­ce apo­lo­gia del fa­sci­smo. Come mai nel Gior­no della Me­mo­ria un Pre­si­den­te della Re­pub­bli­ca in­ve­ce di ri­vol­ger­si ai primi per im­po­sta­re un di­scor­so con un mi­ni­mo di ri­go­re sto­ri­co si ri­vol­ge ai se­con­di?