sabato 4 gennaio 2020

DOPO IL ROJAVA ORA LA LIBIA

-rassegna stampa-

Prima le persone. 

La “difesa dei confini” porta alla 

internazionalizzazione del conflitto libico 

-Fulvio Vassallo Paleologo-

«Chi voleva difendere i confini italiani ed europei e garantire la sicurezza attraverso il respingimento indiscriminato di tutti i migranti in fuga dalla Libia e la politica dell’abbandono in mare,
 attuata con l’attacco alle ONG che operavano soccorsi in acque internazionali, si ritrova all’inizio del 2020 con il Mediterraneo in guerra. Da quando nel 2016 ha firmato l’accordo con gli stati dell’Unione Europea per bloccare i profughi di guerra in Turchia, Erdogan, che sta inviando in Tripolitania milizie turche e siriane, può ricattare come vuole le deboli democrazie europee ad un passo dal tracollo politico e morale» 



Gli ultimi accordi tra Erdogan e Serraj, sull’alleanza militare, dopo quelli sulle zone di esclusivo interesse economico (ZEE) nel Mediterraneo orientale, sono la prova finale del fallimento delle politiche europee basate sulla esternalizzazione delle frontiere e sull’abbattimento del diritto di chiedere asilo in Europa. Sullo sfondo il disimpegno americano e la stretta intesa tra la Russia di Putin, Al Sisi in Egitto ed il generale Haftar che controlla ormai la maggior parte del territorio libico. Schieramenti che spiazzano continuamente l’ondivaga politica estera italiana, attenta soltanto alla propaganda sul blocco degli sbarchi, anche a costo di marcare la continuità con il governo Lega-Ciquestelle, al punto da trascurare gli interessi primari del paese, la pace nel Mediterraneo, ed il rispetto dei diritti umani.

Gli “altolà” all’escalation militare del conflitto da parte dell’Italia e dell’Unione europea valgono meno di zero. Chi pensava di avere vinto la guerra contro le ONG ed i migranti in fuga dalla Libia adesso si trovera’ in guerra. Come scriviamo da anni e come insegna l’esperienza del secolo scorso, l’unico sbocco del sovranismo e del nazionalismo è la guerra. Presto se ne accorgerà anche chi vota Salvini e la Meloni ed è convinto che il sovranismo proposto dalle destre costituisca l’unica garanzia per “fermare l’invasione” e “difendere i confini”.

Il nodo centrale del conflitto libico, la ragione più profonda della sua internazionalizzazione, consiste nel superamento del multilateralismo, con la conseguente crisi delle Nazioni Unite, costrette a schierarsi da una parte sola dei contendenti, dopo vari tentativi di risoluzione da parte del Consiglio di sicurezza, bloccato dai veti incrociati, e dal prevalere delle ragioni economiche dei grandi gruppi internazionali sul rispetto dei diritti umani e della vita delle persone.

Sui report giornalistici che arrivano sempre più spesso dalla Libia ( e dagli Stati Uniti) molte circostanze rimangono ancora da verificare e non è possibile dare alcun giudizio preventivo, ma nessuno dovrebbe trascurare il quadro più realistico di quello che succede oggi alle persone migranti intrappolate in Libia alla vigilia dello scontro finale in Tripolitania. E nessuno racconta degli uomini, delle donne e dei minori scambiati come merce nel sud della Libia, nel Fezzan ormai sotto il controllo del generale Haftar. In tutto il Sahel, a sud della Libia, si espande intanto la minaccia delle formazioni islamiste e dei tagliagole variamente affiliati all’ISIS. Mentre i commentatori nostrani ripropongono progetti e propositi destinati a fallire ancora una volta, basati sull’intervento di una non meglio precisata “comunità nazionale”, adesso che le Nazioni Unite sono schierate sul campo dalla parte di Serraj, mancano del tutto proposte mirate alla salvaguardia delle persone e del diritto internazionale, le uniche che possono aprire ancora qualche spiraglio di pace.