-rassegna stampa-
Prima le persone.
La “difesa dei confini” porta alla
internazionalizzazione del conflitto libico
-Fulvio Vassallo Paleologo-
«Chi voleva difendere i confini italiani ed europei e garantire la sicurezza attraverso il respingimento indiscriminato di tutti i migranti in fuga dalla Libia e la politica dell’abbandono in mare,
attuata con l’attacco alle ONG che operavano soccorsi in acque internazionali, si ritrova all’inizio del 2020 con il Mediterraneo in guerra. Da quando nel 2016 ha firmato l’accordo con gli stati dell’Unione Europea per bloccare i profughi di guerra in Turchia, Erdogan, che sta inviando in Tripolitania milizie turche e siriane, può ricattare come vuole le deboli democrazie europee ad un passo dal tracollo politico e morale»
Gli ultimi accordi tra Erdogan e Serraj, sull’alleanza
militare, dopo quelli sulle zone di esclusivo interesse economico (ZEE) nel
Mediterraneo orientale, sono la prova finale del fallimento delle politiche
europee basate sulla esternalizzazione delle frontiere e sull’abbattimento del
diritto di chiedere asilo in Europa. Sullo sfondo il disimpegno americano e la
stretta intesa tra la Russia di Putin, Al Sisi in Egitto ed il generale Haftar
che controlla ormai la maggior parte del territorio libico. Schieramenti che
spiazzano continuamente l’ondivaga politica estera italiana, attenta soltanto
alla propaganda sul blocco degli sbarchi, anche a costo di marcare la
continuità con il governo Lega-Ciquestelle, al punto da trascurare gli
interessi primari del paese, la pace nel Mediterraneo, ed il rispetto dei
diritti umani.
Gli “altolà” all’escalation militare del conflitto da parte
dell’Italia e dell’Unione europea valgono meno di zero. Chi pensava di avere
vinto la guerra contro le ONG ed i migranti in fuga dalla Libia adesso si trovera’
in guerra. Come scriviamo da anni e come insegna l’esperienza del secolo
scorso, l’unico sbocco del sovranismo e del nazionalismo è la guerra. Presto se
ne accorgerà anche chi vota Salvini e la Meloni ed è convinto che il sovranismo
proposto dalle destre costituisca l’unica garanzia per “fermare l’invasione” e
“difendere i confini”.
Il nodo centrale del conflitto libico, la ragione più
profonda della sua internazionalizzazione, consiste nel superamento del
multilateralismo, con la conseguente crisi delle Nazioni Unite, costrette a
schierarsi da una parte sola dei contendenti, dopo vari tentativi di
risoluzione da parte del Consiglio di sicurezza, bloccato dai veti incrociati,
e dal prevalere delle ragioni economiche dei grandi gruppi internazionali sul
rispetto dei diritti umani e della vita delle persone.
Sui report giornalistici che arrivano sempre più spesso
dalla Libia ( e dagli Stati Uniti) molte circostanze rimangono ancora da
verificare e non è possibile dare alcun giudizio preventivo, ma nessuno
dovrebbe trascurare il quadro più realistico di quello che succede oggi alle
persone migranti intrappolate in Libia alla vigilia dello scontro finale in
Tripolitania. E nessuno racconta degli uomini, delle donne e dei minori
scambiati come merce nel sud della Libia, nel Fezzan ormai sotto il controllo
del generale Haftar. In tutto il Sahel, a sud della Libia, si espande intanto
la minaccia delle formazioni islamiste e dei tagliagole variamente affiliati
all’ISIS. Mentre i commentatori nostrani ripropongono progetti e propositi
destinati a fallire ancora una volta, basati sull’intervento di una non meglio
precisata “comunità nazionale”, adesso che le Nazioni Unite sono schierate sul
campo dalla parte di Serraj, mancano del tutto proposte mirate alla salvaguardia
delle persone e del diritto internazionale, le uniche che possono aprire ancora
qualche spiraglio di pace.