-OSSERVATORIOTUTELACOMUNE
AMBIENTE PAESAGGIO BENI CULTURALI-
lettera di Adriano La Regina e Fausto Zevi
APPREZZIAMO E PUBBLICHIAMO INTEGRALMENTE LA MISSIVA INDIRIZZATA AL MINISTRO DEI BENI CULTURALI, LA CUI DELEGA È STATA ARRICCHITA
CON QUELLA DEL TURISMO, COMPETENZA QUEST’ULTIMA RIOTTENUTA E VOLUTA CON
DETERMINAZIONE DAL CAPO-DELEGAZIONE PD, NEL CORSO DEL PATTEGGIAMENTO PER IL
VARO DEL GOVERNO GILLOROSÈ , IN QUANTO “QUELLO DEI BENI CULTURALI È IL PIÙ IMPORTANTE MINISTERO DELL’ECONOMIA”
INSOMMA RITORNA LA
DICOTOMIA “TUTELA”\”VALORIZZAZIONE”. AL PRIMO TERMINE SI RICHIAMANO ADRIANO LA
REGINA E FAUSTO ZEVI: UNA TUTELA CHE SI SOSTANZIA, A NOSTRO AVVISO, NEL
VALORE D’USO COMUNE E COLLETTIVO. OVVERO: NEL DIRITTO ALLA FORMAZIONE
CULTURALE DELLA PERSONA E NELLA GARANZIA DI UN LIBERO E INCONDIZIONATO
SVILUPPO DELLA COSCIENZA CIVILE, DI CUI OGNI CITTADINO È PARTE INTEGRANTE,
PUR NELLA DIFFERENZA DEL PENSIERO CRITICO. AL SECONDO -QUELLO DELLA
VALORIZZAZIONE- SI ISPIRA, INVECE, DARIO FRANCESCHINI, IL QUALE SOLO IN NOME
DELL’ECONOMICITÀ PUÒ CONSENTIRE UNA VERA E PROPRIA MERCIFICAZIONE DEL
PATRIMONIO CULTURALE, FINALIZZATA ALLA EVENEMENZIALE “FRUIZIONE PRIVATISTICA E COMMERCIALE” DI
IMPORTANTI SITI ARCHEOLOGICI E MUSEALI, TRASFORMATI ALL’UOPO IN ESCLUSIVE
LOCATION DA METTERE IN VALORE DI SCAMBIO MEDIANTE MONETA SONANTE. ECCO PERCHÈ
NELLA CORRENTE ORGANIZZAZIONE STRUTTURALE DEI BB.CC. AI VERTICI DELLE SUE
ARTICOLAZIONI VENGO POSTI NON PIÙ DIRIGENTI PUBBLICI CHE RENDONO CONTO ALLA
COLLETTIVITÀ DEL LORO OPERATO, BENSÌ MANAGER RECLUTATI -ANCHE FUORI DAI RUOLI
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E PERFINO FUORI DAI CONFINI DELL’UNIONE EUROPEA-
CHE RENDONO CONTO DEL LORO OPERATO SULLA BASE DEI RISULTATI QUANTITATIVI, PRIMA
FRA TUTTI QUELLO DEL PROFITTO
Signor ministro, il suo ritorno
nell’ufficio già tenuto in tempi recenti è occasione di qualche considerazione
sui risultati e sui limiti della riorganizzazione da lei voluta a suo tempo. A
nostro avviso, l’autonomia di alcuni grandi musei ha avuto effetti positivi; ma
questo vale per quegli istituti che, a partire dal Rinascimento, sono sorti
come collezioni create per il lustro di grandi famiglie o per lo splendore di
una capitale: tali collezioni non sono necessariamente in un nesso diretto con
i luoghi in cui si sono formate, ma una relazione di ordine culturale vi è pur
sempre, se non altro per il contesto storico che ha dato luogo alle collezioni
stesse. Diversa è invece la situazione dei musei archeologici, ed è su questi
che desideriamo soffermarci per la nostra esperienza di archeologi e di
soprintendenti. Infatti non può sfuggire ad alcuno come i musei archeologici
del nostro Paese siano nati e nascano in stretto rapporto con il loro ambito
territoriale: raccolgono testimonianze,materiali e dati conoscitivi che
direttamente emergono o si producono scientificamente in un determinato
comprensorio. Hanno dunque la funzione di raccolta, di sistemazione e di
presentazione al pubblico dell’attività archeologica e delle scoperte che
derivano dalla sorveglianza, dalla tutela e da imprese programmate di ricerca;
conservano materiali e documentazione che consentono lo studio dei complessi
monumentali donde provengono. Dunque, in nessuno dei grandi musei italiani di
antichità trova giustificazione un distacco dal territorio; e un problema
altrettanto se non più rilevante è quello dei musei minori, i quali sono stati
raccolti e convogliati sotto un’etichetta comune nei ‘Poli Museali»». Questi
ultimi raccolgono Istituti di varia connotazione ed estrazione, affatto diversi
per impronta disciplinare, unificati solo su base territoriale senza un
principio conduttore che non sia quello di dare loro una struttura
amministrativa priva di competenza scientifica, vista la disomogeneità delle
materie interessate. Questi musei hanno, e avranno sempre di più, una vita
grama, passiva, perché hanno perso il loro stretto legame con l’esercizio della
tutela; soltanto in pochissimi casi fortunati o intelligenti i musei sono stati
lasciati a integrazione di comprensori archeologici, come dovrebbe essere per
tutti nel quadro delle Soprintendenze. La separazione dei musei di antichità
dal contesto archeologico, intervenuta in una forma o nell’altra, nella maggior
parte dei casi comporta o comporterà sul lungo periodo non solo la decadenza
dell’istituto, che non vedrà arricchite le proprie collezioni e rinnovata, alla
luce delle nuove scoperte,la propria impostazione scientifica ed espositiva: ma
anche il frazionamento (e quindi l’inevitabile duplicazione) di strutture e di
procedure amministrative con concrete difficoltà nell’esercizio della tutela e
della presentazione del patrimonio, oltre che con un prevedibile accrescimento
delle esigenze di personale e della spesa. Infatti una Soprintendenza è tenuta
per dovere scientifico a divulgare le risultanze degli scavi archeologici, il
che comporta una sede espositiva, cioè quella che una volta si riconosceva nel
museo: ma questo non basta perché,come si comprende facilmente, per presentare
al pubblico materiali spesso fragili, rinvenuti in condizioni precarie,
occorrono preliminari interventi di documentazione,di analisi, studio,
conservazione, da eseguirsi in attrezzati laboratori di restauro.
Ma i laboratori tecnico-scientifici, di
fotografia e di documentazione grafica, direstauro ecc. dappertutto sono stati
impostati in riferimento alle attrezzature dei musei, che ormai sono distaccati
e con vita amministrativa autonoma; il che significa che le Soprintendenze
dovranno o dovrebbero dotarsi d’ora in avanti di proprie sedi espositive, di laboratori
di restauro, di fotografia, duplicando le strutture esistenti e senza neppure
poter funzionare come organismo di supporto per i musei minori, distaccati a
loro volta e assemblati nei Poli Musealì. Si vede bene dunque che è
assolutamente errato il criterio di separare i musei territoriali dalle
Soprintendenze, a cominciare dal Museo Nazionale Romano e dallo stesso Museo
Nazionale di Napoli; addirittura scandalosa la separazione dal territorio di un
museo come quello etrusco di Villa Giulia, nato un secolo fa da un illuminato
progetto proprio in funzione del suo territorio, di cui costituiva il vivo
riferimento scientifico e l’archivio di un’entusiasmante tradizione di ricerca.
Vi sono aspetti, non meno gravi, che non abbiamo qui contemplato e che parimenti
incidono non poco sulla tenuta e sul funzionamento delle Soprintendenze: lo
smembramento degli archivi e delle biblioteche, preziosa fonte di notizie per
la tutela ma anche per il restauro e per la presentazione al pubblico, oltre
che per la storia degli studi. Per loro formazione storica, archivi e
biblioteche di solito sono stati accentrati presso il museo principale dove
svolgevano la propria funzione nei riguardi dell’intera Soprintendenza. Ora,
nella quotidiana attività di tutela le Soprintendenze hanno continua necessità
di dati e informazioni che ormai sono costretti a chiedere ad altri istituti,
talvolta andando incontro a procedure esasperanti e a ritardi tanto più gravi
ora che è stato istituito anche per i beni culturali, e con termini di tempo
ridottissimi, il principio del «silenzio assenso» tutto a spese del nostro
devastato territorio. In breve, a nostro avviso si dovrebbe adottare il
criterio di mantenere l’autonomia di alcuni grandi musei storico artistici, ma
non di quelli archeologici, e di ricondurre i Poli Museali nell’ambito delle
rispettive Soprintendenze.
Occorrerebbe poi rivedere profondamente
il punto dolente della Soprintendenza
generalizzata, dai contorni molto incerti e ambigui, la quale comporta
lavoro non sempre scientificamente consapevole per il dirigente unico e
dispersione di competenze. Non vi sono, forse, difficoltà nel mantenere
l’accorpamento delle ex Soprintendenze ai beni artistici con quelle ai beni
architettonici, giacché esse erano state concepite separatamente solo per la
tipologia e le classi dei beni da tutelare. Le Soprintendenze archeologiche,
invece, si sono sempre distinte dalle altre per la competenza su contesti
storico culturali diversi, per metodologia scientifica e per tradizione di
studi. Occorrere insomma sanare aspetti dell’attuale organizzazione che agli
occhi della comunità scientifica del mondo intero appaiono paradossali, per non
dire ridicoli. Per citarne uno, sembra inverosimile che lo Stato italiano non
abbia più un suo ufficio che si prenda cura in maniera specifica e complessiva
delle antichità di Roma, e ne tuteli l’interesse universale; compito nei secoli
passati affidato dai pontefici a figure come Raffaello, Bellori, Winckelmann.
la lettrea di Adriano La Regina e Fausto Zevi è stata pubblicata sul Giornale dell’Arte, 11-2019
APPREZZIAMO E PUBBLICHIAMO INTEGRALMENTE LA MISSIVA INDIRIZZATA AL MINISTRO DEI BENI CULTURALI, LA CUI DELEGA È STATA ARRICCHITA
CON QUELLA DEL TURISMO, COMPETENZA QUEST’ULTIMA RIOTTENUTA E VOLUTA CON
DETERMINAZIONE DAL CAPO-DELEGAZIONE PD, NEL CORSO DEL PATTEGGIAMENTO PER IL
VARO DEL GOVERNO GILLOROSÈ , IN QUANTO “QUELLO DEI BENI CULTURALI È IL PIÙ IMPORTANTE MINISTERO DELL’ECONOMIA”
INSOMMA RITORNA LA
DICOTOMIA “TUTELA”\”VALORIZZAZIONE”. AL PRIMO TERMINE SI RICHIAMANO ADRIANO LA
REGINA E FAUSTO ZEVI: UNA TUTELA CHE SI SOSTANZIA, A NOSTRO AVVISO, NEL
VALORE D’USO COMUNE E COLLETTIVO. OVVERO: NEL DIRITTO ALLA FORMAZIONE
CULTURALE DELLA PERSONA E NELLA GARANZIA DI UN LIBERO E INCONDIZIONATO
SVILUPPO DELLA COSCIENZA CIVILE, DI CUI OGNI CITTADINO È PARTE INTEGRANTE,
PUR NELLA DIFFERENZA DEL PENSIERO CRITICO. AL SECONDO -QUELLO DELLA
VALORIZZAZIONE- SI ISPIRA, INVECE, DARIO FRANCESCHINI, IL QUALE SOLO IN NOME
DELL’ECONOMICITÀ PUÒ CONSENTIRE UNA VERA E PROPRIA MERCIFICAZIONE DEL
PATRIMONIO CULTURALE, FINALIZZATA ALLA EVENEMENZIALE “FRUIZIONE PRIVATISTICA E COMMERCIALE” DI
IMPORTANTI SITI ARCHEOLOGICI E MUSEALI, TRASFORMATI ALL’UOPO IN ESCLUSIVE
LOCATION DA METTERE IN VALORE DI SCAMBIO MEDIANTE MONETA SONANTE. ECCO PERCHÈ
NELLA CORRENTE ORGANIZZAZIONE STRUTTURALE DEI BB.CC. AI VERTICI DELLE SUE
ARTICOLAZIONI VENGO POSTI NON PIÙ DIRIGENTI PUBBLICI CHE RENDONO CONTO ALLA
COLLETTIVITÀ DEL LORO OPERATO, BENSÌ MANAGER RECLUTATI -ANCHE FUORI DAI RUOLI
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E PERFINO FUORI DAI CONFINI DELL’UNIONE EUROPEA-
CHE RENDONO CONTO DEL LORO OPERATO SULLA BASE DEI RISULTATI QUANTITATIVI, PRIMA
FRA TUTTI QUELLO DEL PROFITTO