IL PARADOSSO DELLE DISMISSIONI DI BENI PUBBLICI
Fabio Pascapè
Da una parte si dismette il patrimonio pubblico mentre dall’altra la Pubblica Amministrazione paga profumati fitti passivi per svolgere le proprie attività in immobili di proprietà privata
Dal Sole 24 Ore
del 14 luglio apprendiamo che la Corte dei conti ha apposto il proprio timbro
sul decreto che avvia la cessione di immobili di Stato per un valore di 1
miliardo e 250 milioni di euro. Invimit (Tesoro) avvierà il Fondo Dante in cui
con fluiranno beni per 500 milioni mentre il Demanio parteciperà con oltre 400
immobili definiti di “elevato valore” e con altri 1.200 di “valore ordinario”.
La Difesa metterà in vendita 41 caserme. Gli enti locali potranno rendere
disponibili beni di loro proprietà e svolgere una funzione di facilitazione
delle procedure di valorizzazione. A parte le forti perplessità sul fatto che
operazioni del genere possano realmente sanare i conti dello stato. Il dubbio è
sempre che con operazioni del genere si dismettano solo “pezzi pregiati” che,
magari, con una oculata gestione pubblica o pubblico/privata potrebbero essere
redditivi sia in termini finanziari che in termini sociali. Oppure che i tempi
finiscano con l’essere biblici ed i costi di dismissione molto alti (che
nessuno mai misura in termini di costo del personale impegnato, di impegno
d’apparato, etc.). O ancora che alla fine l’introito non sia quello atteso e
che magari si sia prestato il fianco a speculazioni di ben altra portata
depauperando sempre di più il patrimonio pubblico e con esso le utilities
collettive e comuni. Ammesso e non concesso, dunque, che le perplessità
risultassero superabili resta da considerare il paradosso che nasce dal
considerare come poi per svolgere la sua attività quotidiana la Pubblica
Amministrazione spenda un bel po' di soldi dei contribuenti perché si serve di
beni di proprietà privata. Basta fare due conti attingendo i dati dai siti
pubblici dalla pagina della cd. “Amministrazione Trasparente”. Sono risultati
particolarmente dettagliati e leggibili, ad esempio, i dati scaricati dal sito
del MEF che ho rielaborato e vi propongo. Per gli Uffici Centrali il MEF sborsa
per “locazione passiva” € 2.293.097,74 l’anno, a cui vanno aggiunti €
8.377.051,69 per le sedi di attività delle Commissioni Tributarie e €
14.872.910,29 per le sedi delle Ragionerie Territoriali a titolo di “locazione
passiva” e “locazione fondi patrimoniali”. Il dato diventa ancora più
interessante se si considera il rapporto tra beni utilizzati complessivamente e
beni per i quali si corrispondono le somme in esame a titolo di “locazione
passiva” e “locazione fondi patrimoniali”. Orbene su un totale di 271 cespiti
utilizzati complessivamente per le attività di istituto ben 168 sono in regime
di “locazione passiva” o di “locazione fondi patrimoniali” registrando una
percentuale media (sulle tre tipologie) del 62%. Per avere un parametro che ci
aiuti ad immaginare l'ordine delle grandezze finanziarie in gioco basti pensare
che, secondo le risultanze del gruppo di lavoro Cottarelli del 2015, la spesa
sostenuta dall'amministrazione dello stato (senza quindi considerare le
Autonomie Locali) per pagare le locazioni passive è di circa 1 miliardo e 215
milioni di euro l'anno. In buona sostanza le cifre che si pensa di incamerare
con il piano di dismissioni sono simili a quelle che si sborsano ogni anno per
consentire il funzionamento degli uffici che operano in cespiti di proprietà
privata con l'aggravante della depauperazione progressiva del patrimonio
pubblico e della conseguente progressiva diminuzione della sua potenziale
redditività sia in termini sociali che in termini finanziari. Una domanda sorge
spontanea. Si dismette per fare la cassa che poi si continua a svuotare con i
fitti passivi? Continua la ricerca disperata di un senso …
Comitato Popolare di Difesa dei Beni Pubblici e Comuni “Stefano
Rodotà”