martedì 25 giugno 2019

LA MENZOGNA DELLA SICUREZZA

 Marco A. Pirrone

 l’ossessione securitaria e la guerra alla migrazione 


le politiche restrittive nei confronti delle migrazioni sono sempre più crudeli  e sempre più spesso danno luogo -simbolicamente e fisicamente-  a muri e barriere ai confini dei paesi riceventi uomini e donne migranti in fuga da varie parti del mondo 

 qual è l'origine di questa guerra al migrante ? 

 il liberismo ha utilizzato ad arte il «panico da migrazione», sia per celare i   disastri sociali, economici ed ecologici da esso generati, sia per disciplinare la   forza lavoro mondiale, inferiorizzando e schiavizzando uomini e donne migranti 

Esiste un nesso molto forte tra le trasformazioni dell’economia e della società nell’epoca della globalizzazione liberista e il senso diffuso di insicurezza sociale ed economi­ca, dovuto primariamente all’aumento delle diseguaglianze economiche e sociali. Questa insicurezza viene socialmente e politicamente convogliata sulle migrazioni internazionali, le quali ultime, effetto anch’esse delle crescenti disuguaglianze mondiali, sono rappresentate, attraverso un abile gioco di manipolazione informativa e politica, quali cause o concause dei problemi del mondo più ricco e sviluppato o come una minaccia verso di esso [1].
L’intento principale di questo intervento è dunque quello di smascherare ciò che sta dietro al “panico da migrazione”, come lo definì qualche anno fa Zygmunt Bauman, che caratterizza la nostra epoca, offrendo al contempo strumenti di comprensione di questo fenomeno e delle trasformazioni della società contemporanea.
L’attuale scenario delle politiche migratorie europee e internazionali, con il suo portato razzista e, ahimè, anche fascista, appare particolarmente preoccupante. Dagli Stati Uniti di Trump all’Ungheria di Orban sino all'Australia di Turnbull (e prima di lui Abbott) le politiche restrittive nei confronti delle migrazioni sono sempre più crudeli e sempre più spesso danno luogo, sia simbolicamente che fisicamente, a muri e barriere ai confini dei paesi riceventi uomini e donne migranti in fuga da varie parti del mondo.
Anche l’Italia si è mossa sullo stesso solco. Pochi mesi dopo il suo insediamento il nuovo governo italia­no, in perfetta continuità con le misure dei governi precedenti (di destra e dell’ex-sinistra), ha posto in essere una linea politica «ostenta­tamente disumana» (Ferrajoli, 2018) nei confronti dei migranti, decidendo la chiusura dei porti per impedirne gli sbarchi e approvando il decreto legge “sicurezza”, contenente norme persecutorie e ves­satorie nei loro riguardiL’Italia si è così confermata come il paese europeo all’avanguardia tra quelli che con più accanimento si stanno im­pegnando nella «guerra alle migrazioni» (Palidda, 2018) in nome della “sicurezza”.
Ma dove ha origine questa guerra alle migrazioni?
Confini, muri, atteggiamenti xenofobi, razzismo sono tutti termini che stridono pesantemente con le parole d'ordine della ideologia della globalizzazione capitalista/liberista: mobilità, libertà, inclusione, integrazione, ricchezza, prosperità, sviluppo. L'economia capitalista in questa fase di sfrenato liberismo ha veicolato fin dall'inizio della sua affermazione parole d'ordine ispirate alla libertà e alla mobilità (di merci, capitali, conoscenze, persone), quando in realtà le politiche della maggior parte degli stati - ma anche di alcuni enti o organismi sovranazionali - negano la libertà di movimento a molte persone in fuga dalle diseguaglianze dei loro paesi o dai conflitti militari e politici o semplicemente perché aspirano all’emancipazione e a una vita migliore.
A nostro parere esiste una relazione inversamente proporzionale tra le parole d'ordine dell’ideologia liberista e le politiche concrete di “guerra alle migrazioni” applicate dagli Stati. Essa ha origine proprio a far data dalla “controrivoluzione” liberista, cioè sul finire degli anni ’70, quando prende corpo la grande reazione dei dominanti contro le conquiste operaie e popolari del decennio ’68-’78 e si aprono grandi scenari di nuova accumulazione dei profitti da capitale dovuti alla liberalizzazione dei mercati, soprattutto finanziari, e alla liberalizzazione del mercato del lavoro su scala mondiale.
Il liberismo, attraverso i suoi think tank, ha utilizzato ad arte il «panico da migrazione», sia per celare i disastri sociali, economici ed ecologici da esso generati, sia per disciplinare la forza lavoro mondiale, inferiorizzando e schiavizzando uomini e donne migranti.
Fin dal suo inizio la vicenda delle migrazioni internazionali viene rappresentata come una “invasione di massa” ed è associata, non solo in Eu­ropa, a termini, che ormai albergano nell’immaginario collettivo dei paesi occidentali, quali “insicurezza” e “paura”(come vedremo più avanti, osservando le cifre delle migrazioni internazionali, si tratta di una vera e propria mistificazione).
Tale rappresentazione ha ispirato, per converso, una retorica della “sicurezza” nei confronti di uomini e donne migranti, “percepiti”, come scrive Saskia Sassen,“per lo più come una minaccia: stranieri che vogliono entrare in paesi più ricchi di quelli da cui provengono e chiedono che siano loro aperti i cancelli, e che in caso di rifiuto li abbattono con la violenza, oppure li varcano surrettiziamente”.
Sempre più amplificata dalla retorica pubblica e dai media, oltre che alimentata ad arte dalle forze politiche razziste e fasciste, tale rappresentazione ha trovato fondamento nella insicurezza degli individui all’interno di quel fenomeno definito globalizzazione, che altro non è l’espansione globale del capitalismo nella sua fase neoliberista.Tale rappresentazione è funzionale all’individuazione delle migrazioni come una delle cause dell’insicurezza sociale, celando così il fatto che esse stesse sono il risultato degli effetti di erosione delle fondamenta della sicurezza sociale determinati dal capitalismo neoliberista: flessibilità e precarietà lavorativa, diffusione del lavoro in nero, disoccupazione, distruzione dei sistemi di protezione sociale, redditi sempre più bassi, condizioni di lavoro rischiose e pericolose, sistemi sanitari sempre meno accessibili ed efficaci, cioè tutti quei processi che conducono alla disgregazione del legame sociale - estendendo peraltro la precarietà e l’insicurezza a tutto il mondo della vitae a una società sempre più individualizzata competitiva. Le restrizioni alla libertà di movimento delle persone si sono così rivelate funzionali alle nuove dinamiche dell’accumulazione capitalistica e alle nuove forme di disciplinamento della forza lavoro su scala globale.
Se la paura verso lo stra­niero ha una molteplicità di ragioni sociologicamente “comprensi­bili“ (Simmel, 1998, particolarmente le pp. 580-584), la sua tra­sformazione in razzismo, nel frattempo diventato un fiume sempre più gonfio e inarrestabile, che tracima in retoriche e azioni violente, ha dunque dietro di sé precise ragioni.
In primo luogo l’affermazione del capitalismo neoliberista, cominciata a fine anni Settanta del secolo scorso; in secondo luogo l’azione di veri e propri impresari “morali”, non sempre coincidenti con gli attori politici, che hanno alimentato il fuoco dell’odio e del razzismo nei confronti dei migranti, additandoli come “causa” della presunta “crisi” economica, nonché come nemici e minaccia per il nostro “stile di vita” (Bauman, 2016, p. 3); infine, la necessità di inferiorizzare e criminalizzare i migranti con l’obiettivo sia di poterli governare meglio in quanto forza lavoro (Pirrone 2007, 2013; Palidda, 2008; Dal Lago, 1999) – privan­doli di diritti e sottopagandoli, cioè schiavizzandoli – sia di separare politicamente, e mettere gli uni contro gli altri, gli sfruttati e gli esclusi autoctoni dagli stranieri e ottenere così il consenso politico e la legittimazione alle politiche persecutorie nei confronti dei mi­granti.
Rappresentare i migranti come i nemici dello stile di vita e del benessere dei paesi ricchi, accusandoli di tutti i malesseri e i proble­mi economici e sociali, consente ai dominanti dunque di raggiungere il duplice scopo di nascondere lo sfacelo indotto dal dominio neoliberista e di precarizzare e schiavizzare, oppure escludere completamente, la forza lavoro sia straniera che, sempre di più, anche autoctona.
Veicolando tale rappresentazione si ottiene inoltre l’obiettivo di spostare altrove lo sguardo della società rispetto alla vera natura dei problemi econo­mici e sociali, facendo di alcuni soggetti (in questo caso i migranti) – come già tragicamente successo in passato: i lavoratori nel XIX secolo, le “classi pericolose”, viste come minaccia all’ordine indu­striale e capitalistico, o gli ebrei nel XX secolo, “razza” inquinante e maligna – i capri espiatori di situazioni molto più complesse, come quelle relative all’economia capitalistica nella attuale fase di sfrenato liberismo globale.
Come numerosi dati e studi empirici dimostrano, cito per tutti il World inequality report (Alvaredo, Chancel, Piketty, Saez, &Zucman, 2018), la globaliz­zazione liberista ha acuito la polarizzazione fra lo strato più ricco della popolazione mondiale, sempre più concentrato in poche uni­tà, e quello più povero, determinando così una più accentuata e veloce proletarizzazione, impoverimento e precariz­zazione sia della classe media che della classe operaia nel suo complesso. È all’interno di questo quadro di processi dell’economia capitalistica che ha origine l’insicurezza sociale, sfruttata sia dalle istituzioni politiche che dagli attori economici per convogliare «l’ansia, estesa e diffusa, verso una solo componente della Unsichereit [incertezza,ndr], quella della sicurezza personale, l’unico ambito in cui qual­cosa può essere fatto e viene effettivamente fatto» (cfr. Bauman, 2000, p. 13) e quella dei confini nazionali. L’altro, lo straniero, il diverso, il migrante è il perfetto capro espiatorio per questa insicurezza e ansia. Il contraltare di questa ossessione per la sicurezza, in un mondo in cui la circolazione di capitali e merci è incontrollabile da parte degli stati, è il sovranismo, declinato in termini di «padro­ni a casa nostra», «l’Italia agli italiani» o «prima gli italiani», che diventa l’unica illusione di poter controllare qualcosa in un mondo in cui i processi economici sono diventati estremamente difficili da go­vernare da parte di singoli paesi. È in tale contesto che si radica l’ossessione per la sicurezza che caratterizza le società europee e quella italiana.
Del resto, il concetto di sicurezza, che indica la condizione che rende e fa sentire di essere esente da pericoli, o che dà la possibilità di prevenire, eliminare o rendere meno gravi danni, rischi, difficoltà, evenienze spiacevoli, e simili, potrebbe essere declinato in tanti modi (sicurezza alimentare, collettiva, del lavoro e sul lavoro, personale, sociale, economica, sanitaria e della salute, informatica, tecnica, ambientale). Coloro che invocano la sicurezza, non parlano mai, né si occupano di alcuna di queste declinazioni della sicurezza (ed in campo sanitario e ambientale - pensiamo ai disastri nucleari, al problema delle radiazioni elettromagnetiche o agli effetti dello smaltimento dei rifiuti su territori e popolazione -  i dati sono preoccupanti, solo per fare un esempio), invocano invece solo quella che ha accompagnato la vicenda dello stato moderno:  il concetto di sicurezza nazionale relativo alla sicurezza interna dello stato (non a caso il decreto sicurezza bis di Salvini si occupa di migranti e di manifestazioni pubbliche per controllare i movimenti di protesta) e alla sicurezza dello stato dalle minacce esterne.
Che tali preoccupazioni dunque, e il «panico da migrazione» che ne de­riva, siano il risultato di una grande mistificazione, funzionale a gestire la forza lavoro mondiale, nonché a contenere il disordine politico e sociale, attraverso xenofobia e razzismo, è evidente anche osservando i numeri della migrazione internazionale. Infatti, sia in termini di unità assolute che percentuali, l’evoluzione delle migra­zioni internazionali nell’ultimo cinquantennio, oltre ad essere estremamente differenziata sul pianeta, appare molto distante dal quadro cristallizzatosi nell’immaginario collettivo del mondo euro­peo e occidentale. Se da un lato, come si può vedere nella tabella 1, il volume complessivo delle migrazioni internazionali nel mondo, in termini assoluti, è quasi triplicato, tale dimensione va messa in relazione alla crescita, nello stesso periodo, della popola­zione mondiale, che è più che raddoppiata (Tab. 2), tanto è vero che – vedi tabella 3 – il volume della mobilità umana nel pianeta, in termini percentuali, aumenta dal 1970 al 2017 solo del 1,2%. E ciò pur in presenza di un mercato del lavoro divenuto effettivamen­te globale e di aree di conflitto sempre più disseminate nel globo da cui fuggono molti uomini e donne. Se riflettiamo poi sul fatto che all’interno delle cifre assolute dei migranti internazionali devono anche essere considerati i rifugiati e gli sfollati di varie aree del pia­neta, estremamente variabili a seconda delle circostanze e contin­genze politiche e belliche, e che molti dei movimenti migratori interessano orizzontalmente le aree di più recente sviluppo o le aree meno sviluppate del pianeta, ci si rende conto che il quadro di al­larme disegnato da politici, media e popolazioni autoctone, in am­bito europeo e italiano, poggia su fondamenta se non proprio di argilla quanto meno molto fragili.
Anche a livello europeo (Tab. 4), specifi­cando che stiamo utilizzando i dati ONU sullo stock dei migranti, senza fare alcuna distinzione tra cittadini comunitari, non comu­nitari, cittadini nati in un paese ma residenti in un altro, possiamo notare che, tranne poche eccezioni, che riguardano alcuni paesi molto piccoli – come Lussemburgo, Austria e Irlanda – la maggior parte dei paesi europei ha una quota di immigrati che si discosta poco, in alto o in basso, dalla media europea che è del 10,9%. Notiamo anche che i paesi che hanno oggi retoriche securitarie più allarmate e politiche migratorie più restrittive e disumane, come Italia e Ungheria, hanno numeri di immigrati, sia in termini asso­luti che percentuali, al di sotto della media europea.


Tabella 1. Migranti nel mondo 1960-2017 (entrambi i sessi)
Anno
1960
75 463 352
1965
78 443 933
1970
81 335 779
1975
86 789 304
1980
99 275 898
1985
111 013 230
1990
152.542.373
1995
160.700.028
2000
172.604.257
2005
190.531.600
2010
220.019.266
2015
247.585.744
2017
257.715.425


Fonte: United Nations [*]



Tabella 2. Popolazione mondiale 1960-2017
Anno
1960
3 023 670
1965
3 338 041
1970
3 696 128
1975
4 073 745
1980
4 442 309
1985
4 843 930
1990
5.330.943
1995
5.751.474
2000
6.145.007
2005
6.542.159
2010
6.958.169
2015
7.383.009
2017
7.550.262
Fonte: United Nations


Tabella 3. Percentuale dei migranti internazionali sul totale della popolazione 1960-2017
Anno
1960
2,5%
1965
2,4%
1970
2,2%
1975
2,1%
1980
2,2%
1985
2,3%
1990
2,9%
1995
2,8%
2000
2,8%
2005
2,9%
2010
3,2%
2015
3,4%
2017
3,4%
Fonte: United Nations
[*] I dati riportati nelle tabelle sono estratti dal database delle Nazioni Unite consultabile a questo indirizzo web: http://esa.un.org/unpd/wpp/index.htm


   

Tabella 4    Europa: presenza di immigrati per paese, popolazione totale per paese, incidenza di immigrati sulla popolazione totale per paese
Paese
Popolazionestraniera
Popolazionetotale del paese
Incidenza % stranierisupopolazione
Austria
1.660.283
8.735.000
19,1%
Belgio
1.268.411
11.429.000
11,1%
Bulgaria
153.803
7.085.000
2,2%
Cechia
433.290
10.618.000
4,1%
Croazia
560.483
4.189.000
13,4%
Danimarca
656.789
5.734.000
11,4%
Estonia
192.962
1.310.000
14,7%
Finlandia
343.582
5.523
6,22%
Francia
7.902.783
64.980.000
12,2%
Germania
12.165.083
82.114.000
14,8%
Grecia
1.220.395
11.160.000
10,9%
Irlanda
806.549
4.762.000
16,9%
Italia
5.907.461
59.360.000
9,9%
Lettonia
256.889
1.950.000
13,1%
Lituania
124.706
2.890.000
4,3%
Lussemburgo
264.073
583.000
45,2%
Malta
45.539
431.000
10,6%
PaesiBassi
2.056.520
17.036.000
12,1%
Polonia
640.937
38.171.000
1,7%
Portogallo
880.188
10.330.000
8,5%
RegnoUnito
8.411.021
66.182.000
12,7%
Romania
370.753
19.679.000
1,9%
Slovacchia
184.642
5.448.000
3,3%
Slovenia
244.790
2.080.000
11,7%
Spagna
5.947.106
46.354.000
12,8%
Svezia
1.747.710
9.911.000
17,6%
Ungheria
503.787
9.722.000
5,2%
Totale
54.950.535
502.248.523
10,9%


Di conseguenza, il ragionamento fatto prima a livello di mondo sulla paura dell’invasione ci sembra valga ancor di più nel caso eu­ropeo, senza voler minimizzare le trasformazioni sociali e culturali che la presenza di stranieri ha determinato e determina sul nostro continente.
Il razzismo dilagante è dunque il risultato non dell’ignoranza ma di rapporti sociali di dominio, anche di tipo neocoloniale, dei paesi più ricchi nei confronti degli altri. Del resto, come sosteneva Immanuel Wallerstein:

Il razzismo interno al capitalismo non ha niente a che fare con gli «stranieri». Tutto al contrario. Il razzismo è stato il modo con cui vari segmenti di forza-lavoro interni alla stessa struttura eco­nomica sono stati costretti a porsi in relazione gli uni agli altri. Il razzismo è stata la giustificazione ideologica per la gerarchizzazione della forza-lavoro e per una distribuzione fortemente diseguale del­le ricompense. [...] Le affermazioni ideologiche sono state la forma assunta dalle accuse secondo le quali i tratti genetici e/o «culturali» di lungo periodo dei vari gruppi erano in realtà la causa principale della differente distribuzione delle posizioni all’interno delle strut­ture economiche. Tuttavia, la convinzione che certi gruppi fossero «superiori» ad altri, in certi connotati importanti al fine di avere successo in campo economico, si è sempre concretizzata dopo che questi gruppi avevano assunto un posto all’interno della forza-la­voro, e non prima. Il razzismo è sempre venuto post hoc. Quelli che sono stati economicamente e politicamente oppressi sono stati dichiarati culturalmente «inferiori» (Wallerstein, 1985, p. 62).


BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO


Bauman, Z., 2000, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano

Bauman, Z. 2016, Stranieri alle porte, Laterza, Bari-Roma

Dal Lago, A. 1999, Non persone. L’esclusione dei migranti nella so­cietà globale, Feltrinelli, Milano

Ferrajoli, L. 2018, La questione migranti: Italia incivile, Europa incivile, Critica marxista, 5

Palidda, S. 2008, Mobilità umane. Introduzione alla sociologia delle migrazioni, Raffaello Cortina Editore, Milano

Palidda, S. 2018, La guerra alle migrazioni ovvero la sussunzione di tutti i disastri della deriva neo-liberista: il fatto politico totale, in Effimera, consultabile alla url: http://effimera.org/la-guerra-al­le-migrazioni-ovvero-la-sussunzione-tutti-disastri-della-deri­va-neo-liberista-politico-totale-salvatore-palidda/

Pirrone, M.A. 2007, La flessibilità. Ma di che parliamo?, in Grasso, M. 2007 (a cura di), Migranti tra flessibilità e possibilità. Occupa­zione, integrazione e relazioni familiari in Sicilia, Carocci, Roma

Pirrone, M.A. 2013, Razzismo, razzializzazione e valorizzazione del capitale all’epoca del capitalismo globale, in Grasso, M. 2013, Razzismi, discriminazioni e confinamenti, Ediesse, Roma, pp. 55-82

Simmel, G. 1998, Sociologia, Edizioni di Comunità, Torino

Wallerstein, I. 1985, Il capitalismo storico, Einaudi, Torino.Razzismi, discriminazioni e confinamenti, Ediesse, Roma, pp. 55-82



[1]   Si vedano le dichiarazioni di Donald Trump all’apertura della nuova campagna elettorale 2020 per le presidenziali in Usa. Il Presidente americano ha dichiarato di voler continuare la guerra ai migranti perché essi “spogliano gli americani dei loro diritti costituzionali”


l'articolo è stato pubblicato in contemporanea su NOTEBLOCK