- Emanuele Braga -
MACAO aveva già detto tutto!
La magistratura ha attaccato il sistema immobiliare colpendolo in un punto debole e scoperto, ma il vero bersaglio dovrebbe essere il sistema neoliberale della rendita finanziaria nel suo rapporto con le politiche pubbliche, non la corruzione. Gli episodi di corruzione e le forzature normative esistono, ma non sono il cuore del problema: colpirli è solo una mossa tattica per disturbare il nemico. Il problema politico strutturale è il modello della rendita finanziaria, che ha divorato l’interesse comune. E questo accade, ahimè, nel 99% dei casi anche senza corruzione e senza SCIA.
Ho sentito dire che il capitalismo sarebbe accettabile se rispettasse le regole e fosse onesto. Ho sentito dire che grazie ai nuovi grattacieli Milano è più forte e dinamica. Io la penso all’opposto: il capitalismo ha da sempre disegnato anche le leggi: può espandersi in modo perfettamente legale ma profondamente ingiusto e speculativo. Che lo si faccia rispettando le regole o attraverso la corruzione, poco cambia. La questione è tutta politica: il potere politico ha senso nella misura in cui riesce a porre delle condizioni e agire un rapporto di forza nei confronti degli interessi speculativi. Noi vogliamo tutt’altra città, non quella neoliberale, che privatizza tutto e diventa invivibile per chi la abita.
Penso che Milano oggi non sia affatto più dinamica e competitiva: è morta sotto la nuova skyline, sotto gli affitti brevi, il turismo, gli influencer, la sicurezza e il decoro. Così come sono morte, nello stesso modo e nello stesso periodo, Berlino, Amsterdam e Venezia, solo alcune di loro hanno avuto qualche anticorpo in più. Amavo il quartirere popolare Isola degli anni ‘90, con decine di centri sociali, senza Catella, Unicredit, Google e il bosco verticale. Mi spiace, ma sono uno di quelli che pensa che quel quartiere degli anni novanta sarebbe ora considerato un gioiello, mentre l’isola di oggi è una versione sbiadita di un qualsiasi quartiere bevereccio di Hannover. Ora non ci sono più centri sociali e un caffé costa 1.50 euro. A Milano in questi giorni rischiamo di perdere anche il Leoncavallo e il Cantiere! È difficile uscire la sera e sentirsi parte di una piazza viva, piena di persone interessanti. Non c’è più fermento né sperimentazione. La gente scappa: costa troppo e ci si annoia. Quando la finanza blinda il centro, le città smettono di essere “il posto in cui è interessante essere” e diventano distributori automatici di commodities per gente in transito. Questa città è diventata insostenibile anche per chi ci lavora. Cercare di abitare in città con uno stipendio da dipendente comunale singifica indebitarsi. O riusciamo a convincere le persone di questo, oppure ci limitiamo a creare polemiche senza visione.
In Germania, il corrispettivo della nostra discussione parlamentare sulla “Salva Milano” è stato il dibattito sull’incostituzionalità del tetto agli affitti. E l’hanno vinto gli immobiliaristi. In Italia, almeno, la norma si è fermata in Senato e sembra non passerà mai. Quindi è falso che altrove si stia meglio.
A Berlino, negli stessi anni in cui si consuma la parabola dei sindaci Pisapia e Sala a Milano, accadono i seguenti fatti:
La municipalità interviene sul caro affitti introducendo un tetto massimo al canone, stabilendo che non si possa affittare a un costo superiore a una certa soglia per metro quadrato. In questo modo riesce a governare il mercato abitativo per alcuni anni. Ma i principali fondi immobiliari reagiscono con forza, costruendo una lobby talmente potente da ottenere che il Parlamento nazionale si pronunci sull’incostituzionalità della norma, sostenendo che viola la tutela degli investimenti privati nel libero mercato. Il Comune di Berlino viene dunque dichiarato incostituzionale e costretto a revocare il tetto agli affitti.
Poco dopo, la cittadinanza berlinese promuove un referendum per espropriare i due principali monopolisti del mercato immobiliare, proponendo una logica antimonopolistica e la pubblicizzazione di una quota significativa del mercato. Il referendum vince a larga maggioranza, ma l’attuale giunta non lo attua, appellandosi a vizi di forma e limiti legali.
Morale: Berlino, pur essendo stata più coraggiosa e intraprendente di Milano in termini di movimenti per il diritto alla casa, è stata anche più umiliata dalla lobby della rendita finanziaria, dalla magistratura e dal quadro amministrativo-legale.
Dobbiamo cogliere la prospettiva storica di tutto ciò: la crisi dei mutui subprime del 2008 ha dato il via alla più grande mobilitazione globale del nuovo millennio. La consapevolezza che il capitale si fosse riorganizzato intorno alla rendita finanziaria ha mobilitato milioni di persone. Ciò che David Harvey diceva del modello New York degli anni ’80 sarebbe presto diventato globale. Le conseguenze: investimenti dei fondi nel mattone urbano e precarizzazione del lavoro.
Esplodono le proteste: nei primi anni ’10, in Europa con il 15M in Spagna, il movimento per i beni comuni in Italia, piazza Sintagma in Grecia, e le rivolte arabe.
A Milano nel 2012 occupiamo un grattacielo accanto al Pirellone, aprendo MACAO. Quegli attivisti avevano già detto tutto. Pensate oggi cosa significherebbe avere la forza di occupare per due settimane il Pirellino, al centro dell’ennesimo scandalo Catella-Boeri-Tancredi, e avere il coraggio e il consenso popolare per chiederne la ripubblicizzazione come bene comune. Ma oggi questa agibilità politica non c’è più. Segno di quanto il dibattito politico sia regredito in appena dieci anni.
Allora, nel movimento per i beni comuni, provammo a mobilitare i vecchi padri costituenti come Stefano Rodotà e Paolo Maddalena per proporre nuovi quadri normativi contro la gentrificazione galoppante. Ci furono due discussioni parlamentari su MACAO e si riaprì la commissione per la Costituente dei Beni Comuni. L’idea era chiara: il pubblico è nelle mani del privato, il mercato finanziario scrive le leggi a suo favore, tutelando la proprietà privata a scapito dell’interesse comune. La legge non è neutra, è un campo di battaglia. La nostra Costituzione riconosce l’interesse comune come un diritto inalienabile, che deve regolare e subordinare sia le istituzioni pubbliche sia gli attori privati.
Nel 2017 facemmo pure una manifestazione davanti al comune di Milano titolata il “Funerale della Sinistra neoliberale” in cui lanciavamo a tutti un monito: se la sinistra pensa di fare il bene comune mettendosi nelle mani dei fondi finanziari la città è morta.
Ma nessuno, nell’ambito istituzionale che conta, ha davvero sostenuto quella proposta. A poco a poco, i partiti di sinistra (compresi i 5 Stelle) hanno preferito seguire gli immobiliaristi e il giornalismo scandalista e populista, piuttosto che ascoltare i nostri movimenti. Hanno scelto di accomodarsi nello stretto spazio consentito dal patto di stabilità, dal debito pubblico e dai grandi fondi finanziari, strizzando l’occhio allo scandalo per raccogliere consenso.
Ora la magistratura arriva da sola, quindici anni dopo, senza più mobilitazioni, e interviene con tremendo ritardo su giochi ormai quasi chiusi.
Quindici anni fa, quelle proteste portarono al potere Podemos in Spagna e Ada Colau a Barcellona. In Italia, avevamo a disposizione versioni più sbiadite: Pisapia a Milano, de Magistris a Napoli. Iniziammo a parlare di svolta municipalista per introdurre quadri normativi alternativi nei governi locali, orientati al bene comune e non alla privatizzazione.
Decidemmo di non salire sul treno dei 5 Stelle, che sarebbe stato la traduzione più ovvia di quel movimento nella politica parlamentare italiana. Non lo facemmo perché non ci convincevano il giustizialismo, il populismo anticasta, il retrogusto di ordine e sicurezza, l’ideologia della nazionalizzazione totale, e il disprezzo per l’idea di “comune” come costruzione autonoma e auto-organizzata dal basso — senza contare la scarsa sensibilità verso i processi di decolonizzazione e transfemministi.
Oggi, ciò che occorre è sfruttare l’indebolimento dell’avversario per riattivare, in modo popolare e trasversale, un processo costituente capace di formulare un’altra idea di città. Bisogna abbandonare la caccia alle streghe fine a sé stessa, che nel caso di Mani Pulite portò a vent’anni di fascismo consolidato, sia a Milano che in Italia. Serve organizzare la controffensiva, non in modo elitario, ma riattivando la maggioranza degli abitanti in maniera realmente inclusiva.
La novità storica è che oggi il capitale finanziario, incluso quello immobiliare, domina a livello globale, si salda con il protezionismo fascista e suprematista delle destre radicali, producendo gentrificazione, recinzioni classiste e nuove guerre coloniali. La gentrificazione delle nostre città ha lo stesso DNA del progetto di Trump a Gaza Rivera. Questo è il progetto che sta asfaltando le nostre vite. Ed è un progetto fascista, suprematista e coloniale.
Se Sala, il PD o AVS si schierano con gli immobiliaristi, pensando che occorra attrarli per essere competitivi anziché difendersi da loro, allora sono nei fatti forze di destra estrema. Vendono un’immagine progressista, ma realizzano un programma elitarista, estrattivo e coloniale.
Se pensano che vendere lo stadio di San Siro alle squadre di calcio sia un bene per un quartiere che ha urgente bisogno di servizi, allora siamo perduti, e loro sono un partito di estrema destra. Un partito di sinistra non può dire che vendere un intero quartiere a un fondo finanziario sia un’opportunità di riscatto sociale. Non può. Punto. Sta a loro scegliere. Ma bisogna dirglielo: la maggioranza della sinistra non si fa più fregare.
Dire che questo è il prezzo da pagare per una città attrattiva è pura demagogia di destra. Non a caso, la reazione di Fratelli d’Italia alle indagini milanesi è stata: “hanno fatto le cose giuste, ma non sono capaci di gestirle bene come noi”.
Le città governate dalla sinistra si misurano sulla loro capacità di porre un freno alla cattura finanziaria. Figuriamoci se c’è da vantarsi di saper attrarre capitale tossico! Questo stanno tentando di fare Barcellona, Vienna, Amsterdam, Berlino. E dove non ci riescono, vengono giustamente accusate di essersi vendute alle politiche della destra.
In conclusione: Milano non è il centro del mondo. In un momento di congiuntura globale in cui la finanza ricatta le amministrazioni pubbliche, Milano è tra le città che hanno risposto invitando la finanza a sostituirsi ai servizi pubblici. E ora la cittadinanza comincia a comprenderne le conseguenze.
Questa amministrazione ha chiamato questa strategia “capacità di tenere insieme sviluppo e ricaduta sociale”. Ma oggi dovrebbe ammettere che c’è stato sviluppo per pochi e processi di esclusione sociale per molti.
È questa la domanda centrale che si pongono — o dovrebbero porsi — le principali capitali europee.
Se l’amministrazione Sala si rifiuta di partire da questa evidenza, allora la sinistra deve avere il coraggio di proporre una candidatura realmente in grado di rispondere a questa sfida.
O rompiamo l’alleanza tra finanza e governance urbana, o continuiamo a giocare a un riformismo al ribasso dentro un progetto che ci espelle. Non ci salveranno né la legalità né le giunte: serve insorgere. La politica di sinistra può tradurre in programma solo ciò che i movimenti impongono dal basso, senza chiedere il permesso, irrompendo con le proprie urgenze, i propri desideri e la propria agenda.
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