martedì 18 giugno 2024

ALLEVAMENTO URBANO E HOBBIFICAZIONE DELLO SFRUTTAMENTO ANIMALE

- Giorgia Pagliuca







 antropocentrismo
 non-umano

Una delle tendenze degli ultimi anni è quella che vede il tentativo di ricreare, all’interno delle città, spazi per la coltivazione e l’allevamento. Progettualità che rispondono all’esigenza di un riavvicinamento del consumo ai luoghi della produzione ma che porta a compimento la trasformazione degli animali in strumenti di produzione. Si manifesta così una ristrutturazione dell’oppressione specista considerando che gli hobby farmers sono indirizzati dalla stessa ideologia antropocentrica del non-umano



Introduzione

Anche tra persone completamente a digiuno di tecniche di coltivazione e allevamento, gli orti, apiari e i pollai urbani si stanno creando sempre più un proprio spazio all’interno della dimensione cittadina. Si tratta di impianti realizzati da hobby farmers, individui che per passione, diversione o anche per autoconsumo, decidono di dedicare il proprio cortile di casa o il tetto dell'ufficio alla detenzione di animali da reddito come api, galline, polli, faraone, tacchini, e conigli. Progettualità che rispondono all’esigenza di un riavvicinamento del consumo ai luoghi di produzione, abbattendo i costi della spesa alimentare, guardando al cibo di origine animale come a un hobby per gastro-aficionados (Paoloni, 2017). In Italia, si stanno diffondendo sempre più servizi che permettono di acquistare «chiavi in mano» alveari (Apicoltura Urbana, n.d). Ciò che ne deriva è una moderna convivenza interspecifica, finalizzata alla produzione, che permette di analizzare una forma più recente, in versione «fai da te», di estrazione di valore dai corpi animali. Tutto ciò si lega all'attribuzione di una diversa e inferiore misura morale agli animali «da reddito», che realizza la loro trasformazione in strumento di produzione (Singer, 2010), portando con sé differenti forme di commodificazione animale. Quella che vediamo manifestarsi negli ultimi anni è una ristrutturazione dell’oppressione specista, che ora riconverte lo spazio urbano abitativo, dapprima svuotato dalla presenza animale, in uno spazio produttivo.

 

Riterritorializzazione dell’estrattivismo di specie

L’allevamento di bestiame all’interno delle città è una pratica che può essere certamente fatta risalire a tempi antichi, ma che non ha realmente abbandonato i centri urbani. In Italia, dagli anni Quaranta del secolo scorso, le tecniche di coltura e di gestione del ciclo alimentare sono passate da sistemi tradizionali ad alta intensità di lavoro a nuovi sistemi industrializzati ad alta intensità di capitali, elementi inquinanti e carburanti fossili. Sebbene molti di questi allevamenti intensivi siano ora posti alle periferie delle campagne (Winsberg, 1981; Manzoor, Syed & Abubabakar, 2023), negli ultimi decenni si inizia a registrare anche un aumento di piccoli allevamenti urbani: progettualità messe su da aficionados, coinvolgendo corpi animali nell’organizzazione e pianificazione urbanistica, in modo particolare nella divisione geografica del Nord globale. Diverse sono le sperimentazioni architettoniche di serre verticali e di orti urbani (Morabito, 2021), considerati strategie utili ad arginare l’insicurezza alimentare e il crescente distanziamento tra i luoghi di produzione alimentare e quelli di consumo (Bonafede & Canale, 2015). Eppure, l’agricoltura periurbana e urbana non coinvolge esclusivamente il mondo vegetale, ma inserisce nel quadro della complessità anche quegli animali tradizionalmente e culturalmente considerati «da reddito». Si tratta quindi di una vera e propria riterritorizzazione delle strutture produttive speciste, che riportano nella moderna polis le corporeità animali, insieme alle differenti varietà vegetali. Abbandonata la campagna con i suoi allevamenti pesantemente industrializzati, non si dimentica l’utilizzo a scopo produttivo dell’individualità animale. Il corpo della gallina, del coniglio o del pollo non perde il proprio ruolo di referente assente tipico del carnismo zootecnico (Adams, 2015), ma tale riterritorializzazione dello sfruttamento animale rende ora hobby la loro oppressione. Un corpo animale che da oggetto di produzione diventa oggetto di diversione.

 

Specismo e hobbificazione dello sfruttamento animale

Tuttavia, questo riposizionamento non lascia spazio alla comparsa politica della zoopolis delineata da Donaldson e Kymlicka (2011), ma si costituisce invece come processo di hobbificazione dell’estrattivismo animale. Quello che ne deriva è un continuum del sistema oppressivo dello specismo, dell’ideologia antropocentrica e discriminatoria nei confronti degli animali non umani, per il solo fatto che questi non fanno parte della cerchia socio-morale, in quanto non appartenenti alla specie umana (Sollund, 2024). Di conseguenza, come nella produzione industriale, l’utilizzo e il controllo sulla corporeità animale diventano strategie fondanti anche nella zootecnia «fai da te». Posizionare un alveare sul tetto del condominio, allevare galline ovaiole nel proprio giardino di casa diventano a tutti gli effetti un passatempo che perpetua il fenomeno dello sfruttamento animale, indissolubilmente connaturato al sistema specista. Il riportare in città questa biodiversità del vivente continua ad assumere i canonici contorni della produzione alimentare estrattivista, non assimilando gli animali a reali soggetti politici (i co-citizens descritti da Donaldson e Kymlicka), bensì a elementi co-funzionali alle esclusive esigenze alimentari e di diversione umana. La gestione partecipata dello spazio urbano e la valorizzazione della produzione alimentare diventano quindi i precetti attraverso cui rifondare l’estensione del dominio specista al di fuori delle campagne, riterittorizzando il controllo. In questo modo, l'allevamento avicolo casalingo diventa l’ultima frontiera nel riavvicinamento alla campagna estrattivista e nell’annesso processo di trasmissione della cultura immateriale specista. L’installazione di alveari sui tetti di aziende o appartamenti privati riporta radici agricole nel cemento cittadino, rafforzando il patto di solidarietà con lo strutturale sfruttamento animale (Nibert & Coe, 2017). Difatti, i progetti di estensione del controllo oppressivo delle soggettività produttive raccontano l’animale non umano come «un veicolo sorprendentemente potente per connettere le persone alla natura» (Apicoltura urbana, n.d.), sottolineando l’importanza di questo necessario ricongiungimento tra la dicotomica divisione uomo-natura attraverso il loro allevamento. Un richiamo, che è anche chiaramente esplicitato, all’utilitarismo riportante la visione specista, caratteristica del rapporto tra produttore-agricoltore e produttore-animale.

 

Considerazioni conclusive

Sebbene lontani da una estrazione di valore fortemente industrializzata, tipica degli allevamenti intensivi, gli hobby farmers sono indirizzati dalla stessa ideologia antropocentrica del non-umano. La detenzione, l'esclusione dal cerchio socio-morale, il controllo della riproduzione e l’uccisione animale ai fini produttivi sono elementi fondanti anche della zootecnia del «fai da te», non rappresentando una reale modalità di disconnessione dalla matrice specista, ma anzi una sua reiterazione su piccola scala. Il ruolo dell’animale non umano, infatti, continua a essere quello di soggettività produttiva atta all’estrazione di valore biologico dal proprio corpo di (ri)produzione. L’ingresso ‒ o meglio, il ritorno ‒ degli animali all’interno dello spazio urbano non segna una loro attribuzione di valore morale, ma una banale valorizzazione dell’autoproduzione a discapito di quella industriale. Di fatto, gli individui animali non entrano a far parte del gruppo dei soggetti politici delle zoopolis, seppur abitando lo spazio urbano, ma continuano il loro viaggio verso il macello del dominio oppressivo.

 


 

Riferimenti bibliografici

C. J. Adams, The sexual politics of meat: A feminist-vegetarian critical theory. London, Bloomsbury 2015.

G. Bonafede ‒ L. Canale, Mani verdi per la citta. Scenari di agricoltura urbana multifunzionale nella Piana dei colli a Palermo. Scienze del Territorio 2015, 3, 204+. https://link.gale.com/apps/doc/A531650519/AONE?u=anon~386ebcf9&sid=googleScholar&xid=e60f76d1

S. Manzoor ‒ Z. Syed ‒ M. Abubabakar, Global Perspectives of Intensive Animal Farming and Its Applications. IntechOpen. 2023 doi: 10.5772/intechopen.112271

V. Morabito, Ecologia, paesaggio e agricoltura urbana. Un involucro innovativo per serre verticali 2021/ Ecology, landscape and urban agriculture. An innovative envelope for vertical farms. TECHNE: Journal of Technology for Architecture and Environment, (22), 149+. https://link.gale.com/apps/doc/A683911814/AONE?u=anon~738aad43&sid=googleScholar&xid=7a72fcfe

D. A. Nibert ‒ S. Coe, Animal oppression and capitalism, Praeger, Santa Barbara 2017

P. Singer, Speciesism and moral status. Cognitive Disability and Its Challenge to Moral Philosophy, 330–344, 2010, doi:10.1002/9781444322781.ch19

R. Sollund, Speciesism and the non-human, Oxford Research Encyclopedia of Criminology and Criminal Justice, 2024 doi:10.1093/acrefore/9780190264079.013.748

Uno Strumento di Corporate Social Responsibility Con le API in Città. (2022). Retrieved from https://www.apicolturaurbana.it/corporate-social-responsibility-con-le-api/

M. D. Winsberg, Intensity of agricultural production and distance from the city: The case of the southeastern United states. Southeastern Geographer, 1981 21(1), 54–63. doi:10.1353/sgo.1981.0005

immagine: INLAND, Urban shepherding, Forest Flock Classroom in Casa de Campo, Madrid




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