Una delle tendenze degli ultimi anni è quella che vede il tentativo di ricreare, all’interno delle città, spazi per la coltivazione e l’allevamento. Progettualità che rispondono all’esigenza di un riavvicinamento del consumo ai luoghi della produzione ma che porta a compimento la trasformazione degli animali in strumenti di produzione. Si manifesta così una ristrutturazione dell’oppressione specista considerando che gli hobby farmers sono indirizzati dalla stessa ideologia antropocentrica del non-umano
Introduzione
Anche tra persone completamente a digiuno di tecniche di
coltivazione e allevamento, gli orti, apiari e i pollai urbani si stanno
creando sempre più un proprio spazio all’interno della dimensione cittadina. Si
tratta di impianti realizzati da hobby farmers, individui che per passione, diversione o anche per autoconsumo,
decidono di dedicare il proprio cortile di casa o il tetto dell'ufficio alla
detenzione di animali da reddito come api, galline, polli, faraone, tacchini, e
conigli. Progettualità che rispondono all’esigenza di un riavvicinamento del
consumo ai luoghi di produzione, abbattendo i costi della spesa alimentare,
guardando al cibo di origine animale come a un hobby per gastro-aficionados (Paoloni, 2017). In Italia, si stanno diffondendo sempre più
servizi che permettono di acquistare «chiavi in mano» alveari (Apicoltura
Urbana, n.d). Ciò che ne deriva è una moderna convivenza interspecifica,
finalizzata alla produzione, che permette di analizzare una forma più recente,
in versione «fai da te», di estrazione di valore dai corpi animali. Tutto ciò
si lega all'attribuzione di una diversa e inferiore misura morale agli animali
«da reddito», che realizza la loro trasformazione in strumento di produzione
(Singer, 2010), portando con sé differenti forme di commodificazione animale.
Quella che vediamo manifestarsi negli ultimi anni è una ristrutturazione
dell’oppressione specista, che ora riconverte lo spazio urbano abitativo,
dapprima svuotato dalla presenza animale, in uno spazio produttivo.
Riterritorializzazione dell’estrattivismo di specie
L’allevamento di bestiame all’interno delle città è una pratica
che può essere certamente fatta risalire a tempi antichi, ma che non ha
realmente abbandonato i centri urbani. In Italia, dagli anni Quaranta del
secolo scorso, le tecniche di coltura e di gestione del ciclo alimentare sono
passate da sistemi tradizionali ad alta intensità di lavoro a nuovi sistemi
industrializzati ad alta intensità di capitali, elementi inquinanti e
carburanti fossili. Sebbene molti di questi allevamenti intensivi siano ora
posti alle periferie delle campagne (Winsberg, 1981; Manzoor, Syed &
Abubabakar, 2023), negli ultimi decenni si inizia a registrare anche un aumento
di piccoli allevamenti urbani: progettualità messe su da aficionados, coinvolgendo corpi animali nell’organizzazione e pianificazione
urbanistica, in modo particolare nella divisione geografica del Nord globale.
Diverse sono le sperimentazioni architettoniche di serre verticali e di orti
urbani (Morabito, 2021), considerati strategie utili ad arginare l’insicurezza
alimentare e il crescente distanziamento tra i luoghi di produzione alimentare
e quelli di consumo (Bonafede & Canale, 2015). Eppure, l’agricoltura
periurbana e urbana non coinvolge esclusivamente il mondo vegetale, ma
inserisce nel quadro della complessità anche quegli animali tradizionalmente e
culturalmente considerati «da reddito». Si tratta quindi di una vera e propria
riterritorizzazione delle strutture produttive speciste, che riportano nella
moderna polis le corporeità animali, insieme alle differenti varietà
vegetali. Abbandonata la campagna con i suoi allevamenti pesantemente
industrializzati, non si dimentica l’utilizzo a scopo produttivo
dell’individualità animale. Il corpo della gallina, del coniglio o del pollo
non perde il proprio ruolo di referente assente tipico del carnismo zootecnico
(Adams, 2015), ma tale riterritorializzazione dello sfruttamento animale rende
ora hobby la loro oppressione. Un corpo animale che da oggetto di produzione
diventa oggetto di diversione.
Specismo e hobbificazione dello sfruttamento animale
Tuttavia, questo riposizionamento non lascia spazio alla comparsa
politica della zoopolis delineata da Donaldson e Kymlicka (2011), ma si costituisce
invece come processo di hobbificazione dell’estrattivismo animale. Quello che ne deriva è un continuum
del sistema oppressivo dello specismo, dell’ideologia antropocentrica e
discriminatoria nei confronti degli animali non umani, per il solo fatto che
questi non fanno parte della cerchia socio-morale, in quanto non appartenenti
alla specie umana (Sollund, 2024). Di conseguenza, come nella produzione
industriale, l’utilizzo e il controllo sulla corporeità animale diventano
strategie fondanti anche nella zootecnia «fai da te». Posizionare un alveare
sul tetto del condominio, allevare galline ovaiole nel proprio giardino di casa
diventano a tutti gli effetti un passatempo che perpetua il fenomeno dello
sfruttamento animale, indissolubilmente connaturato al sistema specista. Il
riportare in città questa biodiversità del vivente continua ad assumere i
canonici contorni della produzione alimentare estrattivista, non assimilando
gli animali a reali soggetti politici (i co-citizens descritti da Donaldson e Kymlicka), bensì a elementi
co-funzionali alle esclusive esigenze alimentari e di diversione umana. La
gestione partecipata dello spazio urbano e la valorizzazione della produzione
alimentare diventano quindi i precetti attraverso cui rifondare l’estensione
del dominio specista al di fuori delle campagne, riterittorizzando il
controllo. In questo modo, l'allevamento avicolo casalingo diventa l’ultima
frontiera nel riavvicinamento alla campagna estrattivista e nell’annesso
processo di trasmissione della cultura immateriale specista. L’installazione di
alveari sui tetti di aziende o appartamenti privati riporta radici agricole nel
cemento cittadino, rafforzando il patto di solidarietà con lo strutturale sfruttamento
animale (Nibert & Coe, 2017). Difatti, i progetti di estensione del
controllo oppressivo delle soggettività produttive raccontano l’animale non
umano come «un veicolo sorprendentemente potente per connettere le persone alla
natura» (Apicoltura urbana, n.d.), sottolineando l’importanza di questo
necessario ricongiungimento tra la dicotomica divisione uomo-natura attraverso
il loro allevamento. Un richiamo, che è anche chiaramente esplicitato,
all’utilitarismo riportante la visione specista, caratteristica del rapporto
tra produttore-agricoltore e produttore-animale.
Considerazioni conclusive
Sebbene lontani da una estrazione di valore fortemente
industrializzata, tipica degli allevamenti intensivi, gli hobby farmers sono indirizzati dalla stessa ideologia antropocentrica del
non-umano. La detenzione, l'esclusione dal cerchio socio-morale, il controllo
della riproduzione e l’uccisione animale ai fini produttivi sono elementi
fondanti anche della zootecnia del «fai da te», non rappresentando una reale modalità
di disconnessione dalla matrice specista, ma anzi una sua reiterazione su
piccola scala. Il ruolo dell’animale non umano, infatti, continua a essere
quello di soggettività produttiva atta all’estrazione di valore biologico dal
proprio corpo di (ri)produzione. L’ingresso ‒ o meglio, il ritorno ‒ degli
animali all’interno dello spazio urbano non segna una loro attribuzione di
valore morale, ma una banale valorizzazione dell’autoproduzione a discapito di
quella industriale. Di fatto, gli individui animali non entrano a far parte del
gruppo dei soggetti politici delle zoopolis, seppur abitando lo spazio urbano, ma continuano il loro viaggio
verso il macello del dominio oppressivo.
Riferimenti bibliografici
C. J. Adams, The sexual politics of meat: A feminist-vegetarian critical theory. London, Bloomsbury 2015.
V. Morabito, Ecologia, paesaggio e agricoltura urbana. Un involucro innovativo per serre verticali 2021/ Ecology, landscape and urban agriculture. An innovative envelope for vertical farms. TECHNE: Journal of Technology for Architecture and Environment, (22), 149+. https://link.gale.com/apps/doc/A683911814/AONE?u=anon~738aad43&sid=googleScholar&xid=7a72fcfe
D. A. Nibert ‒ S. Coe, Animal oppression and capitalism, Praeger, Santa Barbara 2017
R. Sollund, Speciesism and the non-human, Oxford Research Encyclopedia of Criminology and Criminal Justice,
2024 doi:10.1093/acrefore/9780190264079.013.748
immagine: INLAND, Urban
shepherding, Forest Flock Classroom in Casa de Campo, Madrid
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