Sea Watch 3: la lezione di diritto di Carola
Francesca De Vittor*
«La comandante non ha fatto altro che spettare un obbligo imposto dal diritto internazionale»
Dopo l’arresto di Carola
Rackete riteniamo utile pubblicare a sostegno della sua liberazione l’analisi della docente di Diritto
internazionale e Diritti dell’uomo, la
quale inquadra la vicenda facendo emergere
le fonti giuridiche che hanno generato il convincimento e le legittime aspettative della
comandante su cui sono stati posti in essere i comportamenti consequenziali
“Ciò che in tutta questa vicenda appare invece manifestamente illegittimo, sia dal punto di vista del diritto costituzionale italiano sia del diritto internazionale è proprio il c.d. decreto sicurezza bis”, scrive la De Vittor. Ed ad ulteriore rafforzamento della tesi ha aggiunto: “Se di responsabilità si vuole parlare, sarebbe meglio parlare di quelle dell’Italia. Va infatti considerato che la nave, probabilmente già da prima, ma sicuramente da quando è entrata nelle acque territoriali italiane, si trova sotto la giurisdizione dell’Italia per l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, pertanto il prolungarsi del trattenimento a bordo della nave dei migranti, già estremamente provati, integra da parte dello Stato italiano una violazione dell’art. 3 e dell’art. 5 della Convenzione”
La comandante della nave Sea Watch 3, Carola
Rackete, ha deciso di non rispettare il divieto di ingresso nel
mare territoriale italiano e portare finalmente i migranti soccorsi il 12
giugno scorso verso un porto sicuro per lo sbarco. Nonostante la si accusi ora
di aver violato le leggi dello Stato italiano, e in particolare il divieto di
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina previsto dall’art. 12 del d.lgs.
186/1998 e il divieto di ingresso imposto dal Ministro dell’Interno sul
fondamento del DL 53/2019, c.d. sicurezza-bis, la comandante Rackete, fin
dall’inizio dei soccorsi, non ha fatto altro che rispettare un obbligo imposto
dal diritto internazionale e dalle leggi sia italiane sia del suo stato di
bandiera. Ciò che in tutta questa vicenda appare invece manifestamente
illegittimo, sia dal punto di vista del diritto costituzionale italiano sia del
diritto internazionale è proprio il c.d. decreto sicurezza bis.
L’obbligo di soccorso in mare
è previsto sia dal diritto internazionale consuetudinario (che nel nostro
ordinamento ha valore di diritto costituzionale in base al rinvio operato
dall’art. 10 Cost.), sia dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del
mare (CNUDM) e dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare
(SAR) (entrambe ratificate dall’Italia e che nel nostro ordinamento hanno
valore di legge, anzi superiore alla legge per l’art. 117 Cost.). Per
previsione espressa di quest’ultima Convenzione il soccorso si conclude solo
con lo sbarco delle persone in un porto sicuro, che è un porto in cui la loro
vita non è più in pericolo e i diritti umani fondamentali sono loro
garantiti.
L’unico porto di sbarco che
era stato indicato alla Sea Watch 3 è il porto di Tripoli, dove nessuno sbarco
di migranti è lecito perché in ragione delle gravissime violazioni dei diritti
umani fondamentali che i migranti subiscono in Libia, nonché del conflitto in
corso, la Libia non può essere in alcun modo considerata un porto sicuro (si
veda da ultimo la Raccomandazione agli
stati della Commissaria ai diritti umani del Consiglio d’Europa).
Come deciso dal GIP di Trapani in una recente sentenza l’essere riportati in Libia avrebbe
costituito un’offesa ingiusta alla quale i migranti stessi avrebbero potuto
opporsi anche con la forza in legittima difesa (art. 52 c.p.).
Una volta chiarito che verso
Tripoli la Sea Watch non avrebbe in alcun caso potuto dirigersi, la comandante
si è lecitamente diretta verso il porto sicuro più vicino, e quindi Lampedusa.
Tutti gli stati membri della Convenzione SAR hanno l’obbligo di cooperare
affinché il comandante della nave che ha prestato soccorso sia liberato dalla
propria responsabilità (ovvero possa far sbarcare le persone soccorse) nel
minor tempo possibile e con la minor deviazione dalla propria rotta.
L’aver individuato Lampedusa
come luogo di sbarco costituisce quindi non solo un comportamento legittimo, ma
anche il più ovvio da parte della Comandante che aveva una legittima
aspettativa di vedersi assegnare lì un luogo di sbarco. Starà alla magistratura
valutare eventuali responsabilità penali a carico della comandante e
dell’equipaggio della nave, ma è presumibile che anche qualora eventuali
comportamenti illeciti siano constatati venga comunque riconosciuta la
scriminante dello stato di necessità (art. 54 c.p.) o dell’aver commesso il
fatto in adempimento di un dovere (art. 51 c.p.). Va in ogni caso ricordato che
in nessuno dei casi in cui sono state aperte indagini a carico di Ong per i
soccorsi in mare si è mai giunti a una condanna: quando i giudici si sono
pronunciati hanno sempre considerato legittimo il comportamento di chi aveva
prestato il soccorso in mare.
Se di responsabilità si vuole
parlare, sarebbe meglio parlare di quelle dell’Italia. Va infatti considerato
che la nave, probabilmente già da prima, ma sicuramente da quando è entrata
nelle acque territoriali italiane, si trova sotto la giurisdizione dell’Italia
per l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, pertanto il
prolungarsi del trattenimento a bordo della nave dei migranti, già estremamente
provati, integra da parte dello Stato italiano una violazione dell’art. 3 e
dell’art. 5 della Convenzione (su questa conclusione non incide il rifiuto
della Corte di imporre all’Italia misure cautelari ed urgenti, tale pronuncia,
infatti, non è sul merito della vicenda ma appunto solo sulla misura
cautelare).
In un periodo in cui le più
fondamentali norme dell’ordinamento internazionale e costituzionale sono sempre
più spesso violate da politiche di ostacolo alle operazioni di soccorso in
mare, studiosi e operatori del diritto sono chiamati a confrontarsi nel
tentativo di fare chiarezza sul contenuto del diritto nazionale e internazionale
applicabile e sulle conseguenze della sua violazione. È questo lo scopo della
tavola rotonda su “La politica dei porti-chiusi. Questioni di legittimità e
responsabilità nazionale ed internazionale” organizzata in Università Cattolica
lunedì 15 luglio dalle 16.30 alle 18.30.
*
docente di Diritto internazionale e Diritti dell’uomo alla facoltà di Giurisprudenza