- Alexik -
DOVE
SONO LE ONG ?
LE ONG SONO AL LORO POSTO
la See Watch 3 (Ong See Watch) e la Ocean Viking
(Msf e Sos Mediterranée) sono state messe in quarantena rispettivamente nei
porti di Messina e Pozzallo, per effetto delle disposizioni del governo
italiano legate al coronavirus
a Lesbo è stata incendiata la sede della Ong One Happy Family, un centro diurno che ospitava una scuola e distribuiva 1500 pasti al giorno
sempre
a Lesbo, le operatrici della Ong spagnola Rowing Together curano donne provate
dalla fuga e dalle durissime condizioni di vita
Resistenti e con una pazienza infinita: non hanno altra scelta
che essere così le donne del campo di Moria, la
tendopoli da 20mila persone che sorge ormai da anni tra gli ulivi dell’isola
greca di Lesbo. Fuori da uno dei due ingressi di questo centro di
identificazione UE, conosciuto per le estreme condizioni di vita, si trova una
clinica riservata a loro. “Queste donne hanno perduto la propria casa, la
sicurezza, il proprio paese e spesso anche la famiglia: tutto ciò che hanno è
il loro corpo, l’unica forma di identità che resta” spiega Isabel Rueda, giovane coordinatrice di Rowing Together (cioè
“remare insieme”), una Ong spagnola che gestisce il centro di assistenza
ginecologica e di ostetricia. “Diversi problemi medici che vediamo qui, dolori
cronici, un ciclo fermo da 7-8 mesi, hanno origine psicologica. A volte non
possiamo fare altro che ascoltare quello che hanno da dire. E spiegare alle
pazienti che è normale che i problemi dell’anima si ripercuotano sul loro
corpo”.
Ogni
giorno, dal lunedì al venerdì, uno staff di cinque operatori sanitari fornisce
cure ginecologiche a una quarantina di donne soprattutto afghane, ma anche
siriane e di diversi paesi africani.
L’hot spot di Moria è un posto già abbastanza duro per gli
uomini. Per le donne rappresenta un rischio costante, sanitario e di incolumità
psico-fisica. “Quando c’è una gravidanza o quando
riscontriamo un problema di salute, le prime misure da adottare sono igiene,
cibo e sonno adeguati. Qui nessuna delle tre cose è possibile” spiega Isabel
Rueda. C’è chi perde il proprio bambino per motivi legati alle
condizioni di vita del campo, “almeno un caso di aborto spontaneo alla settimana,
perché si dorme in tenda, al freddo e non si mangia come sarebbe necessario.
Nel primo trimestre di una gravidanza capita anche in condizioni normali, ma
qui accade più di frequente”.
Di
norma i parti avvengono nell’ospedale di Mitilene, il capoluogo dell’isola. Già
il giorno successivo la neo-mamma è costretta a tornare al campo “anche nei
casi di parto cesareo. A volte vediamo infezioni per ferite non cicatrizzate e
perché a Moria non è possibile mantenere l’igiene”.
Il
sistema ospedaliero sull’isola è in affanno, inadeguato anche per gli stessi
abitanti. Rowing Together ha un canale di comunicazione e collaborazione che,
però, presenta gravi lacune. “Di solito non viene trascritto nei verbali a
quali cure sono state sottoposte le donne, e per noi diventa difficile
capirlo”, prosegue la coordinatrice. “Spesso alle pazienti non viene spiegato
nulla di quello che succede loro: una donna è tornata qui dopo un aborto
spontaneo dicendoci che in ospedale era stata addormentata e al risveglio non
le era stato spiegato nulla. Ci ha chiesto se suo figlio stesse bene. Ma il
bambino non c’era già più”.
Alle ginecologhe e alle ostetriche della clinica, tutte
volontarie, capita anche di vedere i segni della violenza, spesso domestica:
“Queste donne vengono qui anche solo per parlare, perché comunque preferiscono
rimanere accanto a un marito violento piuttosto che restare da sole e rischiare
ancora di più”. Sui corpi delle donne di Moria si rintracciano anche vecchie
cicatrici di soprusi avvenuti nei paesi d’origine o durante il viaggio verso
l’Europa. Delle aggressioni consumate in Grecia, invece,
si occupa un’altra organizzazione che dispone anche di assistenza legale. La
sicurezza che manca è, infatti, uno dei drammi più grandi del campo: di notte
nessuna donna si azzarda ad andare ai bagni, “camminare tra le tende anche solo
per cinque minuti è un rischio”.
Ai pericoli interni alla tendopoli si aggiungono, da un paio di
settimane, quelli di veri e propri raid di gruppi di estrema destra greci che
scaldano gli animi di una popolazione locale già esasperata, convinta di essere
stata abbandonata da Governo e Unione Europea. Scontri e sassaiole,
manifestazioni represse in maniera violenta dalla polizia greca, incendi
sospetti (l’ultimo, la notte scorsa, ha distrutto la Scuola della Pace della
ONG One Happy Family, ma ancora prima era toccato a un campo Acnur nel nord, a
un magazzino di stoccaggio a Chios e a diverse auto di volontari di ONG). “Abbiamo chiuso per alcuni giorni la nostra clinica per quello che
è accaduto, non ci sentiamo più sicure come prima. Da tre giorni però abbiamo
riaperto” prosegue. “Naturalmente anche le abitanti del campo
sono a rischio. Venerdì una donna incinta ai primi mesi di gravidanza è
arrivata da noi preoccupata: voleva sapere se il suo bambino stesse bene,
perché la polizia l’aveva colpita durante un tafferuglio al porto. Aveva segni
sul corpo”.
Dolori nuovi si sovrappongono a quelli passati, ma Isabel Rueda
garantisce che nelle giornate alla clinica c’è anche posto per sorrisi e
qualche risata: “È evidente che c’è un dramma in corso, ma qui vediamo quanto
queste donne si danno una mano l’un l’altra. Ciascuna fa del proprio meglio.
Sto imparando molto, è difficile da dire, ma in questo campo prendo più di
quello che sono venuta a dare”. (Avvenire)